Mentre Giorgia Meloni, a Hiroshima, debutta tra i 7 grandi con un bilaterale con Fumio Kishida, da cui ha ricevuto il testimone della guida del G7, rimane in stallo la questione “Via della Seta”. Un tema potenzialmente critico per la premier italiana, stretta tra la volontà di evitare una probabile ritorsione cinese – in caso di una disdetta della Belt and Road – senza incrinare i rapporti con gli Stati Uniti, paese verso il quale Meloni ha confermato un necessario “patto di fedeltà”.
Verso l’abbandono della nuova Via della Seta
“C’è un’attenta riflessione ma non c’è ancora una decisione (sull’abbandono della Via della Seta ndr) – ha detto a nome del governo in Parlamento il sottosegretario agli Esteri Giorgio Silli –. Non possono esservi dubbi sull’appartenenza strategica e valoriale dell’Italia all’Occidente”. Ma sentendo le parole della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, nel suo intervento alla Sessione III del G7 sulle politiche nei confronti della Cina, la decisione sembra, di fatto, già presa. “Dobbiamo intensificare il nostro lavoro con altri per creare un’alternativa alla Via della Seta, ovvero sul nostro Partenariato per le infrastrutture e gli investimenti globali – ha detto von der Leyen –. Dobbiamo bilanciare i nostri rapporti commerciali e dobbiamo discutere dei controlli sulle esportazioni o sugli investimenti in uscita, con particolare attenzione ai settori sensibili dell’alta tecnologia”. Una dichiarazione che rilancia la strategia Ue del de-risking.
La strategia dell’Italia
La parola d’ordine, per il momento, sembra essere “tergiversare” per evitare alla premier il confronto su un dossier scomodo durante il G7. La decisione italiana sulla Via della Seta è, infatti, di grande interesse per gli alleati, dato che l’Italia è l’unica tra i big ad avere sottoscritto il Memorandum con la Cina. Sebbene la questione sia importante fonti citate dall’Ansa assicurano che, attualmente, non vi sia, sul tema, “un pressing quotidiano degli alleati”. Per uscire dalla Belt and Road Iniziative c’è tempo fino al prossimo 22 dicembre e, dunque, non c’è un’urgenza immediata. L’obiettivo del governo è cercare un equilibrio con Pechino in vista della decisione da prendere. “Ogni scelta – ha assicurato il sottosegretario alla Farnesina – sarà fatta tenendo a mente la più ampia riflessione sui rapporti da tenere con la Cina in corso con i partner Nato, G7 e Ue”. Palazzo Chigi punta a far prevalere, nel confronto con gli Usa, la linea di un’uscita progressiva dalla Belt and Road al fine di evitare fratture con la Cina mentre è in corso una mediazione di Pechino nel conflitto russo-ucraino. Un’ipotesi è quella di compensare una via d’uscita dal patto con nuove intese con la Cina. Magari più favorevoli per l’Italia dal momento che l’adesione alla
Belt and Road Iniziative – secondo l’analisi della Repubblica – avrebbe generato vantaggi economici solo per i cinesi.
I rapporti con Washington
Mantenere un piede in due staffe per la premier non è, tuttavia, affar semplice. “La diplomazia italiana – scrive oggi La Repubblica – avrebbe chiesto e a fatica ottenuto un benestare americano di massima per spostare il momento della decisione sul rinnovo del memorandum all’autunno. Sottraendolo al passaggio critico del summit di Hiroshima. A un muro contro muro con Pechino. Evitando che diventi una pura e semplice prova di fedeltà verso Washington, che esporrebbe Roma alla ritorsione cinese”. Ma la questione, prima o poi, andrà affrontata. I nodi – evidenzia La Repubblica – verranno al pettine in occasione della visita di Meloni alla Casa Bianca. Una visita che, forse non è un caso, continua a slittare: da marzo a maggio, poi a fine giugno o inizio luglio. E potrebbe essere posticipata ancora. D’altronde nel primo bilaterale della premier italiana con Joe Biden, a Bali la richiesta del presidente Usa è stata chiara: ritiratevi dalla Via della Seta.
Il “controvertice” cinese
Se l’Occidente si prepara ad abbandonare la Via della Seta la Cina corre ai ripari. Nella storica città settentrionale di Xìan, punto di partenza dell’antica Via della Seta Xi Jinping ha organizzato un summit con altri cinque Paesi dell’Asia Centrale ex sovietici, una sorta di controvertice rispetto al G7 di Hiroshima. “Malgrado i cambiamenti degli scenari internazionali, ci siamo sempre trattati con rispetto, abbiamo avuto buoni rapporti di vicinato e di reciproco sostegno, e perseguito scopi di mutuo interesse” ha detto Xi alla serata di benvenuto brindando alla “nuova era” dei rapporti. I cinque Paesi al tavolo sono Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan e Turkmenistan, ex repubbliche sovietiche parte di una regione storicamente sotto influenza russa e finita inevitabilmente sotto pressione dopo l’invasione di Mosca ai danni dell’Ucraina. Negli sforzi per consolidare la sua influenza nell’area ricca di materie prime, tra gas e petrolio, Pechino ha rimarcato la forte interconnessione delle relazioni destinate a rafforzarsi ulteriormente. A partire dalle infrastrutture e dall’interscambio commerciale, che ha raggiunto i 70 miliardi di dollari nel 2022 e che ha segnato un’ulteriore crescita del 22% nel primo trimestre del 2023. L’Asia Centrale è diventata la chiave di volta per la Belt and Road Initiative, la Nuova Via della Seta voluta da Xi come progetto geopolitico di interconnessione infrastrutturale dal valore di miliardi di dollari. Un progetto del quale Xi non ha mancato di sottolineare la “portata unica”.