Peste suina in Italia, prosciutto di Parma a rischio: export bloccato

Il Consorzio Prosciutto di Parma teme per i casi sempre più elevati di peste suina e chiede interventi per debellare il problema che ha frenato l'export

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Luca Bucceri

Giornalista economico-sportivo

Giornalista pubblicista esperto di sport e politica, scrive di cronaca, economia ed attualità. Collabora con diverse testate giornalistiche e redazioni editoriali.

La peste suina mette sotto scacco il prosciutto di Parma, eccellenza italiana esportata in tutto il mondo. Il sempre più elevato numero di casi conteggiati in Emilia Romagna, infatti, mette in pericolo la filiera che dal gennaio 2022 fa i conti con il morbo che si è insediato nel territorio e mette a rischio la produzione.

Pericoli non per la salute dell’uomo, ma per il comparto commerciale che da mesi lotta per rimanere a galla facendo i conti con le continue restrizioni che, di mese in mese, vede nuovi Paesi rifiutare l’importazione del prosciutto. E le aziende, con l’export bloccato, chiedono provvedimenti drastici.

La peste suina e il rischio per il prosciutto di Parma

Dal 7 gennaio 2022 è scattato l’allarme nella filiera di produzione del prosciutto di Parma, con numerosi casi di peste suina segnalati nella zona. Diverse carcasse di cinghiale, infatti, sono state trovate nell’area e, dopo analisi, sono risultate contagiate dal morbo che, invece, pare non essere entrata negli allevamenti.

Ma nonostante l’assenza di pericoli momentanei, per il comparto dei prosciutti l’incubo va avanti. Prosegue soprattutto per il Consorzio Prosciutto di Parma dopo che l’Unione Europea ha pubblicato un regolamento che amplia le zone soggette a restrizione. E i titolari degli allevamenti finiscono indagati, per aver nascosto il morbo.

Attualmente, secondo quanto rileva La Repubblica, almeno 15 stabilimenti che producono prosciutto di Parma non possono più esportare in Canada, Paese che non accetta prodotti provenienti da zone sotto restrizioni. Ma anche Cina, Giappone e Messico hanno bloccato le esportazioni, mettendo di fatto in difficoltà le aziende.

Resistono invece Stati Uniti e Australia, anche se i problemi potrebbero essere dietro l’angolo. Infatti la minaccia è il passaggio del virus dai cinghiali ai maiali, una diffusione che metterebbe a serio rischio anche gli allevamenti che comporterebbe la mancanza di materia prima.

Negli ultimi mesi il cuore della Food Valley, Parma e il suo distretto del prosciutto, sembra essere sotto attacco, con i ritrovamenti di carcasse di cinghiali infetti da peste suina che sono avvenuti di recente sempre più vicino ai paesi protagonisti nella produzione di salumi.

Proposto l’abbattimento dei cinghiali

Cosa fare allora per cercare di arginare un pericolo che sembra ormai prossimo? A dare una risposta ci ha pensato la Regione che chiede di ridurre drasticamente il numero dei cinghiali, un tentativo di eradicare il virus per salvare gli allevamenti e le esportazioni di carne di maiale.

Coldiretti, che segnala come la filiera vale oltre 20 miliardi di euro, vuole quindi provvedimenti. Gli stessi che vorrebbe vedere in atto Stefano Fanti, direttore del Consorzio Prosciutto di Parma.

“Siamo chiari, quello che sta succedendo va trattato come un’emergenza, altrimenti non ne usciamo” ha detto, sottolineando che la preoccupazione è tanta e la paura per la peste suina è forte.

La richiesta, senza giri di parole e senza usare mezzi termini, arriva quindi forte e chiara dal Consorzio che chiede un passo in più: “L’esercito contro i cinghiali, fondi per biosicurezza, trappole e recinzioni, ma anche per i cacciatori. Non ci servono i ristori domani”. Richieste che sono arrivate anche al commissario straordinario sulla peste suina, Vincenzo Caputo, che ha detto che saranno presto accolte, promettendo interventi dei militari, abbattimenti e indennizzi per cercare di arginare un problema che potrebbe portare a un danno ingente per il comparto e per l’economia italiana.