Armi atomiche Usa nel Regno Unito ed eserciti pronti contro la Russia: la nuova strategia americana

Gli Usa disegnano già gli scenari del post-guerra in Ucraina. In Gran Bretagna verrebbero trasferiti ordigni nucleari tre volte più potenti della bomba atomica di Hiroshima

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Dopo 15 anni il Regno Unito ospiterà di nuovo testate atomiche americane sul proprio suolo, oltre alla deterrenza nucleare già in possesso dei britannici (225 secondo gli ultimi ufficiali disponibili). La prima attestazione è stata fornita dal The Telegraph, citando documenti del Pentagono. Che, se resi noti, tradiscono inevitabilmente la volontà americana di farli conoscere.

La notizia rivela però anche la strategia di fondo americana di “europizzare” il conflitto con la Russia, preparandosi già allo scenario, giudicato sempre più probabile, di un collasso dell’Ucraina. Il conflitto si sposterà a quel punto sul fianco orientale della Nato, coi Paesi baltici e scandinavi in prima linea. E non a caso Svezia e Finlandia si stanno armando di tutto punto, oltre a stringere patti bilaterali con gli Usa mettendo a completa disposizione le proprie basi militari e i propri arsenali.

Il piano Usa: spostare in Gran Bretagna le testate atomiche più potenti

Le armi nucleari che gli Usa vogliono trasferire in Gran Bretagna sono tre volte più potenti della bomba atomica sganciata su Hiroshima nel 1945. Il loro stoccaggio sarà nel Suffolk, all’interno di una struttura gigantesca da 144 posti letto presso la base della Royal Air Force nel villaggio di Lakenheath. Si tratta di una svolta a suo modo storica, visto che gli ultimi missili atomici erano stati piazzati da Washington in terra britannica proprio nella base di Lakenheath (per la prima volta nel 1954), salvo poi essere rimossi nel 2008 dopo la fine della Guerra e lo stemperarsi della minaccia russa. Attualmente la forza nucleare britannica può contare esclusivamente su missili Trident, lanciabili da unità sottomarine.

Minaccia che oggi viene percepita come pressante, con dietro l’ombra lunga della potenza cinese (vero grande rivale degli Usa) che potrebbe supportare Mosca. Per questo, stando ai report del Pentagono, sono stati sottoscritti contratti di appalto per una nuova struttura nella base aerea inglese. Il ministero della Difesa britannico si è affrettato a ridimensionare la portata del programma congiunto con l’America, affermando che è “una politica di lunga data del Regno Unito e della Nato quella di non confermare né smentire la presenza di armi nucleari in un determinato luogo”.

Nonostante la tendenza al top secret, il progetto statunitense era finito sulla prima pagina del The Guardian già il 29 agosto 2023. La notizia era che l’aeronautica americana aveva previsto un fondo di 50 milioni di dollari per finanziare il ritorno delle armi nucleari statunitensi nel Regno Unito. Per giustificare la spesa, l’aeronautica Usa aveva dichiarato al Congresso (che è quello che sblocca concretamente i soldi, altro che il presidente) che la struttura militare nel Suffolk era destinata a “ospitare il personale arruolato nell’ambito come di una missione di garanzia“. Una formula, segnalano gli esperti, che nel gergo del Pentagono indica la gestione delle armi nucleari.

Il documento allegato al bilancio recuperato dalla Fas (Federation of American Scientists) precisa inoltre che l’ampliamento è giustificato dal probabile trasferimento di due squadroni F-35 di “quinta generazione” (circa 50 velivoli), allestiti anche per il trasporto di ordigni nucleari tattici. Investimenti statunitensi in infrastrutture dedicate alla conservazione di “armamenti speciali” in Europa erano stati segnalati già dal 2021.

La base militare “nucleare” di Lakenheath

L’ampliamento della base militare di Lakenheath dovrebbe prendere il via a giugno 2024, per essere ultimata nel febbraio 2026. Verrebbe dunque meno l’urgenza dell’installazione atomica aggiuntiva, con conseguente ridimensionamento della minaccia russa almeno a livello temporale. In realtà l’urgenza sta tutta nella preoccupazione di alcuni vertici politici e militari britannici e americani. Da mesi ormai si avvicendano infatti vari appelli, lanciati da entrambe le sponde dell’Atlantico, affinché il Regno Unito sia preparato in caso di una potenziale guerra tra le forze della Nato e quelle del Cremlino.

Di recente anche il generale Patrick Sanders, capo uscente dell’esercito di Sua Maestà, aveva dichiarato che i suoi 74mila effettivi “devono essere rafforzati da almeno 45mila riservisti e cittadini per essere meglio preparati a un eventuale conflitto”. Un cambio di rotta che si sarebbe largamente impopolare e che minerebbe la già fragile leadership di Downing Street, che ha infatti prontamente precisato che il servizio militare rimarrà volontario.

Il potenziale militare della Russia

La Russia è una potenza demografica e industriale di primo piano e la guerra la fa “seriamente”. Nel 2024 l’industria della Difesa annuncia che fornirà alle Forze armate oltre 36mila unità di equipaggiamento, 16,5 milioni di armi e più di un milione di unità di armamenti mobili, giubbotti antiproiettile e strutture di comunicazione.

Un programma militare che supera di gran lunga la spesa effettuata nel 2022 e nel 2023, segno della volontà del Cremlino di chiudere la partita ucraina e proiettarsi nei conflitti del futuro anche considerando le presidenziali di marzo, che incoroneranno ancora Vladimir Putin. Anche in terra russa “sono stati stipulati contratti e sono stati stanziati i finanziamenti in bilancio” in questo senso, ha riferito il viceministro Krivoruchko, aggiungendo che nel corso di quest’anno le forze aerospaziali di Mosca riceveranno in dotazione i bombardieri Tu-160 e sistemi di difesa aerea S-500.

Per restituire l’entità dello sforzo russo, “ridimensionabile” nei suoi propositi bellici in Europa, proponiamo un confronto con l’Unione Sovietica. Quest’ultima negli Anni Ottanta contava circa 200 milioni di abitanti e 5 milioni di effettivi, mentre oggi la Russia conta circa 146 milioni di cittadini e poco più di 1,5 milioni di soldati. Al netto di capacità marine e aerospaziali aggiornate, che aumentano il capitale militare umano di un altro mezzo milione di uomini. Praticamente la metà rispetto all’ultimo decennio della Guerra Fredda.

Passando al capitolo nucleare, va rimarcato che anche le mosse russe rappresentano una svolta decisiva dai tempi dell’Unione Sovietica, speculare alla mossa di Washington. Nel 2023 Mosca ha infatti finanziato in Bielorussia la costruzione di un “magazzino” per testate nucleari russe nella località di Asipovichy, a sud di Minsk.

Oltre l’Ucraina, la tattica Usa per un’Europa armata contro la Russia

L’aggiornamento nucleare in terra britannica indica in ogni caso che gli Usa vogliono allontanare il rischio di una seppur improbabile degenerazione nucleare del conflitto con la Russia. Dopo il fallimento della controffensiva ucraina, sarebbe dunque questa la nuova (ma vecchia) strategia degli Stati Uniti, o almeno una parte di essa. Anche perché a Mosca intanto si guarda già oltre la guerra d’Ucraina. Il viceministro della Difesa Aleksey Krivoruchko ha fatto sapere che il sistema missilistico Sarmat, razzo balistico intercontinentale in grado di trasportare testate nucleari e colpire bersagli in tutto il mondo in pochi secondi, sarà messo in servizio di combattimento nel corso del 2024. Ecco che la strategia americana appare più comunicativa che altro, intenzionata a guadagnare tempo per evitare la debacle della Nato in Ucraina, almeno fino al voto americano di novembre.

In generale, gli analisti americani e occidentali non hanno ormai più dubbi: l’Ucraina non può vincere. Ma tra il non vincere e il perdere passa tutta la differenza del mondo, in ambito militare. La guerra in Ucraina sta vivendo una fase di consunzione, più che di stallo, anche se ogni giorno si bombarda, si spara e si continua a morire in maniera tragica. Sullo sfondo c’è la volontà americana di congelare il conflitto, scaricando sulle spalle europee l’onere di sostenere praticamente in toto il sostegno a Kiev. Sul terreno le difficoltà ucraine sono però evidenti e allarmanti: mancano munizioni, uomini e unione, come ha ampiamente certificato l’affare Zaluzhny. Ecco dunque riproposta la drammatica realtà: l’Ucraina non può vincere senza l’aiuto occidentale, e quindi europeo, e non ha un piano B.

Ma perché l’Ue dovrebbe continuare a sostenere un Paese che non può vincere? I motivi sono vari. Primo: perché ce lo dicono gli Usa, cioè gli egemoni globali che dettano la strategia dello spazio europeo comunitario e dei singoli Stati come Italia, Germania, Polonia e degli altri membri della Nato. Secondo: una questione poco tattica e per niente strategica, e cioè l’aspetto morale di aiutare un Paese sovrano aggredito, ottima lancia della propaganda statunitense di contrasto dell’imperialismo russo prima che raggiunga l’Europa. Terzo: difenderci dalla minaccia russa nel comune estero vicino dell’Ucraina, territorio cuscinetto e teatro di scontro per procura. Questo ultimo punto comprende un colossale errore di calcolo da parte degli Usa, nel considerare la Russia in difficoltà dopo le prime settimane di scontro del 2022.

Russia che invece si è confermata quello che è sempre stato anche in epoca sovietica e zarista: un Paese sconfinato pieno di risorse umane e materiali, che “nasconde” la propria forza nelle profondità siberiano e centroasiatiche e la riversa all’occorrenza sul proprio fronte occidentale. Talmente forte da minacciare anche (e ancora) l’Europa. Uno scenario, va detto, altamente improbabile perché richiederebbe uno sforzo estremo da parte di Mosca, contro una Nato nettamente più forte e capillare. Come certificato anche dal segretario della Nato, Jens Stoltenberg, che il 7 febbraio ha dichiarato che “la pace non è mai scontata, ma non ci sono minacce imminenti”. Lo scopo di fondo resta quello di prolungare a oltranza il racconto su un’Ucraina che può e deve resistere all’invasore russo.

Nuove armi nucleari Usa anche in Italia?

In ultima istanza, va segnalato che il programma di riarmo nucleare dei Paesi europei per volontà americana non riguarderà soltanto il Regno Unito. Tra i cinque Stati della Nato chiamati a investire nella costruzione di luoghi adatti allo stoccaggio di armi atomiche, come riportato dalla Fas, figurerebbe anche l’Italia, oltre a Belgio, Germania, Paesi Bassi e Turchia. Proprio in quest’ultima, tra l’altro, si parlerebbe della possibile dismissione della base Nato di Incirlik. Segnale eventuale che la presidenza Erdogan è vista sempre più come una possibile quinta colonna interna all’Alleanza Atlantica.

Si parla del trasferimento complessivo nell’Ue di 100 bombe B-61, testate atomiche all’idrogeno pensate proprio per la cosiddetta “condivisione nucleare”, che prevede il dislocamento statunitense di armi tattiche e strategiche in Europa. Si tratta di armi che possono essere usate anche dai cacciabombardieri F-16 statunitensi, belgi e olandesi e dai bombardieri Tornado e F-35 italiani e tedeschi.