Il fallimento militare della controffensiva ucraina è un fatto acclarato (lo avevamo anticipato qui). L’esercito di Kiev non è infatti riuscito a raggiungere il suo obiettivo dichiarato a giugno 2023: liberare tutte le regioni occupate dalle truppe russe, compresa la Crimea. La stanchezza di militari e civili, che si sono visti anche bloccare le elezioni presidenziali di marzo per via della legge marziale ancora in vigore, e la contemporanea stanchezza degli alleati occidentali nel fornire aiuti stanno spingendo Zelensky quasi in un vicolo cieco.
Il conflitto tra Israele e Hamas ha sicuramente dirottato parte consistente di quell’impegno che, fino al 7 ottobre, gli Stati Uniti dedicavano quasi esclusivamente a Kiev (oltre al mantenimento della flotta nello Stretto di Taiwan). Quei soldi servono a pagare anche gli stipendi di funzionari e amministratori ucraini, il che pone a serio rischio la tenuta del governo Zelensky, già tacciato di condotta anti-democratica per il rinvio a oltranza del voto. Sul campo di battaglia le cose vanno molto male, soprattutto per via della mancanza di munizioni. Siamo davvero arrivati all’ultima fase della guerra? Analisi e scenari di ciò che potrebbe succedere.
Come sta andando la guerra tra Russia e Ucraina
Nelle prime tre settimane di dicembre la Russia ha registrato un’avanzata decisiva in Ucraina, dove è avanzata su tutti i fronti di guerra guadagnando terreno. A nord e a sud di Avdiivka l’esercito russo ha stretto gli ucraini in una manovra a tenaglia, mentre nella devastata Bakhmut ha ripreso il possesso di zone riconquistate temporaneamente dalla controffensiva di Kiev. Anche sulla linea di Zaporizhzhia i militari di Mosca hanno ripreso terreno, verso il villaggio di Rabotino che rappresenta di fatto l’unico successo dell’avanzata ucraina. Al momento l’esercito di Kiev mantiene la cruciale testa di ponte sulla riva sinistra del fiume Dnepr, ma non riesce a rifornirla di uomini, munizioni e armamenti.
Il Times ha pubblicato diverse interviste in cui soldati ucraini raccontano di aver rinunciato a sparare contro le truppe russe in avanzamento verso Avdiivka proprio per l’estrema scarsità di munizioni. Una situazione che ha spinto sempre più reparti a fare della parsimonia di proiettili un modus operandi diffuso e consolidato, e che comporta la scelta di sottrarsi a combattimenti e la conseguente perdita di territori a favore del nemico. Si combatte solo in caso di assoluta urgenza, mettendo in conto la ritirata. Volodymyr Zelensky è informato di tutto questo, ma cerca di dissimulare e chiede a gran voce all’Occidente l’immediato invio di altri pacchetti militari.
Ma gli alleati Usa e Ue sono stanchi, sia per il crescente malcontento dell’opinione pubblica sia per incapacità industriale nel mantenere un simile ritmo produttivo. Il Congresso americano ha di fatto bloccato la discussione sul nuovo pacchetto di aiuti globale (Israele + Ucraina) che avrebbe destinato circa 14 miliardi di dollari a Israele e oltre 60 miliardi a Kiev. Nella sua ultima tranche di aiuti prima di Natale la Germania, grande motore d’Europa in crisi pressoché nera, ha inviato meno di 2mila proiettili di artiglieria, quando l’Ucraina ne ha bisogno di circa 6mila al giorno per sperare di tenere testa all’esercito russo.
Il 21 novembre il Wall Street Journal ha poi evidenziato le lacune organizzative ucraina nella gestione di una controffensiva decisamente troppo ambiziosa. La scarsa pianificazione avrebbe condotto le truppe, armate con veicoli corazzati Bradley statunitensi e carri armati Leopard tedeschi, a soccombere sotto l’avanzata russa nell’oblast di Zaporizhzhia. Le truppe di Kiev non sono riuscite neanche a riprendere la città di Tokmak, snodo cruciale per tagliare la strada ai russi verso la città di Melitopol – quartier generale politico-militare di Mosca della regione – e verso il grande porto di Berdyansk sul Mar d’Azov. Le perdite umane e materiali sono state enormi e senza un cambiamento territoriale della situazione del fronte nel corso dell’ultimo anno, come evidenziato anche da un recente studio pubblicato dal New York Times.
Accordo tra Ucraina e Russia sulla tregua di Natale
Ripercorrendo la scia del celebre episodio della partita di calcio tra inglesi e tedeschi al fronte durante la Prima Guerra Mondiale, a distanza di un secolo anche Ucraina e Russia hanno concordato una sorta di tregua momentanea in occasione del Natale. Per la prima volta dall’inizio del conflitto, i prigionieri di guerra di entrambi gli schieramenti potranno ricevere lettere e pacchi dai loro cari e dalle associazioni umanitarie. La “firma” dell’accordo è stata la consegna dei beni avvenuta “al confine con il sostegno e la partecipazione delle agenzie competenti”, ha riferito la commissaria russa per i diritti umani Tatyana Moskalkova.
Siglato alla presenza del commissario di Kiev Dmitry Lubinets, il patto è stato concluso alla vigilia del primo Natale ucraino che cade il 25 dicembre. Fin dal 1917 la Festa è infatti sempre stata festeggiata il 7 gennaio, come previsto dal calendario giuliano in vigore in Russia. Con la presidenza Zelensky, però, si è voluto dare un taglio netto col passato sovietico e russo e un disegno di legge ad hoc ha spostato il Natale nella data canonica del calendario gregoriano in uso anche da noi. La chiara presa di posizione culturale di Kiev non ha comunque impedito di venire a patti con Mosca, fosse anche solo per un’iniziativa “umana”. Se la si unisce alla disponibilità dichiarata da Vladimir Putin a intavolare negoziati, nel chiaro tentativo di congelare il fronte in una situazione di vantaggio per la Russia.
Ucraina e Zelensky con le spalle al muro?
La Russia, insomma, guadagna terreno in Ucraina, sfruttando la sua superiorità demografica e industriale soprattutto per rinforzare le posizioni di difesa lungo la linea di contatto, che corre per centinaia di chilometri dalla penisola di Kinburn sulla foce del Dnepr al fiume Oskil nel Donbass settentrionale. Questo corso d’acqua potrebbe rivelarsi cruciale come confine naturale per l’eventuale futura divisione fra Ucraina libera e la “nuova Russia”. Per di più l’Ucraina ha preferito mandare in prima linea al fronte i reparti meno dotati, preferendo tenere di riserva i suoi uomini migliori. Zelensky continua a fare la voce grossa, ma non sia in patria sia in Occidente la fiducia nei suoi confronti sta drasticamente calando. Come testimoniano, del resto, i titoli della stampa occidentale più autorevole. La copertina di novembre del Times, dedicata al Capo di Stato ucraino, non lascia molto spazio a interpretazioni. Al titolo amaramente sarcastico “Nessuno crede nella nostra vittoria come me. Nessuno”, si aggiunge un catenaccio ancora più velenoso: “Sono passati quasi due anni. La Russia controlla ancora un quinto del territorio dell’Ucraina. Decine di migliaia di uomini sono stati uccisi. Il sostegno globale alla guerra si sta riducendo”.
Zelensky è stato senza dubbio utilissimo, soprattutto all’inizio, come argine fieramente anti-russo nel tentativo della Nato di strappare l’Ucraina alla sfera russa ma, come Netanyahu in Israele, sta diventando un grosso grattacapo per Usa e Ue a causa della sua intransigenza. Lo ha dimostrato una volta in più quando è venuto a conoscenza di una bozza di accordo di pace discussa da decisori russi e statunitensi, resa nota a novembre dalla Nbc, in cui venivano stabilito i territori e i privilegi ai quali avrebbe dovuto rinunciare l’Ucraina. Risultato: Zelensky ha chiuso ogni possibilità di negoziati con Putin e negato di essere al corrente di trattative sotterranee. Come previsto, tra l’altro, dal decreto 679/2022, firmato dallo stesso Zelensky, in cui si stabilisce il divieto di intavolare qualunque tipo di accordo col Cremlino finché Putin ne sarà alla guida.
Al presidente ucraino vengono inoltre imputate, in patria e dagli analisti, le maggiori responsabilità per il fallimento della controffensiva. Nonostante i cospicui rifornimenti occidentali, inclusi addestramento e campagne di intelligence, Zelensky non ha utilizzato appieno i mezzi a disposizione preferendo concentrarsi su quelle che i media internazionali hanno definito le sue “purghe”. Il Capo dello Stato ha infatti praticamente azzerato lo Stato Maggiore ucraino, venendo spesso e volentieri a contrasti col generale Valery Zaluzhny, col quale è in atto una vera e propria guerra politica in vista delle elezioni che prima o poi si celebreranno. L’intromissione diretta di Zelensky nelle questioni militari sorpassa di sana pianta Zaluzhny, addirittura tramite canali paralleli di comunicazione tra presidente e comandanti dei singoli reparti dell’esercito.
La guerra sta per finire?
Nonostante la situazione incresciosa, verosimilmente questa non sarà l’ultima fase della guerra d’Ucraina. Da un lato la Russia preferisce trincerarsi in maniera profonda nelle terre che già controlla, chiudendo la linea verso Crime e Mar Nero, senza dunque avventurarsi nella conquista di nuovi territori. Perché impadronirsi di nuove aree costa molto in termini umani, viste le inevitabili perdite in battaglia e la necessità di presidiare le nuove annessioni. Dall’altro lato, le risorse ucraine vengono sempre meno, anche se Mosca ha paura che il flusso di aiuti occidentali possa riprendere più forte di prima dopo le fondamentali elezioni statunitensi. Putin fa dunque intendere che potrebbe “accontentarsi”, pur di ottenere garanzie concrete sulla futura neutralità dell’Ucraina e sulla sua smilitarizzazione.
Il conflitto, dunque, è destinato a protrarsi ancora per mesi. Qualunque tentativo di cessate il fuoco è visto da ambo le parti come un inganno, come un pretesto per poter rivendicare altro e attaccare nell’immediato futuro. Secondo il consigliere presidenziale ucraino Mykhajlo Podolyak, “l’unica soluzione possibile per scongiurare una seconda guerra d’Ucraina nei prossimi anni è la sconfitta strategica della Russia”. Ma gli Usa non vogliono questo, perché una Russia annientata diventerebbe preda della Cina e toglierebbe una base imprescindibile degli equilibri del mondo. Zelensky vuole continuare la guerra, a qualunque costo. Bisogna vedere se i suoi e gli alleati occidentali glielo permetteranno ancora.