Prezzo del gas in aumento con la guerra Usa-Iran

Dopo l'attacco Usa in Iran e la minaccia di Teheran di chiudere lo Stretto di Hormuz, le quotazioni del gas hanno fatto segnare un aumento sulla scia del prezzo del petrolio

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Claudio Carollo

Giornalista politico-economico

Classe ’88, è giornalista professionista dal 2017. Scrive di attualità economico-politica, cronaca e sport.

Pubblicato: 23 Giugno 2025 10:43

Primi sussulti nelle quotazioni degli idrocarburi di fronte al pericolo di una crisi energetica globale, che potrebbe scaturire dal conflitto tra Iran e Israele. Dopo l’entrata in guerra degli Usa, il parlamento di Teheran ha votato a favore della chiusura dello Stretto di Hormuz, il corridoio marittimo da cui passa una quota consistente del petrolio e del gas venduto in tutto il pianeta.

La decisione non è definitiva ed è sottomessa al Consiglio supremo di sicurezza nazionale del Paese islamico, ma la sola minaccia del blocco del braccio di mare potrebbe fare schizzare il prezzo di greggio e Gnl, provocando un terremoto nelle Borse di mezzo mondo. Nonostante sui mercati non si siano registrati shock, il prezzo del petrolio ha fatto registrare un balzo e anche quello del gas è in crescita.

Il prezzo di gas ai massimi da aprile

Sulla scia del greggio, le quotazioni del gas hanno guadagnato il 2% in avvio di giornata, raggiungendo quota 41,90 euro al megawattora.

All’inizio delle contrattazioni di lunedì 23 giugno, il contratto future TTF di riferimento con consegna a un mese è salito a 42,44 euro per megawattora (MWh), facendo segnare il livello più alto dall’inizio di aprile.

Dall’inizio del conflitto tra Israele e Hamas, le esportazioni israeliane di Gnl si sono bloccate, spingendo l’Egitto a interrompere la fornitura di gas verso l’Europa, con la conseguente risalita dei prezzi della materia prima nel Vecchio continente.

Anche se la bella stagione porta a una richiesta di gas inferiore, l’innalzamento delle temperature delle prossime settimane porteranno una crescita del consumo di energia per il raffreddamento e dunque a un aumento della domanda.

Balzo del petrolio

L’escalation in Medio Oriente ha avuto un impatto ancora più rilevante sul petrolio, che dopo aver raggiunto i livelli più alti da gennaio sembra essersi stabilizzato nel corso delle ore: il prezzo della materia prima ha fatto segnare un rialzo del 4% prima di ripiegare, con il Brent in crescita dell’1,12% a 77,88 dollari al barile e il WTI in salita dell’1,15% a 74,69 dollari.

Alla luce della minaccia dell’Iran di chiudere lo Stretto di Hormuz, il rischio di un’impennata improvvisa delle quotazioni rimane però dietro l’angolo.

Da questo braccio di mare largo appena 30 chilometri, che collega il Golfo di Oman a sud-est e il Golfo Persico a ovest, passano circa 3mila navi ogni mese e in media 20 milioni di barili di greggio ogni giorno.

Si tratta di una rotta strategica per il commercio degli idrocarburi, da cui passa oltre un quinto del petrolio mondiale (da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar, Iraq, Iran) e oltre un decimo dell’offerta di Gnl, congelato sulle navi in gran parte da Qatar, Arabia Saudita e Iran.

Il rischio di crisi energetica

Francesco Sassi, ricercatore in geopolitica dell’energia all’Università di Oslo, ha spiegato all’Adnkronos come l’instabilità mediorientale si aggiunga alle ripercussioni della guerra tra Russia e Ucraina subite dall’Europa sul fronte energetico. L’esperto prevede che gli effetti del conflitto in Iran cominceranno a vedersi a partire dalla prossima settimana, soprattutto sui mercati europei e asiatici.

È una situazione molto complessa. È doveroso fare una premessa: una cosa è la richiesta di chiusura dello stretto di Hormuz e una cosa è attuarla, anche dal punto di vista militare. Stando alla situazione attuale, l’Europa e tutto l’Occidente è impaurito dalle possibili conseguenze di questo atto. Fa più effetto il fatto che sia stato richiesto da parte del Parlamento iraniano perché già questo basta per infiammare i mercati e avere conseguenze che peseranno sui consumatori.

Goldman Sachs non prevede al momento interruzioni rilevanti delle forniture di petrolio e gas naturale, ma la banca d’affari stima che se anche il traffico di greggio dallo Stretto di Hormuz dovesse essere dimezzato per un mese il Brent potrebbe raggiungere un picco di 110 dollari al barile, per poi rimanere in calo del 10% nei 11 mesi successivi.