Guerra Iran-Usa: Putin coinvolto, la minaccia su Hormuz

Mentre si attende la ritorsione iraniana all'attacco americano ai siti nucleari del Paese, Teheran ha chiesto un incontro a Putin e ha minacciato di chiudere lo stretto di Hormuz

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Matteo Runchi

Editor esperto di economia e attualità

Redattore esperto di tecnologia e esteri, scrive di attualità, cronaca ed economia

Aggiornato: 23 Giugno 2025 08:44

A seguito dei bombardamenti statunitensi sui siti nucleari iraniani, il ministro degli esteri di Teheran Abbas Araghchi andrà a Mosca per incontrare il presidente russo Vladimir Putin. L’Iran starebbe nel frattempo valutando di chiudere lo stretto di Hormuz come ritorsione, una scelta che colpirebbe soprattutto il mercato energetico europeo, più che gli Usa.

Nella giornata di domenica, Trump ha progressivamente aperto alla possibilità di un cambio di regime in Iran con alcuni post sul suo social network Truth. Intanto diverse fonti stanno ridimensionando i danni fatti dai bombardamenti americani ai siti nucleari colpiti.

L’Iran si affida a Putin

Nella giornata di oggi lunedì 23 giugno, il ministro degli esteri iraniano Abbas Araghchi incontrerà a Mosca il presidente russo Vladimir Putin. Un viaggio che sembrava probabile già prima degli attacchi e che ora è diventato urgente, per permettere a Teheran di rompere l’isolamento diplomatico creatosi dopo il collasso dei colloqui sul programma nucleare con gli Usa.

Russia, Cina e Pakistan hanno inoltre presentato una mozione all’Onu per un cessate in fuoco in Iran. Nel Paese intanto, migliaia di persone hanno manifestato contro gli Stati Uniti e gli attacchi ai siti nucleari sotterranei avvenuti nella notte tra sabato e domenica.

Le possibili reazioni di Teheran e lo stretto di Hormuz

Per il momento l’Iran non ha ancora reagito dal punto di vista militare all’attacco degli Usa. Secondo diversi analisti, gli obiettivi principali sarebbero due. Il primo sono le basi statunitensi in Medio Oriente, che potrebbero subire attacchi missilistici diretti. Un’operazione che potrebbe però convincere gli Usa a continuare la guerra al fianco di Israele.

Non è nemmeno sicuro che l’Iran abbia ancora la capacità missilistica per compiere attacchi di questo tipo. Le scorte di razzi balistici iraniane sarebbero infatti state messe alla prova dalla ritorsione contro Israele dei giorni scorsi.

Un’altra possibilità è quella della chiusura dello stretto di Hormuz, il tratto di mare che collega il Golfo Persico all’Oceano Indiano, diviso tra Iran e Oman. Se Teheran decidesse di bloccare il passaggio delle navi commerciali nello stretto, potrebbe mettere in crisi il mercato energetico europeo che, dopo la fine delle forniture di gas dalla Russia, dipende da quelle dei Paesi del Golfo.

Il parlamento iraniano ha già approvato una mozione per la chiusura dello stretto, una decisione che ha fatto salire il prezzo del petrolio ancora prima di diventare operativa.

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I dubbi sui danni causati dal bombardamento

Da parte americana, l’operazione è stata festeggiata fin da subito come un successo. Il segretario alla Difesa Pete Hegseth ha espresso la sua soddisfazione:

È stato un successo schiacciante. Abbiamo devastato le capacità nucleari dell’Iran grazie al piano visionario del nostro Comandante in Capo Donald Trump.

Nella serata di domenica sono emerse le prime foto satellitari dei siti colpiti. Lo stesso Trump ha commentato dichiarando:

Abbiamo fatto un danno monumentale a tutti i siti nucleari in Iran, come mostrato dalle foto satellitari. La parola giusta è ‘annientamento’! Le strutture di colore bianco visibili sono nascoste in profondità nel terreno, con anche il tetto diversi piani sottoterra.

Nelle ore successive però, il Pentagono ha ridimensionato le stime dei danni, definendoli “gravi”, con toni meno trionfalistici di quelli di Trump e dei suoi ministri.

Trump apre al regime change

Fin dalle prime dichiarazioni successive all’attacco, sembrava chiaro che gli Stati Uniti puntassero esclusivamente alla distruzione dei siti nucleari iraniani. Non c’era, apparentemente, nessuna intenzione di favorire un cambio di regime in Iran, come ipotizzato invece dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Nella serata di domenica 22 però, Trump sembra aver cambiato idea. Dal suo profilo sul social network Truth ha dichiarato:

Non è politicamente corretto, il termine “Regime change”, ma se l’attuale regime dell’Iran non è in grado di rendere l’Iran di nuovo grande, allora perché non dovrebbe esserci un regime change?

Le affermazioni hanno aperto alla prospettiva di una prosecuzione degli attacchi nei prossimi giorni, se l’obiettivo fosse davvero favorire il rovesciamento del regime degli Ayatollah.

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