Come licenziarsi per giusta causa e perché

Scopri in questo articolo quali sono i motivi per presentare le dimissioni per giusta causa

Foto di Alessandra Di Bartolomeo

Alessandra Di Bartolomeo

Giornalista di economia

Giornalista esperta di risparmio, ha maturato una vasta esperienza nella divulgazione di questioni economiche.

Prima di esaminare che cosa sono le dimissioni per giusta causa e i validi motivi che giustificano tale decisione del lavoratore, è essenziale chiarire alcuni concetti. Il licenziamento è un atto esclusivo del datore di lavoro, mediante il quale egli decide di porre fine al rapporto di lavoro con il dipendente. D’altro canto, quando è il lavoratore a interrompere il rapporto, ci si riferisce correttamente a tale azione come “dimissioni”. Tuttavia, nell’uso comune è frequente l’utilizzo del termine “licenziarsi” quando un lavoratore decide di porre fine al proprio rapporto di lavoro.

Le differenze tra licenziamento e dimissioni

Il datore di lavoro non può unilateralmente risolvere il contratto con il proprio dipendente se non:

  • per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, relativo a un comportamento del dipendente;
  • per giustificato motivo oggettivo, relativo all’attività produttiva o all’organizzazione del lavoro stesso.

Il licenziamento pertanto deve necessariamente essere motivato, poiché il datore di lavoro è obbligato a indicare per quale delle motivazioni previste dalla legge intende interrompere il rapporto lavorativo con il dipendente. Il dipendente ha invece il diritto di dimettersi senza dover fornire alcuna motivazione, salvo nei contratti a tempo determinato, dove le dimissioni possono essere presentate solo per giusta causa..

La disparità di trattamento è giustificata dal fatto che l’ordinamento giuslavoristico tutela in modo rafforzato quella che è considerata la “parte debole” del rapporto lavorativo, e cioè il dipendente. Si ritiene in pratica che sia più facile per il datore di lavoro trovare un altro dipendente di quanto non sia per il dipendente trovare un altro posto di lavoro.

Quando rassegna le dimissioni, il lavoratore è tuttavia tenuto a riconoscere al datore di lavoro un periodo di preavviso, la cui durata è individuata dal contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl) della sua categoria di inquadramento.

Laddove invece voglia risolvere il contratto con effetto immediato, senza continuare a prestare la propria opera lavorativa per il periodo di preavviso, il lavoratore deve corrispondere al datore di lavoro una indennità sostitutiva di preavviso, ovvero un risarcimento, la cui entità è sempre determinata dal Ccnl. Questo avviene in tutti i casi, a meno che non si tratti di licenziamento per giusta causa.

Come licenziarsi per giusta causa e perché

Le dimissioni per giusta causa o, nel linguaggio comune, licenziamento o autolicenziamento, si hanno nel momento in cui il dipendente è costretto a dimettersi a causa di un comportamento illecito del datore di lavoro. Si tratta di comportamenti del datore di lavoro che costituiscono un’inosservanza talmente grave dei suoi obblighi contrattuali da non consentire al lavoratore neppure la prosecuzione temporanea del lavoro prevista dal periodo di preavviso.

La legge non fornisce un elenco specifico di situazioni che giustifichino le dimissioni di un lavoratore. Pertanto, occorre valutare caso per caso se il comportamento del datore di lavoro renda impossibile continuare il rapporto di lavoro. Nel tempo, tuttavia, la giurisprudenza ha identificato alcune circostanze considerate di solito giusta causa per dimettersi, tra cui:

  • il mancato pagamento dello stipendio, o anche il ritardato pagamento, se questo si protrae per un periodo di tempo apprezzabile;
  • l’omesso pagamento dei contributi previdenziali, a meno che ciò non sia stato accettato per lungo tempo dal dipendente;
  • il mobbing e le molestie sessuali da parte del datore di lavoro;
  • il demansionamento o svuotamento delle funzioni del dipendente, che non sia imputabile a motivi organizzativi oggettivi;
  • lo spostamento presso una diversa sede di lavoro se questo non è imputabile a motivi organizzativi oggettivi.

Come presentare le dimissioni per giusta causa

Le dimissioni per giusta causa devono essere presentate tempestivamente al verificarsi della condizione che le giustifica, perché la prosecuzione del rapporto lavorativo per un tempo protratto viene considerata come tacita accettazione di tali situazioni. L’unico modo per presentarle è tramite procedura telematica. Il lavoratore deve quindi far pervenire al datore di lavoro il modulo telematico, specificando che si tratta di dimissioni per giusta causa, mentre non è necessario esplicitare immediatamente le ragioni della scelta.

Il modulo si può ottenere tramite il portale cliclavoro.gov.it, accedendo con le proprie credenziali. Alternativamente, il lavoratore può fare affidamento su un intermediario autorizzato, come un sindacato, un patronato o un consulente del lavoro. Le dimissioni hanno effetto immediato. È importante ricordare che le dimissioni per giusta causa possono essere ritirate entro sette giorni, sempre tramite procedura telematica.

Dimissioni per giusta causa con un contratto a termine

Nel caso di contratto di lavoro a termine, le dimissioni non sono ammesse prima della scadenza, salvo che per giusta causa. Le dimissioni per giusta causa sono quindi le uniche che possono essere presentate dal dipendente a termine. In questo caso inoltre:

  • non è dovuta da parte del datore di lavoro l’indennità sostitutiva del preavviso;
  • il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno, in misura pari alla retribuzione che avrebbe percepito fino al termine previsto del contratto, ma solo se nel frattempo non trovi una nuova occupazione.

Dimissioni per giusta causa: le conseguenze

Le dimissioni per giusta causa comportano per il dipendente una serie di vantaggi rispetto alle dimissioni dovute ad altri motivi, il primo dei quali è sicuramente il fatto di non dover dare preavviso al datore di lavoro. La natura delle dimissioni per giusta causa non consente infatti la prosecuzione del rapporto di lavoro, neppure temporanea. Inoltre il dipendente che si dimette per giusta causa percepisce inoltre:

  • l’indennità sostitutiva di preavviso, in quanto si trova privo di occupazione a causa di un comportamento illecito del datore di lavoro;
  • l’indennità sostitutiva di eventuali ferie non godute;
  • la quota maturata a titolo di tredicesima o quattordicesima;
  • Il lavoratore che si dimette per giusta causa ha diritto di percepire l’indennità di disoccupazione (NASpI), come se fosse stato licenziato dal datore di lavoro, a differenza di chi si dimette senza giusta causa, che non ne ha diritto. Tuttavia, per accedere alla NASpI, il lavoratore dimissionario per giusta causa deve soddisfare uno dei seguenti requisiti: avere almeno 13 settimane di contribuzione nei 4 anni precedenti (requisito contributivo) o avere almeno 30 giorni di lavoro effettivo nei 12 mesi precedenti (requisito lavorativo).

Il lavoratore potrebbe infine percepire un risarcimento, facendo causa al datore di lavoro e dimostrando di aver subito un danno concreto per il suo comportamento. Nel caso di omesso pagamento dello stipendio, il versamento di tutti gli stipendi arretrati esaurisce ogni ulteriore forma risarcitoria.

Le dimissioni per malattia sono per giusta causa?

Anche se grave e invalidante, la malattia non è mai considerata giusta causa di dimissioni. La giusta causa è infatti relativa ad un comportamento illecito del datore di lavoro, mentre la malattia non dipende dal datore di lavoro e pertanto in questo caso le dimissioni vengono comunque considerate una libera scelta del lavoratore. In caso di malattia, il lavoratore viene comunque tutelato tramite la somministrazione di un’indennità di malattia che a seconda dei casi può essere riconosciuta dall’Inps o dal datore di lavoro. Questa indennità viene erogata per un periodo di tempo specifico dettato in base alla categoria di appartenenza del lavoratore.

In questo periodo di tempo, detto periodo di comporto, il dipendente ha diritto alla conservazione del proprio posto di lavoro. Terminato il periodo di comporto, poi, il lavoratore può richiedere un periodo di aspettativa non retribuita, che però il datore di lavoro non ha l’obbligo né di accettare né di sollecitare. In caso di malattia, il periodo di tutela può anche essere allungato con la concessione di ferie residue, ma anche in questo caso il datore di lavoro non è in nessun caso obbligato a concederle.