Quando si può essere licenziati in tronco: tutti i casi

I casi di licenziamento per giusta causa, o in tronco, sono più d'uno. La panoramica sulle situazioni che possono portare al recesso immediato del datore

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Pubblicato: 7 Luglio 2024 14:42

Il licenziamento è sempre un evento spiacevole per il lavoratore che ne riceve comunicazione. D’altronde quando si firma un contratto di lavoro, l’obiettivo delle parti è quello di un proficuo e durevole rapporto ed anche quando si tratta di tempo determinato, la speranza della trasformazione in indeterminato è spesso presente.

Tuttavia non sempre l’esperienza in una determinata azienda va a gonfie vele e possono verificarsi situazioni ed eventi tali da compromettere quell’iniziale clima di fiducia reciproca, che aveva condotto le parti alla firma del contratto. Talvolta questa compromissione è così grave che entra in gioco quello che in gergo è chiamato ‘licenziamento in tronco‘.

Probabilmente avrai già sentito nominare questa espressione, ma cosa vuol dire esattamente? Perché una persona, in determinate circostanze, viene licenziata in tronco? Quali sono le conseguenze? E quali sono i motivi o le circostanze che, comunemente, portano a questo tipo di licenziamento? Di seguito ne parleremo e fugheremo i tuoi eventuali dubbi, ecco cosa sapere.

Tipologie di licenziamento e fonti normative di riferimento

Per il diritto del lavoro il licenziamento consiste in quell’atto attraverso cui l’azienda o il datore di lavoro fa cessare unilateralmente il rapporto in essere con il dipendente, al di là della volontà di quest’ultimo. Vale la pena subito ricordare che peculiarità del contratto di lavoro a tempo indeterminato è quella di non poter essere interrotto se non per specifiche cause, fissate dalle norme vigenti.

Il quadro normativo di riferimento è dato in primis dalle leggi n. 604 del 1966 e n. 108 del 1990, recanti norme sui licenziamenti individuali, come pure dallo Statuto dei Lavoratori. Ma occorre almeno menzionare altresì la legge n. 92/2012 (riforma Fornero) ed il d.lgs. n. 23/2015, con cui è stato introdotto il sistema a tutele crescenti.

Grazie al complesso di regole vigenti possiamo notare che esistono vari tipi di licenziamento:

Per completezza ricordiamo altresì che anche il dipendente può scegliere di recedere unilateralmente da un contratto a tempo indeterminato, dando le dimissioni – senza peraltro doverne specificare le ragioni all’azienda o datore di lavoro. Anche queste ultime possono talvolta essere per giusta causa.

Sia in caso di licenziamento, sia in caso di dimissioni, è solitamente previsto un congruo periodo di preavviso, che ambo le parti devono dare – e rispettare – e la cui durata è fissata dal contratto individuale o dal Ccnl di settore.

Cos’è il licenziamento in tronco

Il licenziamento per giusta causa, detto anche licenziamento in tronco, è in primis regolato dall’art. 2119 del Codice Civile. Il testo contiene queste parole:

Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto.

Il licenziamento in tronco costituisce la tipologia più grave di recesso unilaterale dell’azienda e viene inflitto a seguito di un grave inadempimento compiuto dal lavoratore, tale da compromettere irreparabilmente il suo rapporto di fiducia con il datore di lavoro. La risoluzione del contratto sarà immediata.

Come il licenziamento per giustificato motivo soggettivo anch’esso è di natura disciplinare, ma il primo attiene a casi e comportamenti meno gravi e non tali quindi da interrompere istantaneamente il rapporto di lavoro.

Perché si chiama licenziamento in tronco

La giurisprudenza ha delineato e ampiamente dettagliato uno degli elementi costitutivi della giusta causa. Ci riferiamo all’immediatezza degli effetti del provvedimento sanzionatorio di espulsione, ossia di allontanamento dall’azienda. Ecco perché si parla di licenziamento in tronco, un recesso che opera senza preavviso e senza le tempistiche di un licenziamento per giustificato motivo soggettivo – ad esempio – ma che è tuttavia compatibile con un congruo intervallo di tempo utile all’accertamento dei fatti, contestati al dipendente.

Inoltre in tale fattispecie, il recesso immediato dal rapporto di lavoro determina il venir meno del diritto al versamento dell’indennità sostitutiva del preavviso.

In linea generale, per legge se il datore sceglie di recedere dal contratto senza rispettare il preavviso, è obbligato a pagare al dipendente tale indennità, vale a dire una somma pari alla retribuzione che sarebbe stata incassata se il preavviso vi fosse stato. E quest’ultimo altro non è che un lasso di tempo tra il giorno della comunicazione del licenziamento e l’ultimo giorno di lavoro che permette al dipendente di attivarsi tempestivamente per la ricerca di una nuova occupazione.

Come detto sopra, per le situazioni in cui il contratto si interrompe per cause gravi e improrogabili, l’obbligo di rispettare il periodo di preavviso viene meno. D’altronde essere licenziati in tronco significa aver commesso atti che hanno deteriorato completamente il rapporto fiduciario con l’azienda, tanto da non poter continuare a lavorare neanche per un solo giorno in più.

Esempi di licenziamento in tronco

A questo punto la domanda sorge spontanea: quali sono le situazioni tipiche da cui scaturisce la massima sanzione disciplinare del licenziamento? Ebbene, la giurisprudenza nel corso del tempo ha contribuito ad inquadrare e dettagliare un ampio ventaglio di casi, eccoli seguito:

  • minacce al capo o ai colleghi;
  • falsa malattia o falso infortunio;
  • assenze ingiustificate o fondate su false motivazioni;
  • abbandono del posto di lavoro (qualora possa derivare un danno alla salute o alla sicurezza degli impianti);
  • violazione del patto di non concorrenza;
  • utilizzo ingiustificato dei permessi legge 104;
  • diffamazione dell’azienda e dei suoi prodotti;
  • danneggiamento dei beni aziendali;
  • insubordinazione verso i superiori;
  • compimento di un grave reato nella propria vita privata (ad es. molestie sessuali o falsa testimonianza);
  • furto di beni aziendali nell’ambito dell’orario di lavoro e dello svolgimento delle mansioni;

La giusta causa di licenziamento – come detto sopra – determina il venir meno del rapporto di fiducia. In caso di contestazione in tribunale del licenziamento, il magistrato dovrà valutare, da una parte, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, e dall’altra la proporzionalità tra i fatti contestati e la sanzione disciplinare inflitta, per acclarare se quanto successo sia tale da giustificare l’applicazione del licenziamento in tronco.

Ricordiamo infine che nella legge n. 183/2010 il legislatore ha stabilito che, nel valutare le motivazioni del licenziamento, il giudice sarà vincolato alle tipizzazioni della giusta causa o del giustificato motivo di cui nei Ccnl stipulati dai sindacati più rappresentativi, o nei contratti individuali certificati.