La Lega ha già fatto sapere che non parteciperà al referendum abrogativo previsto per l’8 e il 9 giugno 2025, invitando all’astensione. La consultazione popolare coinvolgerà cinque quesiti relativi a temi chiave come lavoro e cittadinanza.
I primi quattro quesiti, promossi dal sindacato Cgil con il sostegno di diversi partiti e associazioni, mirano a modificare il Jobs Act: tra gli obiettivi ci sono il ripristino del reintegro in caso di licenziamenti illegittimi, l’eliminazione del tetto agli indennizzi nelle piccole imprese, l’obbligo di causale per i contratti a termine e la responsabilità solidale negli appalti in caso di infortuni.
Il quinto quesito riguarda la cittadinanza italiana per i cittadini extra-Ue: si propone di ridurre da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale necessario per la richiesta. Come per tutti i referendum abrogativi, un’affluenza inferiore al 50% annullerebbe il risultato.
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La posizione della Lega: perché Salvini invita all’astensione
La Lega, forza di governo guidata da Matteo Salvini, ha adottato una linea chiara in vista di questa consultazione, in linea con gli altri partiti del centrodestra: invitare gli elettori a non recarsi alle urne, ovvero all’astensione.
L’obiettivo dichiarato è non arrivare al quorum e quindi lasciare in vigore le leggi attuali. Secondo questa prospettiva, non votare diventa un modo per esprimere dissenso verso dei referendum considerati “di parte”, promossi dalla sinistra.
Il leader leghista ha definito questi referendum “un’arma politica”, affermando di non condividerne i contenuti, in particolare “il regalo della cittadinanza anticipata” ai cittadini stranieri. Salvini rivendica che astenersi è una scelta politica legittima (“in democrazia questo è permesso”), richiamando il precedente di quando, in passato, altri invitarono a boicottare referendum a cui la Lega teneva.
Lavoro e Jobs Act: i quesiti che la Lega vuole bloccare
Pur trattando temi sociali importanti (tutele contro i licenziamenti, lotta alla precarietà e sicurezza nei luoghi di lavoro) i quattro quesiti sul lavoro non hanno ottenuto il sostegno della Lega. Il partito di Salvini, anzi, si è schierato contro l’abrogazione delle norme vigenti, sostenendo la necessità di mantenere l’impianto attuale del Jobs Act. Esponenti del centrodestra bollano l’iniziativa referendaria come ideologica: un tentativo della sinistra di “smantellare” riforme esistenti più che di risolvere problemi concreti.
In linea con questa visione, la Lega ritiene che abrogare parti del Jobs Act non sarebbe la strada giusta per creare occupazione stabile. Ad esempio, sul quesito dei licenziamenti illegittimi (reintegratione vs. indennizzo), i leghisti temono che il ritorno all’Art.18 dello Statuto dei Lavoratori possa scoraggiare le assunzioni nelle medie imprese. Analogamente, sul tetto agli indennizzi nelle piccole imprese, la Lega difende l’idea di evitare oneri imprevedibili alle aziende sotto i 15 dipendenti.
Per quanto riguarda i contratti a termine, introdurre nuovamente obblighi di causale sin dal primo anno di contratto viene visto dal partito come un potenziale freno alla flessibilità del mercato del lavoro. Infine, sul tema della responsabilità solidale negli appalti, la Lega preferisce mantenere l’assetto attuale (che esclude la corresponsabilità del committente), temendo che un inasprimento normativo possa pesare sul settore edile e sugli appalti pubblici.
In assenza di endorsement ai No espliciti, la linea leghista dell’astensione equivale in pratica a un rifiuto dei quattro Sì su lavoro. Salvini e altri esponenti di centrodestra hanno rimarcato che, a loro avviso, questi referendum non risolverebbero realmente il problema della precarietà. Come evidenziato da alcuni critici, anche in caso di vittoria dei Sì non si tornerebbe alle regole pre-2015, ma a quelle della riforma Monti-Fornero del 2012 (che prevedono indennizzi economici anziché il reintegro automatico).
Il no della Lega al quesito sulla cittadinanza italiana
Sul quinto quesito, relativo alla legge sulla cittadinanza italiana, la contrarietà della Lega è ancora più netta. Il referendum propone di facilitare l’ottenimento della cittadinanza per gli stranieri residenti, dimezzando da 10 a 5 gli anni di residenza continuativa richiesti.
Salvini ha esplicitamente rigettato quella che definisce la “cittadinanza anticipata” come un “regalo” non giustificato, ricordando che l’Italia già oggi concede un alto numero di nuove cittadinanze ogni anno rispetto agli altri Paesi europei.
Invece di allentare i requisiti, il leader leghista ha rilanciato la posizione opposta: “stiamo lavorando alla revoca della cittadinanza per gli stranieri che commettono reati gravi”. Questa dichiarazione sintetizza la filosofia leghista sulla questione: prima di ampliare i diritti di cittadinanza, per la Lega occorre garantire sicurezza e adesione ai valori nazionali da parte di chi è già cittadino.
Il partito di Salvini teme che abbassare la soglia a 5 anni possa portare a naturalizzazioni indiscriminate, svendendo l’identità nazionale e senza assicurare una reale integrazione.
Coerentemente, la Lega invita a bocciare il quesito sulla cittadinanza così da mantenere l’attuale legge del 1992. Questa posizione è condivisa dall’intero centrodestra di governo, nonostante qualche voce più moderata (soprattutto in Forza Italia) avesse in passato mostrato apertura verso riforme come lo Ius scholae.
