È uno stato di agitazione senza precedenti quello che vede protagonisti gli agricoltori europei da ormai diverse settimane. A parte pochi casi isolati come l’Austria e la Danimarca, la cosiddetta protesta dei trattori sta interessando tutti i Paesi membri dell’Unione europea, con alcune mobilitazioni particolarmente calde – e molto partecipate – in Belgio, in Francia, in Germania e anche in Italia.
Si contano ormai a decine le contestazioni organizzate sul nostro territorio nazionale tra fine gennaio e i primi giorni di febbraio: dal Veneto alla Puglia, dalla Lombardia all’Abruzzo, passando per il Lazio e la Toscana, gli agricoltori stanno facendo sentire la loro voce occupando piazze, strade, ponti e autostrade. Nel mirino ci sono le politiche europee per la transizione ecologica, ma anche i provvedimenti del governo Meloni (che sta cercando di inserire l’esenzione dell’Irpef nel decreto Milleproroghe, dopo averlo eliminato nell’ultima legge di Bilancio).
Protesta dei trattori: parla Stefano Cucchi, leader degli agricoltori in Emilia Romagna
Anche in Emilia Romagna – culla della Food Valley in cui si producono alcune delle eccellenze mondiali del nostro comparto enogastronomico – i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli stanno incrociando le braccia e accendendo i trattori. Nella mattinata di mercoledì 7 febbraio si sono dati appuntamento a Bologna, dove si contavano oltre 500 trattori. A distanza di cinque giorni il loro presidio continua: salvo stravolgimenti, rimarranno nel capoluogo emiliano fino a giovedì, quando sposteranno i loro mezzi agricoli a Modena per un nuovo presidio organizzato.
“Vogliamo una vera sovranità alimentare, che metta al primo posto i prodotti delle nostre terre, non quelli importati dall’estero”. A parlare è Stefano Cucchi, imprenditore agricolo di Rio Saliceto (comune della bassa reggiana), tra i leader delle proteste dei trattori andate in scena nell’area emiliano romagnola.
Stefano Cucchi, quali sono i motivi principali che vi spingono a protestare?
“Siamo incazzati neri. In questi anni abbiamo assistito ad un calo costante del prezzo di vendita dei nostri prodotti. Non ci sono più margini di guadagno per il lavoro che svolgiamo ogni giorno. E questo perché subiamo una concorrenza interna sleale: da Nord a Sud, gli alimenti italiani devono gareggiare con quelli di Paesi stranieri, che vengono importati a basso prezzo e stravolgono l’equilibrio del mercato. Questi sono gli effetti di una globalizzazione incontrollata e senza regole”.
Ci faccia alcuni esempi pratici.
“Gli ortaggi emiliani vengono venduti nei supermercati accanto a quelli provenienti dall’est Europa, che costano la metà ma hanno una qualità molto più scadente. Con questa disponibilità pressoché illimitata, il prezzo al dettaglio cala e, di conseguenza, cala anche il nostro compenso, mentre i costi di produzione crescono di anno in anno. I nostri sono prodotti di eccellenza mondiale, coltivati seguendo tutte le regole previste dall’Italia e dall’Unione europea, devono essere tutelati. E ho fatto solo un esempio, ma potrei citare le arance di Sicilia, le prugne della Campania, gli asparagi del Veneto…”
Nello specifico, quali sono le vostre richieste?
“Non ci si può riempire la bocca parlando di Made in Italy e poi lasciare che questa situazione vada avanti. Chiediamo che venga attuata una vera e propria sovranità alimentare, che tuteli le nostre aziende e metta al primo posto il consumo di prodotti italiani. Le importazioni estere devono diventare un’eccezione, non possono essere la regola: prima vendiamo quello che raccogliamo dalle nostre terre e solo quando finisce apriamo alla concorrenza di altri Paesi. In gioco c’è la sopravvivenza di migliaia di coltivatori diretti e imprenditori agricoli“.
Protestate contro il governo o contro l’Unione europea?
“Le normative sempre più stringenti sono europee. In questi anni ci è stato proibito di usare i prodotti fitosanitari e i fertilizzanti, nonostante i quantitativi utilizzati non avessero alcun impatto sulla qualità dei nostri prodotti. Apprendiamo proprio in queste ore che Ursula von der Leyen ha stoppato il regolamento sui pesticidi. Bene, ma non basta. Anche da parte del governo ci attendiamo di più: abbiamo apprezzato la lettera che ci ha scritto Giorgia Meloni, mostrandosi comprensiva e interessata alle nostre richieste. Venga a trovarci in Emilia Romagna assieme ai suoi ministri”.
Diversi esponenti della maggioranza – soprattutto della Lega – si dicono al vostro fianco in questa protesta. Siamo di fronte all’ennesima occasione in cui la politica strizza l’occhio ai manifestanti?
“Il governo ha sbagliato a eliminare l’esenzione Irpef per i redditi agrari e dominicali con l’ultima legge di Bilancio. Ora, per fortuna, pare che verrà reintrodotta. Ma non è sufficiente. Il prezzo del carburante è schizzato alle stelle negli ultimi anni: occorre reintrodurre il credito d’imposta almeno per i primi sei mesi di quest’anno, un periodo cruciale per il nostro settore, con le coltivazioni che arrivano al massimo della resa. La politica non può limitarsi agli annunci e ai messaggi di supporto, devono esserci atti concreti a nostro favore”.
Le associazioni di categoria vi stanno supportando?
“In parte sì. Abbiamo accolto con piacere la presenza di Coldiretti a Bruxelles la scorsa settimana, così come l’incontro del ministro Lollobrigida con tutte le associazioni di categoria. Speriamo che anche i cittadini più scettici si uniscano presto alle nostre manifestazioni. Non c’è più tempo da perdere. Il nostro comparto è in ginocchio, ma la posta in gioco riguarda tutti, compresi i consumatori: se non potremo ricominciare a lavorare, gli alimenti dei nostri supermercati saranno tutti provenienti dall’estero, nocivi e di qualità scadente”.
Fino a quando continuerete a protestare?
“Continueremo a oltranza fino a quando non avremo riscontri concreti. Ogni giorno riceviamo messaggi e telefonate da parte di agricoltori e imprenditori che si vogliono unire a noi. Dopo il prossimo raduno di Modena abbiamo in programma di scendere a Roma. Saremo tantissimi e non ci fermeremo fino a quando la nostra voce non verrà ascoltata. Lo ripeto perché sia chiaro: non chiediamo trattamenti di favore, ma una giusta retribuzione per nostro lavoro”.
Nella serata di venerdì, dal palco di Sanremo, Amadeus ha letto un messaggio concordato con alcuni gruppi di manifestanti, che però non rappresentano tutto il comparto. Vi riconoscete in quella lettera? E credete che questo modo di protestare sia efficace?
“Noi siamo stati contattati prima dell’inizio del Festival, ma abbiamo scelto di non salire sul palco. Sarebbe stata un’esibizione fine a sé stessa, non vogliamo fare uno show, non cerchiamo visibilità personale: il nostro obiettivo è solamente quello di ottenere provvedimenti concreti da parte della politica. Detto questo, bene che ci sia la massima attenzione da parte di tutti, ma è il momento di fare cose concerete”