Si è parlato tanto di Ferrari, film che porta la firma del celebre regista Michael Mann. Un cast d’eccezione, composto tra gli altri da Adam Driver (Enzo Ferrari), Penelope Cruz (Laura Ferrari), Shailene Woodley (Lina Lardi) e Patrick Dempsey (Piero Taruffi).
Si è discusso molto dell’opportunità di selezionare attori italiani, tentando di salvaguardare la veridicità. Al tempo stesso dubbi sono stati sollevati sulla correttezza di alcuni degli eventi narrati nella pellicola.
In merito si è espresso anche Piero Ferrari, figlio di Enzo. Intorno a suo padre ruota il film di Mann, con sguardo rivolto alla pista e alla sua sfera privata. La Ferrari ha pubblicato una video intervista all’attuale vicepresidente della storica azienda nostrana, nel corso della quale ha analizzato alcune scene viste sul grande schermo. Chi meglio di lui può fare un paragone.
Il 1957 di Paolo Ferrari
L’intervista di Piero Ferrari si apre con il suo ricordo personale del 1957. Un anno molto intenso, in cui accaddero tante cose. Ci fu l’ultima Mille Miglia, che si concluse con la tragedia data dalla morte di Deportago, del suo navigatore e di nove spettatori (compresi alcuni bambini).
Per quanto riguarda la sfera privata di Enzo Ferrari, invece, fu l’anno in cui si scoprì la sua seconda famiglia. La prima con la moglie Laura e il figlio Dino, scomparso nel 1956, la seconda con Piero e sua madre Lina.
Una notevole differenza tra film e realtà è data proprio dall’incontro tra Enzo Ferrari e Deportago. Il faccia a faccia con il pilota spagnolo avvenne in realtà l’anno prima della tragedia: “Era un personaggio molto particolare. Un nobile spagnolo che aveva una vita libera. Correva per pura passione. Ricordo che mio padre era molto preoccupato. C’erano le Olimpiadi a Cortina e Deportago era andato a fare una gara di bob con il team iberico”.
Nella pellicola si può anche veder rappresentato un giovane Piero Ferrari, intento a chiedere al padre l’autografo del pilota. Anche in questo caso la trasposizione non è esatta. Il vicepresidente di Ferrari la definisce una “licenzia poetica” di Michael Mann. In realtà si tratta di un anacronismo, dal momento che al tempo non si era soliti chiedere gli autografi: “Io non li collezionavo e, se ricordo bene, neanche i miei amici e coetanei. C’erano però la passione e l’attenzione verso i piloti, quindi è una cosa carina nel film”.
Enzo Ferrari tra realtà e film
Nella trasposizione cinematografica si è posto un grande accento sulla fame di vittorie di Enzo Ferrari, quasi come se fosse l’unica cosa che contasse per lui. Anche sotto questo aspetto è stata d’obbligo una precisazione.
Per quanto volesse trionfare, spiega il figlio, e considerando ovviamente la vittoria lo scopo ultimo delle sue sfide, non era disposto a raggiungerla a ogni costo, e soprattutto non mettendo a rischio la vita dei piloti.
“Per fortuna lo ricordo poche volte tornare a casa dopo un grande incidente come quello della Mille Miglia o quello di Bandini. Alla sera tornava a diceva ‘Basta, non si può più proseguire così! Dobbiamo smettere!’. Al lunedì però tornava in ufficio e guardava i suoi operai e tecnici, così diceva ‘Ma adesso cosa facciamo? Dobbiamo andare avanti e fare in modo che non succedano questi incidenti’”.
Altro aspetto ripreso nel film è quello umano. Si parla della grande fiducia che riponeva nelle persone a lui vicine. Qualcosa che suo figlio ha confermato in pieno. Suo padre diceva che la fiducia non può essere data a rate. O la dai o non la dai.