Gas e migranti, cos’è il Piano Mattei voluto dal Governo Meloni

Il Governo mette a punto la governance sul Piano Mattei, definito da Meloni "il più grande progetto geopolitico". Cosa prevede? Funzionerà?

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

L’emergenza migranti non smette di mollare la presa sull’Italia. L’allargamento dei conflitti locali in Ucraina, Medio Oriente e Africa influisce in maniera decisiva sul peggioramento del fenomeno dei flussi di esseri umani attraverso il Mediterraneo. Così, mentre Lampedusa è al collasso e si annunciano nuovi Centri per il rimpatrio sul territorio nazionale (come abbiamo spiegato qui), il Governo guidato da Giorgia Meloni alza la voce in sede Ue per farsi ascoltare.

L’urgenza della situazione ha importo però a Palazzo Chigi un’accelerazione strategica per trovare una soluzione. Da qui la stesura del cosiddetto Piano Mattei, che ha l’obiettivo dichiarato di stabilire “un nuovo partenariato tra Italia e Stati del Continente africano“. Ecco in che modo e quanto potrebbe essere efficace.

Cos’è e cosa prevede il Piano Mattei

Dal punto di vista tecnico, il Piano Mattei è un decreto legge composto di sette articoli. Una delle misure più in vista consiste nell’istituzione di un’apposita cabina di regia presieduta dal Presidente del Consiglio e formata dal ministro degli Esteri (vicepresidente), dagli altri ministri, dal presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, da Cassa depositi e prestiti e Sace. Il coordinatore di tale struttura verrà individuato tra gli appartenenti alla carriera diplomatica: per tutti gli incarichi dirigenziale si potrà attingere anche al personale in pensione, con in cima alla lista in nomi di Luigi Mattiolo, Ettore Francesco Sequi e Giampiero Massolo. Il Piano ha durata quadriennale e può essere aggiornato anche prima della scadenza. Nella strategia sarà coinvolto anche il Parlamento, al quale ogni anno, entro il 30 giugno, l’Esecutivo dovrà sottoporre una relazione.

Lanciata dalla premier Giorgia Meloni durante la sua visita in Algeria, la road map italiana guarda al “coordinamento” delle iniziative “pubbliche e private, anche finanziate o garantite dallo Stato, rivolte ai Paesi del Continente africano” e mira a inserirsi nella “più ampia strategia italiana di tutela e promozione della sicurezza nazionale in tutte le sue dimensioni, inclusa quella economica, energetica, climatica, alimentare e del contrasto ai flussi migratori irregolari“. Il testo definisce ed elenca i vari ambiti di applicazione di questa collaborazione internazionale:

  • cooperazione allo sviluppo;
  • promozione delle esportazioni e degli investimenti;
  • istruzione e formazione professionale;
  • ricerca e innovazione;
  • salute;
  • agricoltura e sicurezza alimentare;
  • approvvigionamento e sfruttamento sostenibile delle risorse naturali, incluse quelle idriche ed energetiche
  • tutela dell’ambiente e adattamento ai cambiamenti climatici;
  • ammodernamento e potenziamento delle infrastrutture anche digitali;
  • valorizzazione e sviluppo del partenariato energetico, anche nell’ambito delle fonti rinnovabili;
  • sostegno all’imprenditoria, in particolare a quella giovanile e femminile;
  • promozione dell’occupazione;
  • prevenzione e contrasto dell’immigrazione irregolare.

Quanto vale il Piano Mattei: i costi

Passiamo ora ai costi. Per mettere su e gestire l’impalcatura istituzionale del Piano Mattei, lo Stato spenderà circa 2,1 milioni di euro, ai quali vanno aggiunti 500mila euro destinati agli esperti esterni. Nel complesso, dunque, gli oneri della struttura di missione sono stimati in 2.643.949,28 euro annui, a decorrere dal 2024 (qui avevamo parlato dell’altro patto sui migranti: l’Italia spenderà di più?).

I Paesi africani non dimenticano però che l’Italia, con l’Ue alle spalle, ha promesso investimenti per oltre tre miliardi di euro nel Continente. Al momento ne sono stati messi a bilancio poco più di tre milioni e non c’è traccia, tra i documenti ufficiali resi disponibili, di previsioni né di intenzioni ulteriori di spesa.

Perché si chiama Piano Mattei e qual era l’originale?

Quello annunciato dal Governo Meloni non è il primo Piano Mattei che lega l’Africa all’Italia. Il progetto originario che portava questo nome, e che parimenti stabiliva i termini della cooperazione economica tra il nostro Paese e gli Stati africani produttori di petrolio, fu ideato negli Anni Cinquanta dall’allora presidente dell’Eni Enrico Mattei. Da qui l’intitolazione del Piano.

L’obiettivo era sulla carta lo stesso, condito dello spirito post-colonialista dell’epoca: favorire lo sviluppo industriale e sociale dell’Africa, garantendo al contempo la sicurezza energetica dell’Italia. Il disegno strategico prevedeva la creazione di società miste tra l’Eni e le compagnie petrolifere nazionali africane, la condivisione degli utili e degli investimenti e il rispetto della sovranità e dell’ambiente dei Paesi ospitanti.

Le tempistiche: quando entrerà in vigore il Piano

Il documento di lancio del Piano Mattei costituisce l’architrave del progetto vero e proprio, che poi dovrà essere adottato in via istituzionale. Entro 60 giorni dall’entrata in vigore del testo, i ministri trasmetteranno alla struttura di missione una relazione con le iniziative rivolte a Paesi africani programmate o in corso di svolgimento e proposte di linee di azione e di riforma.

Entro altri 90 giorni, poi, la cabina di regia, avvalendosi della struttura di missione, completerà la definizione del Piano Mattei e lo trasmetterà al Consiglio dei ministri per la deliberazione.

Il ruolo di Eni e Algeria

Per quanto riguarda il capitolo energia, il “Mattei” nel titolo del progetto pesa eccome. Uno dei centri propulsori per la realizzazione del Piano è l’intesa tra Eni e la società algerina Sonatrach, nel quadro dell’istituzionalizzazione delle forniture di gas garantite all’Italia dal Paese nordafricano. Le due compagnie energetiche hanno firmato nuovi accordi proprio durante il primo viaggio ad Algeri della premier Giorgia Meloni. Già nel 2022 l’Algeria è stata il maggior fornitore di gas del nostro Paese, sostituendo una parte significativa delle importazioni che in precedenza arrivavano dalla Russia.

Proprio il CEO di Eni, Claudio Descalzi, ha dichiarato che dall’inverno 2024-2025 i flussi gas provenienti dalla Russia saranno completamente rimpiazzati e che il piano di potenziamento delle forniture è basato sulle risorse che Eni ha scoperto e produce in diversi Paesi in cui è attiva. Sempre Descalzi si è affrettato a sottolineare come le tensioni in Medio Oriente non abbiano modificato in alcun modo il rapporto con l’Algeria, evidenziando al contempo come “uno dei maggiori problemi sul fronte energetico sia la debolezza di fondo dell’Europa, che è sì un grande mercato, ma che non ha fonti energetiche proprie né, quindi, indipendenza energetica”.

Il piano del Governo risolverà i problemi di Italia e Africa?

In una parola: no. In più di una parola: è molto, molto difficile. Giorgia Meloni ha parlato di “grande progetto geopolitico” e “progetto programmatico strategico”, ma l’espressione rischia di restare lettera morta. La missione del Piano Mattei sulla carta appare impossibile: arginare i flussi migratori e contemporaneamente garantire le forniture di energia dai Paesi africani. D’accordo, l’Algeria guarda con ammirazione alla patria di Enrico Mattei, soprattutto per vita del suo ruolo decisivo nel sostegno della resistenza algerina durante la guerra civile che portò poi all’indipendenza dalla Francia.

Più che sulla gestione dei flussi migratori, l’Italia sembra puntare forte sulla questione energia, proponendosi di fatto come gigantesco e cruciale hub di gas nel Mediterraneo. Un cambio di rotta netto per tornare a intervenire oltremare, rispetto alla ben poco efficacia strada dei decreti sicurezza e immigrazione. L’obiettivo è spostare parte delle produzioni economiche e industriali italiane in Africa, soprattutto manifatturiere. In parole povere: creare condizioni favorevoli che non spingano gli africani a emigrare.

Un progetto a dir poco ambizioso, che per sperare di riuscire nell’impresa non si dovrà appiattire su un Piano Marshall incentrato sull’assistenzialismo. Serve un autentico piano industriale. Nella galassia che si apre al di là del Mediterraneo, però, regna l’assenza di Stato. Il caos istituzionale, tra golpe e guerre civili manovrate da potenze straniere, porta l’Italia a trattare direttamente con Stati instabili. E, dunque, porta a trattare direttamente con la Francia, ma anche con Turchia e Russia, preminenti nell’area del Maghreb e nel Sahel, vale a dire negli snodi fondamentali delle rotte migratorie e gasiere.

Il Mediterraneo “allargato”

Restando sul tema delle trattative con attori stranieri, la complessità della macro-regione che abbraccia l’Africa del Nord e il Medio Oriente impone altre considerazioni. Se da un lato Turchia e Russia hanno in mano il controllo degli snodi politici e socio-economici di Libia, Siria e altri Paesi, dall’altro il flusso finanziario che supporta la macchina del caos proviene in grandissima parte dal Golfo Persico. Per questo motivo l’Italia dovrà inserirsi nel quadro di un “Mediterraneo allargato”, arrivando a trattare anche con Qatar ed Emirati Arabi Uniti, per non parlare dell’Arabia Saudita.

Le dispute sulle Zone economiche esclusive, soprattutto a causa delle rivendicazioni aggressive della Turchia di Erdogan, la presenza russa nel Mediterraneo e il peso enorme degli investimenti cinesi rendono molto difficoltosa la strada che conduce l’Italia a rivestire un ruolo di primo piano come crocevia (geografico sicuramente, sovrano non ancora) delle rotte energetiche fra tre Continenti. Soprattutto dopo il fallimento del tanto sbandierato memoramdum con la Tunisia, fortemente sponsorizzato da Giorgia Meloni, Ursula von der Leyen e dal premier olandese Mark Rutte.

La sensazione è che la sostanza del Piano Mattei sia propaganda dai richiami altisonanti. Di fatto il Governo ha istituzionalizzato, e dunque burocraticizzato e complicato, una cooperazione che già esiste. Un errore tattico già visto col memorandum firmato con la Cina di Xi Jinping nel 2019 per il progetto di controglobalizzazione delle Nuove Vie della Seta. Risultato: carta straccia, con gli egemoni Usa che ci sgridano. Col Piano Mattei l’Esecutivo non assume alcun potere in più, ma mette nero su bianco soltanto qualche incombenza e dovere in più che rallenterà gli eventuali progetti conclusi coi Paesi africani. Bisognerà aspettare relazioni, valutazioni, approvazioni e delibere. Altro tempo a bilancio, mentre il Mediterraneo continua ad allontanarsi da noi.