Nuovo patto sui migranti: l’Italia spenderà di più?

Mentre Giorgia Meloni vola in Tunisia per trattare sui rimpatri, il Consiglio Ue dei ministri degli Interni vara un nuovo accordo: ecco tutte le novità

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Federico Casanova

Giornalista politico-economico

Giornalista professionista specializzato in tematiche politiche, economiche e di cronaca giudiziaria. Organizza eventi, presentazioni e rassegne di incontri in tutta Italia.

Per Giorgia Meloni quella di ieri (domenica 11 giugno) è stata una delle giornate più complicate da quando si è insediata a Palazzo Chigi. A differenza di quanto si possa pensare, non è tanto il rapporto con gli alleati a portare nuovi grattacapi alla leader di Fratelli d’Italia (nonostante le periodiche rivendicazioni di Matteo Salvini e l’ostruzionismo di una parte consistente di Forza Italia). E non è neppure la comprensibile attività di opposizione portata avanti dalle forze di minoranza (apparse ogni giorno sempre meno coese) a preoccupare la presidente del Consiglio.

Il vero tema su cui la premier sta provando in ogni modo a trovare nuovi strumenti da inserire nel proprio armamentario è quello che riguarda la gestione dei flussi migratori. Su questo fronte sono davvero tanti i problemi che siedono sul tavolo del suo ufficio e su quello di Matteo Piantedosi, il ministro degli Interni che fin da subito – in virtù del suo passato da prefetto – ha fatto capire come la questione delle politiche migratorie possa essere lo snodo cruciale attorno a cui giudicare questo primo anno di governo.

Flussi migratori, le mosse del governo per stabilizzare la Tunisia

A confermare quanto detto ci sono i fatti di stretta attualità. Non è un caso che Giorgia Meloni abbia compiuto ben due viaggi a Tunisi nel giro di soli cinque giorni. Il primo, intrapreso ad inizio settimana assieme al proprio staff, pare non essere andato proprio come sperava, se è vero che il faccia a faccia con il presidente tunisino Kais Saied non ha prodotto nulla di concreto. E così la premier è tornata a Roma convinta della necessità di dover replicare la trasferta nel giro di poco tempo.

Dopo un giro di telefonate con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e con il primo ministro olandese Mark Rutte, i tre hanno annullato ogni impegno in agenda per la mattinata di oggi, chiedendo all’omologo nordafricano di riceverli per una riunione a quattro. E così è stato: giunti presso il palazzo presidenziale di Cartagine, i leader europei hanno chiesto di essere ascoltati in merito ad alcune richieste concordate nelle ore precedenti.

In particolare, l’urgenza maggiore sul tema dei flussi migratori è quella di rendere la Tunisia uno dei cosiddetti “Paesi sicuri” verso cui destinare i migranti espulsi dal territorio del Vecchio Continente. Un passaggio non scontato, visto che lo status di “approdo sicuro” per Tunisi è costantemente minacciato dalle gravi instabilità degli ultimi mesi sul fronte della politica interna. Inoltre, continuano a proliferare sui quotidiani di tutta Europa i reportage che mostrano come i migranti di passaggio sulle coste nordafricane vengano sistematicamente maltrattati dalle autorità di polizia e dagli agenti della Guardia di Finanza tunisina.

Quanto valgono gli aiuti che la Tunisia potrebbe ottenere per trattenere i migranti

Come in ogni situazione di questo genere, in ballo non ci sono solo le vite di centinaia di migliaia di profughi provenienti per la maggior parte dagli Stati del Sahel (in particolare da Burkina Faso, Mali, Niger e  Ciad). Sul piatto ci sono anche diversi miliardi di euro, in un gioco di incastri che rende bene l’idea su quanto sia complicata questa partita, anche a fronte dei tanti attori internazionali in gioco. Infatti, nel quadrilaterale di Tunisi, i presidenti europei hanno discusso con Kais Saied anche del potenziale pacchetto di investimenti europeo destinato proprio a Tunisi e stanziato dall’Unione europea.

Nello specifico, stiamo parlando di un finanziamento da circa 900 milioni di euro che dovrebbe servire alle istituzioni tunisine per attuare quelle politiche di rinnovamento che il popolo chiede a gran voce durante le manifestazioni di piazza. Il tutto mentre l’agenzia di rating Fitch ha declassato la solidità della Tunisia dal precedente livello di CCC+ ad un poco rassicurante CCC-. La linea del baratro fissata a quota D (che sta per Default) è dunque sempre più vicina: nel caso venisse raggiunta, per Tunisi verrebbe a mancare il sostegno degli investitori internazionali, che non sarebbero più disposti ad investire sul Paese.

Il prestito del Fondo Monetario e il ruolo degli Usa: tutte le variabili della questione migratoria

A questa delicata situazione si lega anche un’altra massiccia dose di aiuti economici. Si tratta del prestito da 1,9 miliardi di euro stanziati dal Fondo Monetario Internazionale nel tentativo di rendere lo Stato nordafricano un luogo più sicuro. Ad oggi però – come confermato dalla presidente Kristalina Georgieva durante un recente summit a Washington – lo stanziamento è stato bloccato, in attesa di capire i prossimi sviluppi.

C’è da scommettere che parleranno anche di questo la direttrice del FMI e il nostro ministro degli Esteri Antonio Tajani, che nei primi giorni della prossima settimana volerà negli Stati Uniti per una serie di bilaterali in cui vedrà, tra gli altri, anche il segretario di Stato Usa Antony Blinken. In una sorta di manovra a tenaglia, il nostro governo cerca dunque di ritagliarsi un ruolo di primo piano nella gestione del dossier Tunisia, una scelta che Giorgia Meloni ritiene indispensabile per poter battere cassa una volta raggiunti i risultati auspicati.

Cosa ha deciso l’Unione europea sui migranti: il nuovo accordo conviene all’Italia?

Ma, nel frattempo, le cose stanno cambiando anche negli equilibri interni all’Unione europea. La prova plastica di questa fase di transizione la si è avuta nel recente Consiglio europeo dei ministri degli Interni, dove il nostro rappresentante Matteo Piantedosi è stato protagonista di un fatto inedito. Rompendo l’asse con i cosiddetti Paesi di Visegrad, il titolare del Viminale ha votato a favore del pacchetto di modifiche che riguardano proprio la gestione dei flussi migratori.

In particolare, queste sono le principali novità emerse dal vertice:

  • tutti i Paesi membri si impegnano a partecipare alla redistribuzione dei migranti o, in alternativa, si impegnano a versare una quota pari a 20mila euro per ogni persona non accolta (soldi che finiranno nel fondo comune per la gestione delle frontiere esterne);
  • l’esame delle domande di asilo dovrà avvenire con una “procedura di frontiera” e concludersi entro 12 settimane;
  • il periodo in cui un singolo Stato ha la responsabilità dei migranti sbarcati sul proprio territorio nazionale aumenta da 12 a 24 mesi;
  • in materia di rimpatri (quella che coinvolge in prima persona le autorità tunisine), gli Stati membri avranno piena autonomia nel definire un Paese di partenza o transito come “approdo sicuro” dove poter inviare i migranti.

È nel primo dei 4 punti che l’Italia ha fatto qualcosa di mai visto prima, rinunciando alla possibilità di ricevere direttamente i 20mila per migrante che i Paesi ostili all’accoglienza dovranno versare. Una scelta che Piantedosi ha rivendicato con grande soddisfazione, sostenendo che “il nostro Paese, tra i fondatori dell’Unione europea, possiede un orgoglio non barattabile con alcuna erogazione di denaro. Non accetteremo soldi in più per trasformarci nel centro europeo dei rimpatri”.