Meloni presenta il Piano Mattei, oltre 5,5 miliardi per l’Africa: i costi e i punti principali

Al Senato si è svolto il vertice Italia-Africa, alla presenza di 25 capi di Stato e di governo africani. Presenti anche i vertici Ue e degli organismi internazionali. Cosa prevede e quanto costa il Piano Mattei

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

In occasione del vertice Italia-Africa al Senato, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha svelato i punti principali dell’ormai celebre Piano Mattei, che ha l’obiettivo dichiarato di stabilire “un nuovo partenariato tra Italia e Stati del Continente africano”. Un programma nato dalla necessità di contrastare l’emergenza immigrazione e di stabilizzare i Paesi dell’area, anche con il coinvolgimento diretto dell’Ue.

Un programma che, sulla carta, mobiliterà un totale superiore ai 5,5 miliardi di euro tra crediti, operazioni a dono e garanzie. Circa 3 miliardi saranno garantiti dal Fondo italiano per il Clima, mentre altri 2,5 miliardi verranno dal Fondo per la Cooperazione allo sviluppo.

La conferenza Italia-Africa sul Piano Mattei e il sostegno dell’Ue

L’Africa “avrà un posto d’onore nell’agenda italiana di presidenza del G7“, ha annunciato la premier. “Siamo consapevoli di quanto il destino dei nostri Continenti sia interconnesso e che è possibile immaginare e scrivere una pagina nuova nelle nostre relazioni, una cooperazione da pari a pari, lontana da ogni tentazione predatoria e approccio caritatevole“, ha aggiunto. Sulla stessa linea di entusiasmo anche la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen: “Sono molto grata all’Italia per aver messo la cooperazione con l’Africa al centro della sua politica estera e della presidenza del G7. Il nuovo Piano Mattei rappresenta un importante contributo a questa nuova fase della nostra partnership con l’Africa e si integra con il nostro European Global Gateway”. Quest’ultimo vale ben 150 miliardi di euro di fondi comunitari.

Quella di Palazzo Madama è stata la prima conferenza elevata a rango di vertice di capi di Stato e di governo, dopo quelle svoltesi finora a livello ministeriale. È inoltre il primo appuntamento internazionale che si svolge nel nostro Paese dall’avvio della presidenza italiana del G7. Oltre al presidente del Senato, Ignazio La Russa, e al ministro degli Esteri, Antonio Tajani, era presente il presidente dell’Unione Africana, Azali Assoumani, e il numero uno della Commissione dell’organizzazione, Moussa Faki. La riunione ha visto anche la partecipazione delle istituzioni europee: oltre a von der Leyen, anche i presidenti di Consiglio ed Europarlamento Charles Michel e Roberta Metsola, nonché del vice segretario generale dell’Onu, Amina Mohammed. In tutto erano 25 i capi di Stato e di governo, con però un grande assente: la Nigeria. Il più grande Stato africano, attore fondamentale soprattutto nell’ovest del Continente, è infatti invischiata nel caos scoppiato in Niger.

Quanto vale il Piano Mattei: i costi

Come avevamo già anticipato qui, per mettere su e gestire l’impalcatura istituzionale del Piano Mattei, l’Italia aveva previsto investimenti inferiori previsti dal decreto approvato dal Governo e convertito in legge dal Parlamento. Si parlava di 8,4 milioni di euro per l’intera durata del Piano, fino al 2026, a un ritmo di circa 2,8 milioni l’anno. Il tutto, ovviamente, prima dei 5,5 miliardi annunciati il 29 gennaio. Il piano si basa su cinque pilastri fondamentali:

  • cooperazione in campo economico e infrastrutturale;
  • sicurezza alimentare;
  • transizione energetica;
  • formazione professionale e cultura;
  • migrazioni e sicurezza.

Dal Marocco al Kenya e al Mozambico, i progetti pilota

La Cabina di regia del Piano Mattei si riunirà per la prima volta a febbraio per lavorare sui primi progetti. Per le opposizioni si tratta di “una scatola vuota”, ma Palazzo Chigi e Farnesina sono convinti che l’approccio genererà risultati positivi, dal punto di vista sia geopolitico e migratorio sia energetico.

Alcuni di questi progetti pilota prevedono un grande centro di formazione professionale sull’energia rinnovabile in Marocco, programmi per l’istruzione in Tunisia e altri per l’accessibilità alla Sanità in Costa d’Avorio. “La condivisione è uno dei principi cardine del Piano Mattei i lavori di questo vertice saranno determinanti per arricchire il percorso”, ha sottolineato Meloni. Altri progetti saranno portati avanti anche in Algeria, Mozambico, Egitto, Repubblica del Congo, Etiopia e Kenya.

L’appunto dell’Unione Africana: “Avremmo voluto essere consultati prima”

Non sono però mancati dubbi né rimostranze da parte delle rappresentanze africane, riassunti nel discorso al vertice Italia-Africa pronunciato dal presidente della Commissione dell’Unione
Africana, Moussa Faki. Rivolgendosi direttamente a Giorgia Meloni, ha detto: “Signora presidente del Consiglio, sul Piano Mattei che lei propone avremmo auspicato di essere consultati. L’Africa è pronta a discutere contorni e modalità dell’attuazione. Insisto sulla necessità di passare dalle parole ai fatti, non ci possiamo più accontentare di promesse, spesso non mantenute”.

Faki ha poi corretto leggermente il tiro polemico delle sue parole. “Le prese di posizione dell’Italia a favore di un nuovo paradigma di partnership con l’Africa godono di ottima considerazione nel Continente”.

Perché si chiama Piano Mattei e qual era l’originale?

Quello annunciato dal Governo Meloni non è il primo Piano Mattei che lega l’Africa all’Italia. Il progetto originario che portava questo nome, e che parimenti stabiliva i termini della cooperazione economica tra il nostro Paese e gli Stati africani produttori di petrolio, fu ideato negli Anni Cinquanta dall’allora presidente dell’Eni Enrico Mattei. Da qui l’intitolazione del Piano.

L’obiettivo era sulla carta lo stesso, condito dello spirito post-colonialista dell’epoca: favorire lo sviluppo industriale e sociale dell’Africa, garantendo al contempo la sicurezza energetica dell’Italia. Il disegno strategico prevedeva la creazione di società miste tra Eni e le compagnie petrolifere nazionali africane, la condivisione degli utili e degli investimenti e il rispetto della sovranità e dell’ambiente dei Paesi ospitanti.

Il piano del Governo risolverà i problemi di Italia e Africa?

La risposta alla domanda delle domande (l’avevamo già data qui) in una parola è: no. In più di una parola: è molto, molto difficile. Giorgia Meloni ha parlato di “grande progetto geopolitico” e “progetto programmatico strategico”, ma l’espressione rischia di restare lettera morta. La missione del Piano Mattei sulla carta appare impossibile: arginare i flussi migratori e contemporaneamente garantire le forniture di energia dai Paesi africani. D’accordo, l’Algeria guarda con ammirazione alla patria di Enrico Mattei, soprattutto per vita del suo ruolo decisivo nel sostegno della resistenza algerina durante la guerra civile che portò poi all’indipendenza dalla Francia.

Più che sulla gestione dei flussi migratori, l’Italia sembra puntare forte sulla questione energia, proponendosi di fatto come gigantesco e cruciale hub di gas nel Mediterraneo. Un cambio di rotta netto per tornare a intervenire oltremare, rispetto alla ben poco efficacia strada dei decreti sicurezza e immigrazione. L’obiettivo è spostare parte delle produzioni economiche e industriali italiane in Africa, soprattutto manifatturiere. In parole povere: creare condizioni favorevoli che non spingano gli africani a emigrare.

Un progetto a dir poco ambizioso, che per sperare di riuscire nell’impresa non si dovrà appiattire su un Piano Marshall incentrato sull’assistenzialismo. Serve un autentico piano industriale. Nella galassia che si apre al di là del Mediterraneo, però, regna l’assenza di Stato. Il caos istituzionale, tra golpe e guerre civili manovrate da potenze straniere, porta l’Italia a trattare direttamente con Stati instabili. E, dunque, porta a trattare direttamente con la Francia, ma anche con Turchia e Russia, preminenti nell’area del Maghreb e nel Sahel, vale a dire negli snodi fondamentali delle rotte migratorie e gasiere.