Russia, dopo la vittoria Putin apre al negoziato con l’Ucraina e vuole Macron come mediatore

Lo scontato plebiscito nelle elezioni russe rafforza la leadership di Putin, presidente praticamente a vita. Vuole davvero trattare con Zelensky? Ha davvero scelto Macron come "paciere"?

Foto di Maurizio Perriello

Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Dopo la schiacciante e scontata vittoria alle elezioni presidenziali russe (non un voto in senso occidentale, ma un plebiscito), Vladimir Putin cementa la sua leadership alla testa di un Paese in guerra che dovrà affrontare gli anni più decisivi della sua storia dalla caduta dell’Unione Sovietica. Benché non ben visto da molti russi, per la sua doppiezza e l’occultamento delle sue fortune tra le altre questioni, lo “zar” è considerato l’uomo forte capace di incarnare le velleità imperiali della Federazione, contro la “sottomissione” (parola ricorrente da quelle parti) all’Occidente e alla Cina.

La Russia ha una lunga e ricca tradizioni di colpi di scena, e Putin ne ha offerto un ennesimo esempio con le sue dichiarazioni dopo la rielezione al Cremlino. Innanzitutto ha ribadito di essere aperto a un negoziato con l’Ucraina – cosa che sulla carta non ha mai negato, seppur intendendo come prioritarie e insindacabili le condizioni di Mosca -, ma ha anche affermato che vorrebbe Emmanuel Macron come mediatore. Ma come? La stessa Francia che vuole inviare truppe Nato in Ucraina e che agita l’arma nucleare? La stessa Francia che vuole inviare missili a lungo raggio a Kiev per continuare la guerra? La stessa Francia che ha installato basi militari in Moldavia e che fornisce armi e sentimento anti-russo all’Armenia?

La proposta di Putin a Macron: Francia mediatrice nei negoziati con Kiev

Molti ricorderanno il lunghissimo tavolo bianco che mise di fronte Putin e Macron l’8 febbraio 2022, due settimane prima dell’invasione russa dell’Ucraina. “Non dobbiamo umiliare la Russia” fu la frase più riportata di quella riunione, scatenando tremori interni alla Nato. Già allora il presidente francese fu “scelto” di fatto dal Cremlino per avere un dialogo privilegiato con Mosca, seppur disperato e inutile. Le rassicurazioni raccolte in quel bilaterale furono ovviamente disattese, ma il filo russo-francese si mostrò ancora integro. Così è anche oggi, in particolare alla vigilia delle elezioni in Russia, quando in un’intervista televisiva Macron rispose con un secco “sì” alla proposta di mediare negli eventuali negoziati tra Putin e Zelensky. Ma allora tutto il bellicismo ostentato dal governo francese, cosa sta a significare? Dove sta la verità?

La Russia è un impero, la Francia vorrebbe tornare a esserlo. Parliamo dunque di potenze “serie”, che la propaganda la usano e non ne diventano preda. Putin ha compreso più che bene il messaggio lanciato da Macron tra le righe non a Mosca, quanto a Washington e a Berlino. Il presidente francese, da abile politico con vertigini da stratega quale è, ha ben fiutato il momento di stanchezza imperiale degli Usa, che hanno scaricato sulle spalle europee il carico maggiore di aiuti militari e finanziari all’Ucraina. E infatti non si parla d’altro dell’aumento della spesa per la Difesa, oltre che nei singoli Stati membri anche a livello Ue. In un momento storico, per di più, in cui la Germania sta perdendo il suo primato economico, lasciando semi-vacante il posto di guida comunitaria per il quale Parigi si candida con rinnovata forza, con l’intento di consegnare il baricentro europeo a Polonia e Repubbliche Baltiche. L’intervista clamorosa del giornalista americano Tucker Carlson a Putin e le dimissioni “incentivate” del sottosegretario di Stato americano Victoria Nuland, “falco” della politica anti-russa nell’amministrazione Usa, sono da considerarsi altri segnali della volontà degli apparati statunitensi di voler congelare il conflitto e sedersi al tavolo con i russi.

Fungere da potenza mediatrice tra le parti in guerra e, dunque, contribuire alla fine del conflitto russo-ucraino sarebbe ovviamente una svolta felice per la Francia di Macron. Una convinzione che il capo dell’Eliseo ha ben presente da tempo, come dimostra il suo tentativo di porsi come mediatore tra i Paesi in guerra già nel dicembre 2022, chiedendo a Putin di sedersi al tavolo delle trattative e alla Nato di fornire garanzie di sicurezza alla Russia. Russia che, dal canto suo, ha colto la posizione velleitaria della Francia di distinguersi dall’intransigenza dei Paesi dell’Europa orientale, e dunque di fungere da eventuale sponda diplomatica o quantomeno d’immagine per Mosca.

La Russia vuole davvero trattare con l’Ucraina?

Questa è l’altra, forse la vera domanda che potrebbe far cascare nuovamente il castello di carte della diplomazia di questo conflitto. Rispondendo proprio alle parole di Emmanuel Macron, che ricordava come anche la Francia fosse una potenza nucleare, Vladimir Putin ha tuonato: “La nostra triade nucleare è più moderna di qualsiasi altro armamento atomico, e siamo prontissimi a usarla in qualunque momento”. Non si tratta tuttavia di minacce di escalation nucleare: la Russia non utilizzerebbe mai le testate atomiche sull’Ucraina, considerato il suo cortile di casa. E neanche sull’Europa, come non le ha mai sganciate in decenni di costanti e temibili minacce durante la Guerra Fredda. Dobbiamo però considerare anche il consistente lato irrazionale delle guerre, che non ci permette di escludere alcuna ipotesi.

Scendendo dalla patina delle minacce e dei contemporanei inviti ai negoziati nella realtà della guerra sul campo, Mosca sembra avere tutta l’intenzione di sfruttare il fattore tempo. In altre parole: prolungare lo stato di guerra, mantenendo lo stallo attuale e conquistando piano piano altri villaggi sul fronte orientale per cementare la sua posizione nel Donbass e in Crimea, che ormai appare impenetrabile dalle forze di Kiev. L’obiettivo principale è Odessa, che permetterebbe al Cremlino di chiudere totalmente il dominio della striscia costiera sul Mar Nero, tagliando fuori l’Ucraina dallo sbocco sulle sue acque. I violenti e frequenti attacchi delle ultime settimane ne sono una tragica testimonianza. Come lo sono della volontà russa di non occupare l’intero Paese, che richiederebbe uno sforzo impossibile per la conquista e il successivo presidio dei territori. Perfino nella mappa “delirante” della “nuova Europa” proposta dall’ex presidente russo Dmitry Medvedev, megafono delle posizioni moscovite più estremiste, esiste un’Ucraina indipendente con capitale Kiev, seppur molto ridimensionata nell’estensione e senza sbocco sul Mar Nero.

Verosimilmente, dunque, la Russia non vuole ancora trattare con l’Ucraina. Come non lo vuole l’Ucraina, ostaggio in tal senso dell’intransigenza di Zelensky, mentre tutto il resto del mondo e gran parte degli ucraini vogliano porre fine all’incubo. Mosca vuole sfruttare il vantaggio militare, industriale e demografico, rosicchiando ogni settimana un po’ di territorio al nemico e arrivando idealmente a ricongiungersi all’altro territorio filorusso all’altro capo del Paese, nel territorio moldavo: la Transnistria. L’obiettivo principale di Putin è insomma la Novorossija, la Nuova Russia conquistata da Caterina II la Grande nel Settecento e che vede nella Crimea il fiore all’occhiello dell’impero. Crimea che ucraini e occidentali a supporto sanno essere il vero ago della bilancia del conflitto, e che la distruzione totale del Ponte di Kerch volgerebbe improvvisamente le sorti belliche a favore di Kiev, poiché taglierebbe il contatto diretto della penisola con la madrepatria russa.

Il vero motivo per cui i russi continuano a sostenere Putin

Per comprendere meglio anche l’apertura di Putin alle trattative, occorre dare uno sguardo dall’interno alla Russia. La più grande paura del russo medio o russo profondo, che abita lontano dalle metropoli cosmopolite di Mosca e San Pietroburgo, è il caos interno alla nazione. Il disordine è percepito di gran lunga più pericoloso dell’assenza di libertà o democrazia, parolaccia coniata dagli americani per imporre la propria scala di valori occidentali a oltre 7 miliardi di persone che non la pensano come loro. Se crolla l’interno, crolla anche la barriera che divide la nazione dai nemici della Russia, cioè tutti. In questo senso il pluralismo politico, perno imprescindibile dei governi europei e occidentali in generale, nella Federazione Russa è invece un fattore di rischio interno, un pericolo di rottura e sfilacciamento.

Per questo motivo i russi preferiscono aggrapparsi a un leader che in molti in patria non stimano, come Putin, ma che in un quarto di secolo di governo si è dimostrato forte abbastanza da tenere unito un Paese immenso. E ci è riuscito celebrando la civiltà e la cultura russa in senso nazionalista, attraverso i due grandi pilastri identitari che compattano territori, repubbliche, religioni ed etnie che compongono la Federazione al di là delle differenze: una esagerata idea di sé dei russi e l’insicurezza di poter essere attaccati o umiliati per la mancanza fisica di barriere orografiche tra l’Europa (attraverso l’Ucraina, ad esempio) e in Asia. Da qui la massima estensione possibile in Siberia, fino al Pacifico, e l’intervento diretto in teatri africani e mediorientali, ma anche la competizione nell’Artico e l’inaccettabile compromesso che vede la Nato alle porte di Mosca.

La lunga e continuata esperienza al Cremlino e la totale soppressione delle voci dell’opposizione interna hanno determinato il successo e il consenso di Putin e del suo sistema di potere, che prevede ritorni e “premi” per chi vi partecipa rispettandone la tenuta. Ancora oggi, nonostante tutto. Spesso si leggono espressioni superficiali come “la guerra di Putin” o “la Russia di Putin”, ma Putin non è che un prodotto della Russia post-sovietica che si crogiola ancora nel mito sovietico. Putin immagina grande una Russia che si immagina grande, per questo appare come “la migliore delle alternative” per la stragrande maggioranza dei suoi concittadini. Questo sentimento diffuso è poi sorretto anche da fatti più contingenti: l’ottima risposta dell’economia (e l’annunciato fallimento delle sanzioni occidentali), i successi militari in Ucraina (lo stallo e la difesa di Crimea e Donbass sono considerate vittorie strategiche) e le crescenti tensioni e la percepita debolezza interne alla coalizione Usa-Nato-Ue nel sostegno a Kiev.