Ucraina, armi Usa “sparite” dal fronte: perse le tracce di oltre un miliardo di forniture

Il Pentagono ha perso le tracce di preziose e costose armi stoccate in Polonia e poi inviate in Ucraina. Forse vendute di contrabbando su altri teatri di conflitto, potrebbero rivelarsi decisive

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

A corto di soldati, ma anche a corto di armi. Dopo due anni di guerra ininterrotta, l’Ucraina è logora e stanca di combattere gli invasori russi, ma è comunque determinata a resistere a oltranza. E mentre il presidente Volodymyr Zelensky spinge per l’approvazione parlamentare di una nuova legge sulla mobilitazione generale, al fronte si registra la “misteriosa scomparsa” di quasi 40mila armi inviate dagli Usa, per un valore complessivo di oltre un miliardo di dollari.

Gran parte degli armamenti e degli equipaggiamenti è infatti uscita dai radar del Pentagono, che ne ha perso le tracce per mancanza di personale in prima linea. Il rischio, per non dire la certezza (vista la corruzione endemica che intercorre tra apparati e gruppi ucraini), è che siano state oggetto di contrabbando. Una situazione che preoccupa e irrita gli Usa, stanchi di competere su più fronti e alle prese con la difficile gestione delle pulsioni popolari che vorrebbero ridimensionare l’impegno americano per Ucraina e Israele, in vista delle elezioni presidenziali prevista per novembre 2024.

Il caso delle armi Usa scomparse dal fronte ucraino

A fendere la nebbia della guerra sul caso delle armi “scomparse” è un’inchiesta del New York Times, secondo cui funzionari del Pentagono, diplomatici americani e omologhi ucraini non sono stati in grado di monitorare e controllare in modo “rapido o completo” circa 40mila armi inviate a Kiev per essere spedite al fronte. Un altro problema riguarda la penuria di personale del Pentagono presso l’ambasciata statunitense di Kiev. Nonostante i legittimi dubbi e sospetti, bisogna tuttavia precisare che non ci sono prove certe sul dirottamento o sulla rivendita di straforo delle armi su altri teatri di guerra. I precedenti non fanno ben sperare. Durante la guerra sovietica in Afghanistan (1979-1989), ad esempio, gli Usa inviarono ai guerriglieri anti-russi, tra i quali le milizie di Al Qaida, migliaia di missili portatili terra-aria che, una volta terminato il conflitto, rimasero in mano ai terroristi e ai Talebani. Questi ultimi impiegarono queste armi proprio contro gli Usa e i loro alleati.

Il tracciamento delle armi della discordia, spedite dagli arsenali degli Stati Uniti e stoccate in un hub logistico militare americano sito in Polonia, si interrompono al momento del loro arrivo in territorio ucraino. Gli apparati americani, tra l’altro, non hanno probabilmente alcun interesse nel fornire appigli ai detrattori in patria che si oppongono al supporto a oltranza a favore di Kiev. Con tutta la buona volontà nel voler attenuare le criticità, però, all’appello mancano armamenti sofisticati e molto costosi. Compresi i preziosissimi sistemi missilistici Patriot e i carri armati Abrams, droni kamikaze, sistemi militari per la visione notturna e missili trasportabili con relativi lanciatori. Costo totale “scomparso”: oltre un miliardo di dollari. Nel dettaglio, il rapporto del Pentagono si concentra su un miliardo di dollari sui  50 totali in forniture militari che gli Stati Uniti hanno inviato all’Ucraina dal 2014, anno di scoppio del conflitto nel Donbass.

Il forte sospetto che funzionari corrotti abbiano rivenduto a caro prezzo armi di ottima fattura è quantomeno legittimo, se non altamente realistico. Il tutto mentre il Congresso statunitense discute l’ennesimo pacchetto di aiuti alla resistenza ucraina, sempre più invischiata in una guerra di trincea e logoramento e da notizie di difficoltà che annullano del tutto i sacrifici dell’industria americana ed europea. Il dubbio del contrabbando si è esteso anche alle generosi tranche militari inviate dagli Usa all’Ucraina, inclusi oltre 10mila missili anticarro Javelin e almeno 2.500 missili terra-aria Stinger. Parliamo di materiale bellico di cui è vietata la vendita e pertanto molto ambito da gruppi fondamentalisti e terroristi, alle bande di ribelli e di criminali sparsi in Africa, America Latina, Asia e perfino Europa.

Le difficoltà della guerra ucraina

Come abbiamo spiegato anche qui, l’Ucraina non ha un piano B che consenta di continuare a combattere la Russia senza gli aiuti occidentali. Intanto il tempo passa a esclusivo vantaggio di Mosca, con l’inverno duro che a quelle latitudini ha gelato i canali per portare truppe e rifornimenti in direzione di Kherson. Non solo: il freddo rende estremamente arduo pilotare e far funzionare i droni e in generale i sistemi militari a batteria. Anche il riscaldamento umano delle truppe rivela criticità notevoli, coi soldati costretti a scaldarsi alla meglio senza stufe.

Come riferito dal maggiore Oleksandr Volkov, comandante di un battaglione della 24ª Brigata meccanizzata, le unità ucraine sono inoltre a corto di personale, in particolare di giovani leve sotto i 40 anni. Gli arruolamenti coatti e la violenza nella conduzione dei cittadini sopra i 27 anni in caserma, nonché le notizie sulla nuova e più dura mobilitazione che verrà, scoraggiano gli ucraini dalla causa della resistenza all’invasore russo. Quest’ultimo, da parte sua, prosegue nella sua violenta opera di russificazione e propaganda sugli indecisi e sugli scontenti, fornendo addirittura una frequenza radiofonica (la cosiddetta “Linea Volga”, dal nome dell’omonimo fiume russo) per gli ucraini che vogliono arrendersi e passare dall’altra parte del fiume Don. L’euforia del fronte ha lasciato spazio alla paura e alla stanchezza. Ma chi si trova in trincea da due anni non può tornare a casa, perché non c’è nessuno che prenda il loro posto. Con grande malcontento, che spesso sfocia in protesta, dei familiari.

Chi è più giovane ha più inclinazione a fare la guerra, recita un antico adagio della geopolitica. Su questo piano la Russia sovrasta di gran lunga l’avversario, avendo a disposizioni risorse demografiche e industriali indefinite. Stando ai dati di Global Firepower relativi al 2023, l’esercito ucraino conta circa 500mila effettivi, di cui 200mila (dunque meno della metà) in servizio attivo. In confronto, Mosca conta il quadruplo del personale militare attivo (1.330.900 soldati) e 250mila riservisti. Per di più le stesse autorità di Kiev sottolineano come l’età media dei soldati al fronte si sia alzata: il 40% della Brigata comandata da Volkov, ad esempio, ha più di 45 anni. Tra i piani di Zelensky per non cedere la linea del fronte c’è anche il possibile ricorso a società esterne di contractor per fornire nuove reclute (perché anche l’Ucraina ha i suoi mercenari, come avevamo spiegato qui).

Negoziati lontani e Stati Uniti preoccupati

Al di là della situazione “bloccata” sul terreno, anche nelle stanze della diplomazia sembrano impossibili progressi verso la cessazione delle ostilità. Da ambo le parti. Sebbene il Cremlino a corrente alternata si dica disposto a sedersi al tavolo delle trattative, dall’altro prende al balzo ogni pretesto per evidenziare la malafede della controparte occidentale. Ultimamente, ad esempio, Mosca ha condannato i piani degli Stati Uniti di fornire sistemi anticarro Javelin al Kosovo, minando in questo modo la fiducia reciproca e il processo di negoziazione anche in Ucraina.

Kiev, da parte sua, ha chiuso ogni spiraglio di accordo per via ufficiale. Oltre a un decreto ad hoc firmato da Zelensky, che vieta ogni intesa coi russi finché sarà al potere Putin, esiste anche un accordo di sicurezza tra Ucraina e Regno Unito che prevede che all’Ucraina non sarà consentito uscire dal conflitto attraverso negoziati.

Inutile dire che gli Stati Uniti sono fortemente preoccupati da tale situazione. Oltre ai problemi interni relativi a stanchezza imperiale e malcontento popolare per il prolungato impegno su molteplici fronti di conflitto (dall’Ucraina a Israele, fino a Taiwan e all’Indo-Pacifico), Washington deve fare i conti con un fronte anti-occidentale che punta a minarne l’egemonia, con Iran e Cina in prima linea. Da qui la decisione, presa dal Congresso nel dicembre 2023, di bloccare ulteriori aiuti militari all’Ucraina.

Una sconfitta dell’Ucraina imporrebbe un prezzo troppo alto

Gli Stati Uniti non possono permettersi di perdere una sola guerra, soprattutto quella d’Ucraina. Come emerge da un’analisi dell’Institute for the Study of War (Isw), che cita dati e scenari forniti anche da CNN e New York Times, una conquista russa dell’intera Ucraina non è affatto impossibile nel caso in cui gli Stati Uniti e l’Unione europea interrompessero del tutto l’assistenza militare. Seppur ridotto e malconcio, una vittoria nel suo Stato cuscinetto per eccellenza porterebbe l’esercito russo a premere direttamente sui confini della Nato, dal Mar Nero all’Artico. Secondo fonti di intelligence statunitensi, l’esercito di Kiev con il sostegno occidentale ha distrutto quasi il 90% delle forze con cui Mosca ha invaso il Paese dal febbraio 2022. C’è però un grosso “ma”: la Russia ha prontamente rimpiazzato quelle perdite umane e ha ampliato la propria base industriale per compensare rapidamente anche le carenze materiali, a ritmi decisamente superiore rispetto ai livelli pre-guerra.

In caso di vittoria, la Russia avrà entusiasmo, uomini e mezzi maggiori rispetto al 2022, sfruttando l’ondata di euforia patriottica e l’appoggio inevitabile degli altri avversari globali degli Usa, in primi la Cina. Inoltre l’economia russa si riprenderà gradualmente man mano che le sanzioni verrano meno, mentre il Cremlino consoliderà le vie traverse con cui già adesso aggira quelle esistenti. Mosca può dunque rappresentare una grave minaccia militare convenzionale per la Nato per la prima volta dagli Anni Novanta, considerando anche il fatto che Mosca si è già impegnata in un ambizioso programma di espansione militare post-bellica. Forte anche dell’eventuale assorbimento della Bielorussia, oltre che dell’Ucraina.

Anche in questo caso, però, le capacità militari di Usa e alleati Nato resterebbero di gran lunga superiori a quelle della Russia. Ma cosa succederebbe se dovessero unire le forze agli altri imperi rivali, come Cina e Iran? Ecco dunque che i costi che Washington si troverebbe a sostenere per continuare ad aiutare Kiev nei prossimi anni risultano molto più bassi di quelli di una vittoria russa. Il perché è presto detto: in caso di accresciuta minaccia russa al confine orientale della Nato, gli Stati Uniti dovranno schierare nell’Est Europa una parte considerevole delle loro truppe di terra e un gran numero di aerei stealth (invisibili ai radar, ndr). Costruire e mantenere questi velivoli è intrinsecamente costoso, ma le sfide legate alla loro rapida produzione probabilmente costringeranno gli Usa a operare una scelta terribile tra mantenerne abbastanza in Asia per difendere Taiwan e scoraggiare o sconfiggere un attacco russo contro un alleato atlantico. L’intera impresa costerebbe una fortuna e tale spesa durerà finché continuerà la minaccia russa, con risvolti socio-economici drammatici.

Geopolitica della guerra in Ucraina

La guerra d’Ucraina non finirà grazie ai cinesi, che non potranno mai convincere i russi a fare la pace. Pechino non ha alcuna capacità o speranza di coercizione su Mosca su questo piano, sebbene la Russia sia il socio di minoranza di questa alleanza di comodo (in quanto entrambi nemici degli Usa) tra imperi nemici per ragioni profonde strategiche, verrebbe quasi da dire “naturali”. L’ultimo conflitto fra Cina e Unione Sovietica risale al 1969, meno in là nel tempo di quanto si potrebbe pensare, mentre il mondo occidentale era distratto dalla cosiddetta Guerra Fredda.

La situazione ucraina rivela al contempo tanto la vittoria tattica della Russia sul campo di battaglia quanto la sua sconfitta strategica. Tradotto: la vittoria tattica è una questione fisico-matematica, ed è Mosca ad aver conquistato e occupato parti di territorio che prima del 2022 erano legittimamente parte dell’Ucraina; la sconfitta strategica è invece una questione geopolitica, e vede Mosca preda di Pechino alla quale vende a prezzo di favore grano e petrolio, che le consentiranno fra qualche anno di arrivare forte e pronta alla grande contesa per l’egemonia globale contro gli Stati Uniti. Grano che, peraltro, viene coltivato anche in ampie aree della Siberia a causa del riscaldamento globale.

Gli Usa vogliono impedire il sodalizio sino-russo, esattamente come nella seconda metà del Novecento. Per questo motivo chiunque vincerà le elezioni presidenziali americane del 2024 dovrà parlare col Cremlino, e dunque assai probabilmente con Vladimir Putin. Perché lo impone la grammatica strategica della nazione: se si hanno due nemici, si punta il più debole per non farlo alleare con il più forte. Per lo stesso motivo gli Usa – e dunque la Nato, e dunque l’Ue – non vogliono annientare la Russia nella guerra in Ucraina (realizzando la “profezia” di Kissinger), perché in quel modo diventerebbe facile preda della Cina. Il tutto a scapito dei mal di pancia di Zelensky, che invece costruisce tutto il suo consenso sulla guerra totale al Cremlino. La guerra d’Ucraina potrà dunque finire soltanto con un negoziato tra russi e americani. Al momento la Cina è troppo debole per sfidare apertamente gli Stati Uniti, ma assieme alla Russia ha il coraggio di alzare la posta in gioco. Soprattutto perché quel divario di forza che sembrava incolmabile un paio di decenni fa si è assottigliata.