Mosca vuole neutralizzare Kiev: la Transnistria sarà la nuova Ucraina e l’Ucraina finirà come la Georgia?

In una fase della guerra militarmente favorevole, la Russia si muove per "circondare" l'Ucraina e controllarla senza occuparla interamente. Si è parlato tanto della Transnistria moldava, ma non va dimenticata la Georgia. Ecco perché

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

L’Ucraina non può vincere la guerra contro la Russia sul campo. A due anni dall’invasione, mancano munizioni e uomini e l’Occidente non è in grado di supportare e sopportare lo sforzo bellico della resistenza. Con Kiev che spara un colpo ogni dieci colpi da parte russa. Il conflitto finirà solo quando gli Usa si siederanno al tavolo dei negoziati coi russi, che nel frattempo consolidano la propria posizione nel sud-est del Paese per ottenere il maggior vantaggio territoriale e militare.

La guerra russo-ucraina è però anche una spugna imbevuta di storia, antica e recente. Non solo per l’ormai inflazionata retorica delle Russie sorelle e della culla della civiltà slava orientale della Rus’ di Kiev, ma anche per quanto riguarda le vicine Georgia e Moldavia. Altri satelliti dell’ex galassia sovietica usciti dall’orbita del Cremlino, ma sempre sotto il tiro degli asteroidi di Mosca. Con la striscia separatista moldava della Transinistria che, come avevamo previsto con netto anticipo, minaccia di infiammare il conflitto. Premesse e situazioni e perfino previsioni sul dopo combaciano quasi perfettamente con l’attuale contingenza ucraina. Ecco perché analizzarle può dirci molto sul presente e sul futuro di un conflitto che ha registrato una svolta con la presa russa di Avdiivka.

Perché la conquista di Avdiivka è importante e come cambia la guerra

Il futuro del conflitto passa in qualche modo dalla svolta di Avdiivka. Gli ucraini continuano a resistere perché 16 chilometri più indietro stanno cercando di creare una nuova linea difensiva che sfrutta la presenza di una serie di laghetti. Intanto Volodymyr Zelensky finisce ancor di più sotto i riflettori, perché ha voluto lui l’avvicendamento al vertice dell’esercito tra Zaluzhny e Syrsky. C’è da dire che quest’ultimo è forse l’ufficiale ucraino più abituato a situazione stile Bakhmut e Avdiivka, cioè in cui i soldati sono in una sacca soverchiati dal nemico, ma ha commesso lo stesso “errore” di altre battaglie simili risalenti al conflitto del Donbass del 2014: non comandare la ritirata fino alla fine. Un atteggiamento molto criticato dalle unità ucraine, che già l’avevano sperimentato a caro prezzo nei tremendi combattimenti per altri centri come Bakhmut, Mariupol, Soledar e Severodonetsk. Alla fine però Syrsky ha deciso per la ritirata dalla città, anche se troppo tardi e in maniera frettolosa, lasciando dietro centinaia e centinaia di soldati ucraini.

Per i russi Avdiivka rappresenta invece un successo politico, più che strategico. Con la conquista della città e dei villaggi limitrofi allontanano infatti gli ucraini dal capoluogo Donetsk e dalla logistica russa, che garantisce rifornimenti e collegamento con la madrepatria. Inoltre, per la prima volta dal 2014, i russi riescono a controllare stabilmente una cittadina che i separatisti filorussi non erano riusciti mai a prendere in otto anni di conflitto nel Donbass. Uno degli aspetti più atroci delle guerre è che le vite umane vengono messe a bilancio: sono una voce della “spesa” di un esercito. Se si vuole ragionare come uno Stato maggiore, e russo in particolare, le perdite subite nella battaglia per Avdiivka non valgono lo sforzo. Il discorso cambierebbe se la città diventerà un trampolino per conquiste più consistenti incuneate nella linea difensiva nemica. L’esercito russo non è tuttavia intenzionato a compiere grandi avanzate oltre il fronte del Donetsk per un semplice motivo: oltre alle migliaia di uomini necessari per prendere un centro urbano ben difeso in scontri di logoramento, ne sono necessarie altrettante per presidiare l’area occupata. Questo comporterebbe una nuova grande mobilitazione in Russia, che sarebbe molto impopolare a meno di due settimane dalle elezioni presidenziali che vedranno l’ennesimo mandato di Vladimir Putin. Per questo Mosca punta a rafforzare la difesa di territori già occupati. Il vero valore della conquista di Avdiivka sarà svelato quando e se i russi sapranno sfruttarne il vantaggio tattico.

Intanto però sui social russi, soprattutto su VK (ВКонтакте, VKontakte cioè “InContatto”: il loro Facebook, in pratica), sta avanzando un movimento di protesta, fatto soprattutto di donne, che attacca la “segretezza” del Cremlino e vuole sapere com’è davvero la situazione al fronte. Aura di segretezza che ha risvolti tragici, come nel caso di Andriy “Murz” Morozov. Il blogger russo aveva dichiarato, sul suo canale Telegram, che nella battaglia per Avdiivka sarebbero morti più di 16mila soldati russi, attirando le ire dello Stato maggiore e l’ordine di cancellare il post. Vietato far sapere, il nemico ci ascolta. Una “mosca bianca” pericolosa per la tenuta del comando, visto che Morozov ha preso parte alla guerra nelle fila della “milizia popolare” dell’autoproclamata Repubblica di Lugansk, diventando poi membro nella Quarta Brigata separata di fucilieri motorizzati delle Forze armate russe. Le pressioni e le minacce sono poi diventate troppo estreme e Morozov si è suicidato con un colpo di pistola.

Qual è l’obiettivo della Russia?

A due anni dall’inizio della guerra l’Ucraina è in estrema difficoltà, alla disperata ricerca di munizioni e uomini. Ma la vera domanda è: qual è l’obiettivo della Russia? Non certo un cessate il fuoco e il mantenimento del 20% del territorio ucraino già conquistato. E non certo un controllo territoriale totale dell’Ucraina, quanto più un’egemonia politica su Kiev come era stato fino agli Anni Dieci del Nuovo Millennio.

L’occupazione totale del Paese invaso è però un obiettivo ormai irraggiungibile per Mosca, che però resta inflessibile sul controllo della Crimea, tagliando all’Ucraina indipendente l’accesso al Mar Nero. In questo modo potrà orientare a suo favore la traiettoria politica di Kiev, che sarà impossibilitata a esportare i prodotti nazionali, soprattutto grano e cereali, che si muovo soltanto in minima parte via terra (treni o camion). Un film già visto, a ben pensarci: quello della Georgia.

In Ucraina finirà come in Georgia?

Il copione ucraino è inquietantemente simile a quello georgiano: due regioni separatiste filorusse, Ossezia del Sud e Abkhazia; un Paese che aveva scelto l’Occidente diventa oggetto di invasione russa nel 2008, dopo l’ammassamento di uomini e mezzi al confine con la “scusa” di un’esercitazione; le denunce posticce da parte di Mosca di abusi, crimini e violenze commessi dai georgiani ai danni della popolazione dell’Ossezia del Sud che voleva essere annessa alla Federazione; una guerra lampo, in stile Crimea 2014, che però provocò centinaia di morti e portò all’occupazione – tuttora in fieridel 20% del territorio della Georgia; la miopia occidentale, che ha pensato di accontentare Putin per “tenerlo buono”. Il tutto nell’ambito della grande partita energetica del trasporto di idrocarburi dall’Asia all’Europa attraverso il Caucaso. Analogia impressionante, resa ancor più viva dall’intensa opera di russificazione che il Cremlino continua a portare avanti nel Paese caucasico, dividendo perfino membri della stessa famiglia come nelle Repubbliche autoproclamate ucraine di Donetsk e Lugansk.

Il partito “Sogno georgiano” del presidente in carica non vuole farsi coinvolgere nel conflitto ucraino, perché non vuole più sconvolgimenti in casa, sul proprio territorio. E, mentre chiude più di un occhio, partecipa addirittura alle triangolazioni in favore della Russia. Il destino dell’Ucraina dopo la guerra, occupata per il 20% da Mosca, sarà dunque lo stesso toccato alla Georgia? Dopo l’intervento, stavolta diretto, della Nato e la guerra russa in Georgia nel 2008, il Paese è stato ridotto a una “neutralità” che per il momento accontenta i due imperi contrapposti. Garantire la medesima neutralità anche all’Ucraina sarebbe un grandissimo risultato per Putin, contando anche sulla graduale perdita d’interesse dell’Occidente nei confronti di un Paese tecnicamente fallito, che ha bisogno dell’intervento esterno per pagare perfino gli stipendi pubblici e le pensioni e non solo la guerra. Le mire russe non sono dunque territoriali, di conquista totale dell’Ucraina oramai impossibile, ma di ascendenza politica sui futuri governi di Kiev.

In definitiva, sia Mosca sia Washington sembrano puntare a “neutralizzare” l’Ucraina in senso georgiano, riportandola di fatto alla condizione precedente alla svolta filo-europea della rivolta di Piazza Maidan. In questo modo Putin avrebbe la “garanzia” che la politica di Kiev non sarà più contraria a quella di Mosca. In un contesto internazionale però profondamente mutato, in cui la Russia si racconta come guida di un rinvigorito fronte anti-occidentale che vede in prima linea anche l’acerrimo rivale dell’America, e cioè la Cina. L’interesse statunitense è quello di congelare il conflitto, senza far collassare l’Ucraina e senza disintegrare la Russia, la cui sconfitta strategica porterebbe uno sconvolgimento epocale nello stesso sistema euro-atlantico messo in piedi da Washington. Senza una minaccia russa viva ma controllata, infatti, la Nato non avrebbe più motivo di mantenere soldati e basi negli Stati Ue. E la stessa Unione europea, messa insieme al netto di particolarismi e rivalità in alcuni casi anche estremi, entrerebbe in una profonda crisi politica.

La Transnistria filorussa e il piano di Mosca per la Moldavia

La Georgia non è però l’unico Paese ex sovietico a registrare un’enclave filorussa. In Moldavia sorge infatti l’ormai celebre Repubblica separatista della Transnistria, una striscia di terra non riconosciuta dall’Onu che corre lungo il confine sud-occidentale dell’Ucraina, nella quale sono presenti 1.500 soldati russi e con ogni probabilità anche armi nucleari. Per la terza volta nella sua storia, il Congresso della Transnistria (il Soviet supremo più i commissari dei 7 distretti locali: 600 persone in totale) dice “sì” (senza però votare una risoluzione ufficiale) all’unificazione con la Federazione Russa e ne chiede l’aiuto diretto per contrastare le pressioni di Chisinau, soprattutto economiche attraverso i dazi doganali. L’ultimo referendum sull’annessione alla Russia risale al 2006, in cui i voti favorevoli furono la quasi totalità: il 98% delle schede. Si rischia dunque di assistere allo stesso film della Crimea nel 2014, con Mosca che potrebbe attaccare l’Ucraina anche da ovest. Anche se, va detto, che la Repubblica autoproclamata anche stavolta sembra intenzionata più a destabilizzare il governo filoeuropeista moldavo, piuttosto che minacciare direttamente l’Ucraina per conto del Cremlino.

Il piano russo per la Moldavia è però ancora in piedi, nonostante il fallimento operativo registrato nelle prime settimane successive all’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022. La guerra lampo prevista da Mosca, che non ha ricevuto l’accoglienza e la collaborazione preventivata da parte delle comunità russofone ucraine, avrebbe dovuto svilupparsi anche lungo il saliente del fiume Dnper, che da Karkhiv e attraverso Poltava, Dnipro e Zaporizhzhia scende verso sud, tagliando di fatto il Paese in due e puntando all’est del territorio attaccando anche da sud verso Mykolaiv e Odessa. Dopo aver isolato l’Ucraina dal mare, impedendole il commercio e così controllandola senza doverla occupare militarmente tutta, la Russia avrebbe circondato il nucleo filo-occidentale dell’Ucraina arrivando alla Transnistria. Chiudendo il cerchio, come i suol dire. Un piano fallito in passato ma che, vista la fase bellica favorevole alla Russia, è tecnicamente ancora possibile. E nel quale vanno inquadrati gli attuali rigurgiti filorussi della Transnistria, la cui capitale Tiraspol si propone come punto estremo a sud di quella linea immaginaria che la unisce l’exclave russa di Kaliningrad, sul Mar Baltico, passando per il satellite Bielorussia.

Il copione ucraino e georgiano potrebbe dunque diventare anche moldavo. Mosca punta infatti a destabilizzare la Moldavia, sempre nell’ottica di sottrarla alla corte dell’Ue. Dopo l’invasione dell’Ucraina, è salita sensibilmente la tensione tra Mosca e Chisinau, con quest’ultima che ha apertamente attaccato i tentativi di ingerenza da parte di Putin, confermando la propria agenda filo-occidentale. Alexei Polishchuk, direttore del Secondo Dipartimento dei Paesi della Comunità degli Stati Indipendenti (Csi) presso il ministero degli Esteri russo, ha affermato in un’intervista all’agenzia di stampa Tass che la Moldavia ha iniziato a “distruggere i suoi legami” con la coalizione internazionale a guida russa. Al punto che il governo moldavo progetta di abbandonare la Csi entro la fine del 2024.

A esacerbare le tensioni contribuisce ovviamente anche la presa occidentale sulla Moldavia. A fine ottobre 2023, nel Paese è stata inaugurata un’esercitazione militare sotto il comando degli Stati Uniti, l’Aurochs Partner 2023, in cui un aereo della Nato ha sorvolato tre regioni moldave. A un tiro di schioppo dalla Transnistria invocante Mosca e dall’Ucraina in guerra. Non solo: presso una base di addestramento militare in Moldavia si sono svolte esercitazioni Jcet (Joint Combined Exchange Training 2023) con la Romania, Stato membro dell’Alleanza Atlantica. In Transnistria la militarizzazione della Moldavia è stata identificata con l’intenzione di applicare “l’esperienza del Nagorno-Karabakh”, soffocando cioè la tendenze autonomiste di una comunità annullandone l’avventura istituzionale e di sentimento popolare. Per far fronte alla disastrosa situazione economica, la Transnistria non si è rivolta soltanto alla Russia, ma anche all’Occidente. E in particolare al segretario generale dell’Onu, all’Osce e al Parlamento europeo. Ancora una volta, come in Ucraina e Georgia, una comunità in bilico tra Russia e Occidente.