Tra Artico, Ucraina e Africa: come la Russia immagina se stessa nel 2050

La guerra in Ucraina non è che una parte del grande piano della Russia per il futuro. Futuro intimamente legato al passato imperiale e che coinvolge geopolitica, energia, economia e cultura. Ecco cosa vuole diventare Mosca alla metà del secolo

Foto di Maurizio Perriello

Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Con ogni probabilità Vladimir Putin non sarà più al Cremlino, ma la Russia sarà ancora al suo posto. In che modo uscirà dalla conflitto d’Ucraina, ridimensionata o allargata, è tutto da vedere. Ma fin d’ora sappiamo molto bene come la Federazione immagina e proietta se stessa alla metà del secolo, in quel 2050 che rappresenta un giro di boa non solo psicologico per le grandi potenze (vedi la Cina, che vuole concludere la riannessione di Taiwan entro il 2049, centenario della fondazione della Repubblica).

Tra proiezione nel Mar Glaciale Artico e influenza in Medio Oriente e Africa, passando per l’agognato ricongiungimento di Ucraina e Bielorussia al territorio della Federazione, nei prossimi 30 anni il Cremlino vuole perseguire i suoi obiettivi strategici di sicurezza, enunciati da Putin a fine 2021 e afferenti all’esigenza strutturale di allontanare le linee di difesa da Mosca. E anche quando Putin sarà passato, resterà il secolare bisogno russo di esorcizzare il senso di accerchiamento. Ma non solo.

Guerra in Ucraina, cosa vuole davvero la Russia

Aumento della spesa militare e della produzione industriale bellica, sviluppo e impiego nel Mar Nero di navi e sottomarini militari (e nucleari), ingenti risorse per rafforzare la flotta aerea, mobilitazione di nuove truppe per trincerarsi al meglio nelle regioni occupate, cambio di tattica e di bersagli militari. Ognuno di questi fattori rivela che la Russia vuole tenersi stretta gli oblast ucraini occupati e annessi: Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Crimea. Quella Nuova Russia (Новороссия, Novoróssija) che la veneratissima zarina Caterina II ha conquistato, ampliando l’Impero fino al Mar Nero e creando di fatto le radici del conflitto in corso.

La percezione del cittadino russo medio è molto lontana dalla visione occidentale. Gli imperi hanno una memoria lunghissima, ne fanno il centro e fine ultimo della vita nazionale e vivono di status. Qualcosa che a noi europei e americanocentrici appare perlopiù assurda, ma così è. E il cittadino russo, soprattutto quello che abita in centri e zone lontani dalle metropoli cosmopolite Mosca e San Pietroburgo, sa che esistono una Grande Russia, una Russia Bianca (Bielorussia) e una Piccola Russia (parte dell’odierna Ucraina). Il primo obiettivo del Cremlino, indipendente dalla leadership di Putin checché se ne dica, è riassorbire la altre due Russie per sentirsi al sicuro. Per un millennio la Russia si è infatti difesa fuori dai propri confini, come contro le invasioni napoleonica e nazista, in terre che non presentano barriere orografiche dal cuore d’Europa fino al cuore territoriale russo.

Dall’Ucraina che Mosca intendere annettere è escluso l’oblast di Leopoli, considerata europea e addirittura “polacca” dal Cremlino, in quanto storicamente legata alla Confederazione lituano-polacca e all’Impero austro-ungarico. Tali considerazioni russe non sono affatto sconosciute agli Usa, che anzi cercano ancora di promuovere le cosiddette “rivoluzioni colorate” in Ucraina e Bielorussia per scalzare la preminente influenza di Mosca. Una guerra di retorica e propaganda, non meno feroce di quella convenzionale.

I piani russi per l’Artico

Il progetto di controglobalizzazione russo, che mira a scalzare l’egemonia statunitense, si lega a quello cinese delle Nuove Vie della Seta (marittimo e terrestre) e riguarda principalmente il Mar Glaciale Artico. Per questo Mosca ha incrementato gli investimenti per migliorare i porti e per rendere il “suo oceano” navigabile durante tutti i mesi dell’anno. Il tutto a vantaggio innegabile della Cina, partner economica ma non strategica in quanto impero confinante, che così potrà coltivare i flussi commerciali con l’Europa lungo una direttrice marittima completamente sgombra da presenza occidentale ostile. Con considerevole taglio dei costi attualmente sostenuti per trasportare merci attraverso l’Oceano Indiano e gli stretti controllati da Usa e alleati.

Da qui la decisione di puntare tutto sullo sviluppo di infrastrutture e tecnologie moderne, oltre che navi pattuglia, fregate e corvette di piccola e media cilindrata adatte a navigare nella zona artica, per garantirne la sicurezza. Al Mar Artico le carovane commerciali cinesi e centroasiatiche giungono risalendo le attrezzate vie fluviali eurasiatiche, il che vuol dire anche sviluppo e ricchezza per i territori interni della Federazione Russa, soprattutto nella Siberia già strategica per l’estrazione di materie prime e combustibili fossili. In questo senso rivestiranno un’importanza ancora più grande i porti russi che costellano l’intera costa settentrionale fino al confine meridionale con la Cina: partendo da Pečenga e Murmansk, al confine con la Finlandia, la linea dei porti artici prosegue con Arcangelo e Indiga, con Novij Port, Karasavey, Tazovski, Antipajuta, Dikson, Khatanga, Tiksi, Nižnekolymsk, Pevek, Providenija, Anadyr, Petropavlovsk in Kamchatka, Katangli, Vanino, Nahodka e Vladivostok.

Oltre ad aprire la rotta marittima settentrionale, lo scioglimento dei ghiacci artici comporterà anche un inasprimento della competizione con la stessa Cina per il controllo dei traffici. Molti porti sono stati costruiti e ampliati grazie a investimenti cinesi, il che spingerà Pechino a convincere la Russia a tener conto in prima istanza degli interessi cinesi. Come la Russia deciderà di gestire o dividere il suo dominio artico dipenderà da vari fattori, primi fra i quali la capacità di svilupparsi economicamente e tecnologicamente e come evolveranno le relazioni con Usa e Ue all’indomani del conflitto d’Ucraina.

Il rapporto con la Cina

Al di là del partenariato economico di facciata, che tradisce inevitabili divergenze strategiche, la Russia e la Cina si stanno usando per costruire la propria supremazia futura. Entrambi i Paesi sono convinti di riuscire a primeggiare a lungo andare, anche se i mezzi e le contingenze configurano Pechino come senior partner. Mosca sta vendendo al suo alleato asiatico grano e petrolio a prezzo di favore e in yuan, rafforzando la Repubblica Popolare in vista della futura sfida con Washington per l’egemonia globale (che partirà da Taiwan). Una situazione che il Cremlino mal tollera ma ritiene necessaria, col chiaro intento di divincolarsi dalla dipendenza nei confronti della Cina alla metà del secolo.

Al momento, però, i presidenti Putin e Xi Jinping snocciolano incontri ed endorsement reciproci e il fatturato commerciale tra i due Paesi ha superato i 200 miliardi di dollari nel 2023. Il principale nodo del contendere che tuttavia emerge anche nei colloqui istituzionali riguarda la Siberia, territorio immenso in cui i russi si sono installati stabilmente da quattro secoli, in maniera “abusiva” secondo Pechino. Una dominio che irrita anche Stati Uniti e Giappone, che vedono di fatto un muro territoriale e marittimo (nell’Artico, per l’appunto) che ostacola l’esportazione dei propri interessi.

Pechino non si espone del tutto sulla ribalta internazionale, ma cerca di convincere Mosca a cessare le ostilità in Ucraina per poter far ripartire a pieno regime il progetto delle Nuove Vie della Seta. Perché l’alleanza con la Russia, rivale anche per quanto riguarda il controllo sull’Asia Centrale, è strumentale soltanto se sfruttata da una posizione di vantaggio sugli Usa. La Russia non vuole diventare uno Stato vassallo del suo ingombrante vicino, come non è voluto diventare satellite degli Usa ai quali si era avvicinata nei primi Anni Duemila. Ogni impero si considera unico e non vede altro che nemici o colonie. La Russia vede dunque nella temporanea alleanza con la Cina una fase passeggera destinata a portare a un inevitabile scontro in futuro, quando sentirà di avere la forza sufficiente a sostenere un conflitto di tale portata.

L’influenza russa in Africa e Medio Oriente

Se la Russia non ha “fatto sul serio” fino in fondo in Ucraina, la causa è da ricercare anche nella dispersione delle sue risorse militari anche in altri teatri di guerra e dominio. Africa in primis, dove il Cremlino ha dirottato truppe e compagnie paramilitari (come la Wagner, che è sopravvissuta alla morte del suo leader Prigozhin e continua a operare) per mantenere saldo il controllo su tutte quelle aree caratterizzate da vuoti istituzionali e governi da parte di giunte militari (come in Niger). Il tutto col beneplacito di sauditi ed emiratini, che fungono da fucina finanziaria e generano capitali a partire dall’oro e dalle materie prime africane. Una comunione d’intenti testimoniata anche dai recenti viaggi di Putin a Riad e Abu Dhabi, oltre che dall’incontro del 7 dicembre a Mosca anche l’omologo iraniano Ebrahim Raisi. L’intento dei Paesi del Golfo è quello di tenere sotto pressione costante gli Stati Uniti tramite il controllo dei prezzi del petrolio e l’aggiramento delle sanzioni occidentali (qui abbiamo spiegato come la Russia riesce a eluderle praticamente del tutto).

Oltre che nel Sahel e nell’Africa centrale, dove ha irretito i governi locali promettendo la cancellazione del debito contratto nel Novecento con l’Unione Sovietica, la Russia è da anni presente militarmente anche in Medio Oriente, soprattutto in Siria, dove sono presenti basi militari di tutto rispetto zeppe di missili Kinzhal, carri armati e caccia militari. Nonostante il controllo anche amministrativo della regione sia passato dalle mani della Wagner a quelle della Redut, la presa di Mosca non si è indebolita. Un altro terreno, come l’Ucraina, di scontro indiretto con gli Usa, che parallelamente stanno aumentando la loro presenza a est del fiume Eufrate. Mosca vuole insomma allargare la sua influenza in Medio Oriente con militari, basi navali, investimenti e soft power. Soprattutto in Siria, ma anche in Israele e perfino nel Mediterraneo.

Dopo l’invasione dell’Ucraina, la Russia ha subìto, com’è noto, pesanti sanzioni e una marginalizzazione politica sempre maggiore da parte dell’Occidente. Per questo motivo ha riversato maggiori risorse ed energia in quei territori che controlla indirettamente con presenza militare e paramilitare in Africa e in Medio Oriente. Non è una novità: si tratta di aree del mondo sulle quali Mosca investe da tempo. Con Israele intrattiene rapporti decisamente ambigui: sulla carta più che alleati, amici, ma al contempo anche alleati dei nemici del proprio “amico”. Il controllo russo del “ponte” tra Africa e Medio Oriente si dipana anche e soprattutto attraverso porti e presenza navale. Quest’estate si contavano ben 18 grandi imbarcazioni di Mosca nel Mediterraneo.

L’anello più forte della catena è però rappresentato dalle infrastrutture portuali e aeroportuali che la Russia controlla nell’area, in particolare in Siria. I due avamposti principali sono la base navale di Tartus e quella aerea di Ḥumaymīm/Kheimim, nei pressi di Latakia. La prima rappresenta l’unica installazione marittima di Mosca nel Mediterraneo, dove stazionano quattro navi militari di media stazza e in cui avviene la manutenzione delle imbarcazioni da guerra utilizzate nel Mar Nero. Nel 2017 la Russia ha inoltre sottoscritto il controllo e la sovranità del territorio dove sorge la base per la bellezza di 49 anni. Con un grande obiettivo: ampliare l’infrastruttura per consentire l’attracco di navi a propulsione nucleare. Le mani russe si allungano però anche nel Mar Rosso, chiudendo così la cerniera che collega il Mediterraneo (e dunque l’Atlantico) all’Oceano Indiano. A Port Sudan, principale snodo marittimo del Sudan, il Cremlino ha inaugurato il progetto di un porto dalla grande importanza strategica per blindare da sud il controllo della regione.

Le nuove mosse della Russia in guerra

Tornando dall’orizzonte del futuro al piano del presente, vediamo quali sono le mosse attuali con cui la Federazione intende perseguire i propri obiettivi. Abbiamo già parlato della nuova tattica russa di colpire le infrastrutture belliche anziché quelle energetiche, ma non è tutto. Putin ha firmato un decreto sulla concessione della cittadinanza russa agli stranieri che hanno stipulato un contratto militare. La strategia di allargamento di soft power e consenso del Cremlino passa anche dall’offerta del passaporto russo ai cittadini stranieri che prestano servizio militare nelle Forze Armate o nelle formazioni militari durante un’operazione speciale, come quella in Ucraina, così come i soldati che si sono ritirati dall’esercito nello stesso periodo. Un approccio multietnico di respiro imperiale, che guarda inevitabilmente al futuro.

Lo sviluppo di nuove navi militari e sottomarini nucleari, lo sforzo industriale bellico e la diplomazia sotterranea con gli Usa per il conflitto in Ucraina sono parte di un piano che Putin vuole portare a compimento prima delle elezioni presidenziali di marzo 2024 (ne abbiamo parlato qui). Un piano che prevede anche l’acquisto di missili balistici a corto raggio dall’Iran, che aumenterebbe la capacità di Mosca di colpire le infrastrutture ucraine e spingere Kiev e alleati ad accettare le condizioni del Cremlino per concludere la guerra. Secondo il Wall Street Journal, la consegna dei missili iraniani potrebbe avvenire già in primavera. Intanto Mosca ha già iniziato a ricevere lanciamissili e diverse dozzine di missili dalla Corea del Nord.

La Federazione Russa ha inoltre già acquisito un gran numero di droni dall’Iran per attaccare l’Ucraina. Mosca e Teheran stanno anche costruendo una nuova fabbrica in Russia che potrebbe produrre migliaia di droni per il conflitto. In altre parole: attualmente la Russia sta cercando di far sapere in ogni modo all’Occidente che punta tutto sull’aspetto militare, creando con le bombe una cortina di fumo che nasconda i suoi progetti infrastrutturali ed economici per la futura proiezione di potenza.