Iran pronto ad attaccare Israele entro 24-48 ore: le ambasciate tra i possibili obiettivi

L'Iran è pronto ad attaccare il territorio di Israele entro le prossime 24-48 ore: i possibili obiettivi dal Libano alle ambasciate

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Matteo Runchi

Editor esperto di economia e attualità

Redattore esperto di tecnologia e esteri, scrive di attualità, cronaca ed economia

L’attacco dell’Iran a Israele sarebbe imminente. 24 ore, massimo 48, per la risposta di Teheran al bombardamento dell’ambasciata di Damasco, nel quale sono morte 23 persone tra cui un generale delle Guardie Rivoluzionarie. Contro questa minaccia, gli Usa hanno confermato il loro sostegno a Tel Aviv, anche nel tentativo di scoraggiare una rappresaglia da parte dell’Iran, temendo un’estensione del conflitto in corso a Gaza.

Diverse le possibilità di attacco per l’Iran. Secondo gli ultimi report giornalistici, il principale obiettivo potrebbe essere proprio il territorio israeliano, prospettiva che spaventa per il potenziale allargamento del conflitto. Teheran potrebbe però anche replicare una rappresaglia come quella seguita all’uccisione del generale Suleimani, nel 2020, nella quale colpì una base Usa in Iraq con un missile balistico. Infine, c’è anche la possibilità di una mobilitazione di Hezbollah, gruppo libanese alleato dell’Iran che controlla il sud del Libano, al confine con Israele.

L’Iran pronto all’attacco contro Israele, Usa decisi a rispondere

Secondo quanto riporta il Wall Street Journal, che cita fonti proprie, l’attacco dell’Iran a Israele sarebbe questione di ore. 24, massimo 48, e poi Teheran procederà alla rappresaglia contro Tel Aviv, colpevole secondo gli Ayatollah di aver distrutto il consolato iraniano a Damasco il 1 aprile scorso. Nell’attacco hanno perso la vita 13 persone, tra cui anche il generale della Guardie rivoluzionarie Mohammad Reza Zahedi.

Israele sarebbe pronta a rispondere, secondo il ministro della Difesa Yoav Gallant: “Un attacco diretto dell’Iran comporterà una appropriata risposta da parte di Israele. Un attacco iraniano contro lo Stato di Israele, che potrebbe portare ad un’escalation nella regione” ha detto in un colloquio telefonico con Lloyd Austin, segretario della difesa degli Usa.

Anche il ministro della Difesa iraniano Hossein Amirabdollahian ha commentato le voci di un imminente attacco, alludendo alla giustificazione che l’Iran avrebbe in una simile azione: “Quando il regime israeliano viola completamente l’immunità degli individui e delle sedi diplomatiche andando contro al diritto internazionale e alla Convenzione di Vienna, la legittima difesa è una necessità” ha dichiarato.

“Se un attacco missilistico simile fosse accaduto in una missione diplomatica nella zona di guerra dell’Ucraina, la reazione degli Stati Uniti e dell’Europa sarebbe stata la stessa?” ha poi concluso.

Nel frattempo però gli Usa hanno confermato il proprio supporto a Israele, soprattutto nel caso in cui l’Iran decidesse per una rappresaglia diretta. Austin ha assicurato Gallant, nonostante i rapporti tra i leader dei due Paesi, Joe Biden e Benjamin Netanyahu, si siano da tempo deteriorati a causa dell’attacco militare dell’Idf nella Striscia di Gaza.

Gli obiettivi all’estero, dalle ambasciate al Libano

Le prospettive di un attacco iraniano ad Israele prendono in considerazione diversi possibili obiettivi. Facendo un paragone con il recente passato, si può analizzare come Teheran abbia agito in risposta a un attacco del tutto simile a quello del consolato di Damasco. Nel 2020, un drone americano uccise il generale delle Guardie rivoluzionarie Qasem Soleimani mentre si trovava in visita in Iraq.

A quell’attacco, l’Iran rispose bombardando la base americana di Ain al-Assad sempre in territorio iracheno. Rimasero feriti oltre 100 soldati statunitensi, ma non ci fu nessuna vittima. Un’operazione simile sarebbe più complessa nella rappresaglia contro Israele, dato che Tel Aviv non ha basi militari all’esterno del suo territorio che possano essere facilmente prese di mira dal lancio di missili a lunga gittata.

Un’opzione secondaria potrebbe essere quella di colpire un’ambasciata o un consolato di Israele all’estero. Yahya Rahim Safavi, consigliere anziano dell’Ayatollah Khamenei ha dichiarato la scorsa settimana che “Le ambasciate israeliane non sono più un luogo sicuro” dopo l’attacco a Damasco. Questo presenta però diversi problemi. Quasi sicuramente non andrebbe a colpire bersagli sensibili come il generale Zahedi, morto a DamascoInoltre rischierebbe di compromettere le relazioni diplomatiche con il Paese ospite dell’ambasciata stessa.

L’opzione che garantirebbe un rischio minore, sarebbe quella di replicare gli attacchi di inizio gennaio. In risposta alle operazioni di Israele a Gaza, l’Iran bombardò tre obiettivi in Pakistan, Siria e nel Kurdistan iracheno, dichiarando, senza prova, che si trattava di basi del Mossad, il servizio segreto israeliano. In questo modo Teheran ha mostrato il suo sostegno alla causa palestinese colpendo stati che non sono in grado di rispondere in maniera significativa a queste aggressioni. Questa volta però, data la gravità dell’attacco di Israele, una soluzione simile potrebbe essere considerata non sufficiente.

Infine c’è l’opzione libanese. L’Iran potrebbe spingere i propri alleati di Hezbollah a lanciare un vasto attacco missilistico dal libano verso i presidi di confine dell’Idf. Questo però potrebbe destabilizzare completamente la situazione già tesa in quell’area, dando anche una plausibile motivazione a Tel Aviv per intraprendere un’azione militare decisiva contro Hezbollah direttamente in territorio libanese.

L’attacco diretto e la paura per l’estensione del conflitto

Rimane quindi l’opzione che più spaventa la comunità internazionale, quella di un attacco diretto al territorio di Israele con missili o droni provenienti dall’Iran. Sicuramente, dal punto di vista militare, questa sarebbe l’opzione in grado di causare più danni e quindi quella favorita da coloro che, in Iran, vogliono una rappresaglia commisurata all’attacco israeliano a Damasco.

I problemi però sono vari. Anche ammesso che i missili balistici iraniani siano in grado di superare le difese aeree israeliane, molto all’avanguardia e oggi più che mai allerta dopo i ripetuti avvisi dell’intelligence statunitense, non è detto che l’attacco possa sortire gli effetti sperati. In questo momento l’opinione pubblica israeliana si sente sotto attacco e sostiene pienamente la guerra a Gaza.

Il governo di Tel Aviv si sentirebbe quindi non soltanto autorizzato, ma in dovere di rispondere in maniera massiccia a un attacco di questo tipo. Il rischio quindi è quello di un’escalation che nessuno degli alleati dei due Paesi vuole che si verifichi. Cina e Stati Uniti hanno infatti più volte ribadito la loro volontà di ridurre la portata delle operazioni militari in medio oriente, portando Hamas e Israele verso un cessate il fuoco e un processo di pace.

Questa prospettiva è però ormai sempre più lontana. Israele, per cominciare a ritirarsi da Gaza, ha chiesto almeno 40 degli oltre 130 ostaggi che Hamas non ha ancora riconsegnato. Il gruppo palestinese ha però ammesso di non essere in grado di rintracciarli e cresce la paura che buona parte di loro siano già deceduti per le torture, i bombardamenti, o perché abbandonati durante la ritirata delle truppe palestinesi.