Israele vuole attaccare l’Iran, ma non può sbagliare: il fragile equilibrio in Medio Oriente

Gli Usa hanno costruito un sistema di alleanze che Netanyahu rischia di distruggere. Intanto l'Iran minaccia di usare il nucleare: "Se Israele attacca, siamo pronti a usare l'arma mai utilizzata"

Foto di Maurizio Perriello

Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

“Colpiamo senza pietà”. L’ordine tuonato da Benjamin Netanyahu alle nuove reclute dell’esercito d’Israele si riferisce a Hamas nella Striscia di Gaza, ma suona come una condanna all’escalation anche con l’Iran. Lo Stato ebraico è l’unico a volere la guerra totale con Teheran, mentre gli alleati occidentali guidati dagli Usa premono per calmare l’intransigenza di Tel Aviv.

Nelle ultime ore si sono sprecati gli appelli di Italia, Regno Unito, Stati Uniti, Onu e Giordania per evitare l’allargamento del conflitto. Una pressione enorme sul governo Netanyahu, schiacciato tra il martello del dover rispondere al maxi attacco “telefonato” dell’Iran con centinaia di droni e missili e l’incudine di non poter sbagliare, pena la perdita degli alleati arabi e del fragilissimo equilibrio di alleanze e normalizzazione delle relazioni in Medio Oriente curato da Washington.

Se attacca, Israele rischia di perdere gli alleati arabi

Il presidente americano Joe Biden è consapevole del fatto che Netanyahu e la frangia più estremista del governo israeliano “decideranno da soli” come reagire all’Iran. La macchina diplomatica di Usa e Ue sta però agendo su più fronti per evitare il peggio, apparecchiando sanzioni per isolare l’Iran e chiamando in causa le autoreferenziali Cina e India. L’altra sfida per l’Occidente è non permettere il crollo rovinoso del sistema di alleanze fra Paesi arabi e Israele, che rappresenterebbe la definitiva sconfitta strategica per lo Stato ebraico.

La distruzione del 99% dei droni Shahed e dei missili balistici lanciati dall’Iran è stata possibile anche grazie al supporto militare non solo di Francia, Usa e Regno Unito, ma anche della Giordania. Che però dichiara a gran voce di non voler diventare il prossimo terreno di guerra, ben conscia delle mire israeliane su tutto il territorio compreso tra il Mediterraneo e la Valle del Giordano. “L’escalation in corso è molto pericolosa per tutti noi e noi non accetteremo che si renda la Giordania un ulteriore terreno di guerra. Siamo per la pace”, ha affermato il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi in visita a Berlino.

La Giordania è il Paese arabo che si è esposto di più per Israele in termini di difesa aerea, mentre più “in sordina” anche l’Arabia Saudita ha partecipato alla coalizione mediorientale contro i droni iraniani. Soprattutto fornendo informazioni di intelligence e dei sistemi radar sul raid di Teheran, nonché con la concessione dello spazio aereo nazionale per il sorvolo di jet occidentali. Il Regno di Mohammed bin Salman è il destinatario principale di quegli Accordi di Abramo che l’Iran mira a distruggere attraverso l’azione dei suoi satelliti sciiti Hamas, Hezbollah e Houthi. I sauditi e le altre monarchie arabe si sono mosse al fianco di Israele, nonostante la tragedia sentitissima dei palestinesi, perché anche per loro l’Iran è il grande nemico e la minaccia maggiore nella regione. Il ruolo geopolitico saudita è centrale per Tel Aviv anche come partner commerciale e tecnologico, oltre che nella fornitura di aiuti ai civili palestinesi. Che in questo modo si auspicano “sedati”, per intenderci.

Gli Emirati Arabi Uniti, dal canto loro, hanno invece negato ogni partecipazione diretta alle intercettazioni di droni e missili di Teheran, smentendo la notizia pubblicata dai media americani secondo cui Abu Dhabi avrebbe condiviso con gli occidentali informazioni sull’attacco iraniano. Sul Golfo si affaccia anche il Qatar, la “potenza neutrale” dell’area che pertanto ospita negoziati e funge da hub finanziario occulto per chiunque voglia fare affari con Doha, a prescindere dalla confessione. C’è poi l’Egitto, alleato di Israele nel contenimento di Hamas e degli altri fondamentalisti sul confine sud.

Nel risiko mediorientale si inserisce infine anche la Turchia, impero ambiguo a metà fra Nato e contro-globalizzazione, che segue soltanto la propria agenda ma che supporta lo Stato ebraico dal punto di vista militare e di intelligence in Iraq e nel Caucaso. Un po’ fuori dai giochi si posiziona invece la Siria, la cui debolezza non vale per Israele uno schieramento di truppe in atteggiamento offensivo al confine. Almeno per il momento.

Il fronte dei nemici di Israele

Questo variopinto fronte di alleanze si contrappone ovviamente all’Iran, grande potenza imperiale che mira all’egemonia regionale, ma che al contempo è anche vitale per mantenere il precario equilibrio mediorientale. Senza l’Iran, Israele perderebbe infatti la sua missione securitaria: Teheran è la minaccia dalla quale difendere i Paesi arabi e gli alleati nell’area. Specchio riflesso: senza Israele, l’Iran non avrebbe il nemico mortale contro il quale unire le formazioni sciite ed espandere così la propria influenza nel mondo arabo-mediterraneo. Per milizie sciite intendiamo innanzitutto Hezbollah, che ha a disposizione oltre 130mila missili e detiene l’esercito più potente e addestrato contro cui Israele deve ancora scontrarsi. E poi Hamas, oggi nemico mortale di Tel Aviv ma fino a ieri alleato nella gestione della Striscia di Gaza.

Ci sono anche gli Houthi, egemoni in gran parte dello Yemen e autentico baluardo per minacciare il Mar Rosso e lo Stretto di Bab el-Mandeb e quindi la globalizzazione americana, intesa come il controllo dei colli di bottiglia marittimi. Una menzione finale a parte anche per l’Anp, l’Autorità nazionale palestinese finanziata per sedare i palestinesi in Cisgiordania, ma che versa in una profonda crisi dalla quale difficilmente si risolleverà.

La minaccia nucleare dell’Iran

La tensione sale giorno dopo giorno ed era inevitabile che finisse col toccare anche la minaccia atomica. Israele è una grande potenza regionale con capacità immediata di risposta nucleare, mentre l’Iran possiede sicuramente l’arma anche se non l’ha mai ammesso ufficialmente. “I sionisti farebbero meglio a comportarsi razionalmente, perché se dovessero intraprendere un’azione militare contro Teheran siamo pronti a usare un’arma che non abbiamo mai usato prima”. Il riferimento del portavoce della Commissione per la sicurezza nazionale del Parlamento iraniano, Abolfazl Amouei, è chiaro che più chiaro non si può. “L’attacco avverrà in pochi secondi. Abbiamo piani per tutti gli scenari e agiremo con coraggio. Il nostro messaggio è la pace e allo stesso tempo la preparazione militare dell’Iran”.

Prima dell’Iran, però, Israele dovrà vedersela con il più grande e potente esercito della “Mezzaluna sciita” che combatte (anche) per conto di Teheran: Hezbollah. Dieci volte più forte di Hamas, che già da solo sta dando filo da torcere allo Stato ebraico da ormai sei mesi, il “Partito di Dio” stanziato nel lacerato Libano deve ancora mettere in campo la sua vera potenza. E proprio nelle ultime ore ha fatto esplodere droni in territorio israeliano, rivendicandone il lancio.