L’Iran attacca Israele con 300 droni e missili: sarà guerra aperta?

Dopo aver minacciato un attacco diretto e imminente a Israele, l'Iran lancia l'operazione "Promessa vera" senza però volere l'escalation. Il raid "telefonato" è stato infatti totalmente respinto, ma la miccia è stata accesa

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Dopo le minacce, sono arrivati i fatti: l’Iran ha sferrato il suo attacco contro Israele, in risposta al raid compiuto il primo aprile a Damasco, in cui sono rimaste uccise 12 persone tra cui il generale di un’unità dei Pasdaran Mohammad Reza Zahedi (e altri sette ufficiali). Un attacco “telefonato”, seguito passo passo dalla Difesa israeliana e dagli Stati Uniti, oltre che dal mondo intero. E che ha provocato danni trascurabili e soltanto” 31 feriti, tra cui una bambina.

Lo Stato ebraico ha fatto sapere di aver intercettato il 99% dei circa 300 missili e droni lanciati nella notte. Dei 170 droni lanciati dall’Iran nella “prima ondata” dell’attacco, nessuno è entrato nello spazio aereo israeliano. Tutti i velivoli senza pilota sono stati abbattuti fuori dai confini del Paese. Stesso destino, riferiscono sempre le Forze di Difesa Idf, per i missili balistici. L’Onu ha convocato una riunione d’emergenza, mentre il premier Netanyahu ha riunito il gabinetto di guerra. Nonostante si sia trattato sostanzialmente di una “dimostrazione” di forza, si teme l’escalation della guerra nella regione. Con gli Usa che condannano l’episodio, affermando però di non volersi impegnare nel contrattaccare l’Iran.

L’attacco diretto dell’Iran a Israele

Come avevamo previsto, l’Iran ha avverato uno dei tre possibili scenari della guerra in Medio Oriente, che appare sempre più per quella che è realmente: un conflitto aperto con Israele. Dopo averlo minacciato pur senza volere l’escalation, nella notte tra 13 e 14 aprile la potenza persiana ha utilizzato droni Shahed e missili da crociera a lungo raggio di tipo Soumar (compresa la versione più potente e aggiornata Hoveyzeh), un derivato del KH-55 di produzione russa. Il nome dell’operazione dice tutto: “Promessa vera”. I mezzi israeliani e statunitensi si sono subito mobilitati per fermare gli attacchi già oltre confine, tra Libano e Giordania. Contemporaneamente, però, pare che Teheran abbia tentato di mettere fuori gioco il sistema di difesa antiaerea Iron Dome con attacchi informatici, la cosiddetta “cyberwarfare” (o “guerra cibernetica”). Israele si era ampiamente preparato a un imminente attacco diretto da parte dell’Iran, prevedendo addirittura le tempistiche dell’attacco. Gli stessi Usa avevano osservato lo spostamento di risorse militari all’interno del Paese persiano, inclusi droni e missili da crociera, segnalando che si stava preparando ad attaccare obiettivi israeliani dall’interno del proprio territorio. Poco prima l’amministrazione Biden aveva deciso di schierare la portaerei Eisenhower nel nord del Mar Rosso, come ulteriore scudo anti-iraniano in grado di intercettare i vettori che Teheran avrebbe lanciato di lì a poco. Non prima di aver sequestrato una nave MSC nello Stretto di Hormuz, tra il Golfo d’Oman e il Golfo Persico, a poche miglia dalla costa dell’Iran.

Intorno alle 3 italiane, le forze israeliane hanno comunicato ai residenti che non era più necessario “restare vicino ai rifugi”, indicando che l’attacco iraniano era concluso. La fine del raid è stato confermato anche da Teheran, che però ha avvertito il suo grande rivale mediorientale attraverso un lancio dell’agenzia di stampa Tasnim: sarà sferrato un attacco immediato “con forza raddoppiata” se Israele risponderà alla salva di missili e droni. Dall’altro lato della barricata, fonti governative israeliane hanno avvertito che lo Stato ebraico sta invece preparando una “risposta decisiva” all’attacco subìto. L’Iran ha inoltre rivendicato di aver colpito diversi obiettivi israeliani e di aver inferto in particolare “duri colpi” alla base aerea del Negev. Come preventivato del resto, visto che tra gli obiettivi dichiarati di Teheran c’erano anche le Alture del Golan. Con i membri del Parlamento iraniano che non hanno mancato di celebrare, con applausi e scene di giubilo, l’assalto notturno. Il presidente della Camera Mohammad Bagher Ghalibaf ha rilasciato una dichiarazione che lascia poco spazio all’interpretazione: “Il popolo iraniano ha sferrato un attacco senza precedenti contro il nemico. È una risposta ai crimini sionisti ed è in linea con le convenzioni delle Nazioni Unite”.

Cosa ci dice l’attacco dell’Iran e cosa succede ora

Gli attacchi “telefonati” non funzionano mai e il più delle volte non vogliono funzionare. Già prima che partissero droni e missili, Usa e Israele erano a conoscenza di tutto. Ci sono stati addirittura la “telecronaca” e il conto alla rovescia per l’arrivo dei droni Shahed, che “ronzando” nei cieli avrebbero impiegato ore per arrivare al bersaglio. Dal lato israeliano c’è stato dunque tutto il tempo di prepararsi, mentre da quello iraniano c’è stata la precisa volontà di dichiarare l’attacco e mostrare i muscoli, di reagire allo smacco israeliano senza però attaccare con veemenza. Perché ne sarebbe nata una guerra aperta contro la super potenza del Medio Oriente, dotata dell’arma atomica. Prima dell’arrivo dei droni, sono decollati anche jet militari di Francia e Regno Unito in soccorso dell’alleato mediorientale, oltre agli F-18 statunitensi. Anche gli Usa hanno infatti contribuito ad abbattere i vettori iraniani.

Ci avete colpito e offeso e noi abbiamo risposto. Questo è stato in sostanza il messaggio di Teheran a Tel Aviv dopo aver tenuto col fiato sospeso il mondo intero per una notte. L’Iran ha fatto appello a Israele perché non reagisca al suo attacco diretto di droni e missili, definito “giustificato” e una “risposta obbligata” al raid contro il consolato di Damasco. “La questione può considerarsi chiusa così”, ha dichiarato la rappresentanza iraniana all’Onu. “Se però il regime israeliano commetterà un nuovo errore, la risposta sarà considerevolmente più dura”, ha affermato l’ambasciatore Saed Iravani, che ha inviato una lettera alla presidenza del Consiglio di sicurezza e al segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, sottolineando che l’attacco “rientra nell’esercizio del diritto di Teheran all’autodifesa”. Diritto sancito nell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, “in risposta alle ricorrenti aggressioni militari israeliane e in particolare dopo il raid del 1° aprile”. Pur esprimendo la propria adesione ai principi sanciti dall’Onu e dal diritto internazionale, l’Iran si è detto “determinato a difendere sovranità, integrità territoriale e interesse nazionale contro qualsiasi uso illegale della forza e dell’aggressione. Le misure difensive adottate dall’Iran – ha proseguito il diplomatico – indicano il suo approccio responsabile alla pace e alla sicurezza regionali e internazionali, in un momento in cui il regime di apartheid di Israele continua a praticare atti illegali e di genocidio contro la Palestina, aggressioni militari ripetute contro stati vicini oltre a manovre foriere di guerra nella regione e oltre”.

Lo abbiamo ripetuto in tutte le salse, ma è importante ribadirlo: l’Iran non vuole l’escalation con Israele. Ha circondato appositamente lo Stato ebraico con quell’Asse della Resistenza formato da milizie sciite, e dunque filo-iraniane, che condividono l’agenda anti-israeliana dell’impero persiano. Delegando di fatto gli attacchi a Hamas, Hezbollah e Houthi. Se da un lato è vero che il guanto di sfida autentico è stato lanciato con un attacco diretto stavolta, dall’altro bisogna considerare che il più grande e potente degli eserciti che minaccia Israele dal confine non si è ancora impegnato nella guerra: quello degli Hezbollah libanesi. La sua forza è almeno 10 volte superiore a quella di Hamas, che da circa sei mesi dà ancora filo dà torcere a Israele nella Striscia di Gaza, e i suoi combattenti sono molto più equipaggiati e pronti alla guerra dello stesso esercito regolare del Libano. Un gruppo di miliziani considerati terroristi che tiene in scacco una potenza nucleare: l’umiliazione subita da Israele è difficile da sostenere, ma per il momento non rappresenta ancora una sconfitta strategica. Perché il bersaglio vero dell’Iran e dei suoi alleati della “Mezzaluna sciita” è ancora potenzialmente in piedi: gli Accordi di Abramo, con cui gli Usa vogliono normalizzare i rapporti tra Israele e le monarchie arabe, compresa quella saudita.

La posizione degli Stati Uniti

Gli Stati Uniti, com’è ovvio, hanno ribadito il loro supporto a Israele, prima e dopo l’aggressione iraniana. Come Teheran, però anche Washington non vuole un’escalation della guerra tra le due potenze in Medio Oriente. L’obiettivo strategico americano è quello di non far emergere un Paese egemone in nessuna Continente o area del mondo, motivo per il quale sostengono lo Stato ebraico e vogliono fortemente sia la pacificazione portata dagli Accordi di Abramo sia che le ostilità non sfocino in un conflitto totale. Tra il dire e il fare, però, c’è soprattutto il dire, e cioè la propaganda. In più di un’occasione, in questi mesi in cui Gaza è stata ridotta a una catastrofe umanitaria e a un cumulo di macerie, gli Usa hanno ammonito Tel Aviv per la sua eccessiva risposta di violenza contro i civili palestinesi. Anche in questo frangente, dopo l’attacco diretto iraniano, il Segretario alla Difesa statunitense, Lloyd Austin, ha chiesto all’omologo israeliano Yoav Gallant di informare gli Stati Uniti prima di qualsiasi eventuale risposta ai droni lanciati da Teheran.

Non poteva poi mancare l’ormai quotidiana telefonata di Joe Biden a Benjamin Netanyahu. Il presidente americano ha precisato al premier israeliano che quella contro i vettori iraniani deve essere considerata una vittoria perché, secondo la valutazione della Casa Bianca, gli attacchi hanno avuto in larga misura esito negativo e hanno dimostrato la superiorità della capacità militare di Israele. Biden ha poi sottolineato l’essenziale contributo degli Usa, visto che le forze americane sono state coinvolte nella difesa del Paese e hanno intercettato più di 70 droni e diversi missili balistici. Il vero messaggio dell’amministrazione Biden è tuttavia un altro: gli Usa non sosterranno un eventuale contrattacco di Israele contro l’Iran. Un’affermazione che rientra perfettamente nello schema strategico che abbiamo descritto.

Dall’altro lato è pur vero che gli Stati Uniti non possono mollare Israele. E quindi ecco che un altro alto funzionario americano a dire la sua. “Gli Stati Uniti non esiteranno a proteggere le proprie forze e a sostenere Israele”, ha garantito il segretario di Stato Antony Blinken. Il ministro Austin ha poi invitato l’Iran a “fermare immediatamente qualsiasi ulteriore attacco, anche da parte delle sue forze per procura”. Gli Stati Uniti, ha aggiunto in una dichiarazione, non “cercano il conflitto” con l’Iran, ma ha spiegato che “non esiteranno ad agire per proteggere le proprie forze e sostenere la difesa dello Stato ebraico”. “L’impegno degli Stati Uniti per la sicurezza di Israele è blindato”, ha sentenziato Blinken. Iran e Usa non vogliono l’escalation, dunque. La miccia passa dunque in mano a Israele.