La crisi in Medio Oriente consegna il Mar Rosso alla Cina: accordo tra Houthi e compagnie di navigazione

Le compagnie di navigazione cinesi approfittano dell'assenza di operatori stranieri nei porti del Mar Rosso, costretti a deviare le rotte commerciali per gli attacchi degli Houthi dallo Yemen. Come cambia il risiko mediorientale

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

La Cina è vicina, recita un vecchio adagio mutuato da un film di Marco Bellocchio, nonché dall’omonimo libro di Enrico Emanuelli. Rivelava i timori di espansione del comunismo maoista, ma è diventata antonomasia di pericoli imminenti. Anche oggi la Cina è vicina, e fa paura. Penetra economicamente in Africa e America Latina, è primo partner commerciale di molti Stati anche europei, sta riformando l’esercito, ha vocazione imperiale e rappresenta il vero grande rivale degli Usa per l’egemonia globale.

Il suo “equilibrismo diplomatico” gli consente inoltre di giocare sovente il ruolo di mediatore o arbitro di accordi e dispute internazionali, forte del suo enorme peso logistico ed economico. Strapotere che ha utilizzato anche per trarre vantaggio dalla crisi del Mar Rosso, preda degli attacchi degli Houthi dallo Yemen e teatro della risposta armata occidentale ai ribelli filo-iraniani. Diverse compagnie di navigazione cinesi hanno infatti redistribuito le loro navi per operare fino al Canale di Suez.

Le compagnie cinesi puntano sui porti minacciati dagli Houthi

Gli analisti del Financial Times hanno definito quello della Cina come un tentativo di sfruttare la percepita immunità delle navi nazionali dagli attacchi Houthi. Questi ultimi, cacciando la maggior parte degli altri operatori dall’area in virtù di legami con Israele, hanno dichiarato di agire a sostegno dei palestinesi di Gaza. Queste unità di navigazione cinesi più piccole ma più agguerrite, sostiene il quotidiano britannico, “servono porti come Doraleh a Gibuti, Hodeidah nello Yemen e Jeddah in Arabia Saudita, che hanno tutti dovuto affrontare grandi cali di traffico”.

Lo scopo è quello di sfruttare gli spazi lasciati vacanti “dalle linee di trasporto marittimo internazionale di container”, dirottate altrove “per evitare potenziali attacchi da parte dei ribelli Houthi”. Tra le compagnie di navigazione impegnate in tal senso primeggia Transfar Shipping, con sede a Qingdao, che sul suo sito web si descrive come “attore emergente nel mercato transpacifico”, offrendo servizi tra Cina e Stati Uniti. Due delle tre imbarcazioni di Transfar Shipping, la Zhong Gu Ji Lin e la Zhong Gu Shan Dong, sono attualmente attive in Medio Oriente.

I leader Houthi, da parte loro, hanno assicurato che non attaccheranno le navi associate a Cina o Russia, entrambe alleate dell’Iran in ottica antiamericana, “finché non avranno legami con Israele”. Washington ha tuttavia chiesto a Pechino di sollecitare Teheran a tenere a freno i miliziani yemeniti, senza apparente successo. I dati di MarineTraffic, un servizio di localizzazione e analisi delle navi, evidenziano che sette cargo impiegati dai nuovi operatori cinesi erano attivi in altri mercati nell’ottobre 2022. Il portale della Sea Legend, compagnia sconosciuta in precedenza con sede a Qingdao, sottolinea che le sue navi battono bandiera cinese e navigano attraverso la zona di pericolo del Mar Rosso, scortate dalla Marina dell’Esercito
Popolare di Liberazione cinese. La società ha lanciato a gennaio un servizio per collegare i porti turchi, tra cui Istanbul, con la Cina attraverso il Mar Rosso, oltre a servire i porti di Aden nello Yemen, Aqaba in Giordania e Sokhna in Egitto.

Citando in forma anonima un manager della Sea Legend, il Global Times, il tabloid nazionalista del Quotidiano del Popolo, ha riferito che l’azienda è “l’unica” a offrire un servizio di linea settimanale nella regione del Mar Rosso dall’Asia all’Europa “sulla scia dell’aggravarsi della crisi marittima”, forte della protezione offerta dalla Marina cinese.

Il ruolo della Cina nella crisi in Medio Oriente

Le zone di crisi e i conflitti, in generale il caos, non fanno comunque il gioco cinese. Pechino è infatti preoccupata dalle escalation di violenza in Medio Oriente, con gli Houthi in particolare che destabilizzano una delle rotte commerciali più importanti al mondo. Forte degli ottimi rapporti bilaterali con l’Iran, il Dragone si lancia in dichiarazioni ufficiali che ne tradiscono il furbesco equilibrismo diplomatico citato prima. Ecco dunque che la Cina va in pressing sull’Iran affinché aiuti a frenare gli attacchi degli Houthi alle navi in transito nel Mar Rosso.

Diversi media internazionali concordano su questa ricostruzione. Sulla carta, sostengono fonti diplomatiche Ue, le leve “nelle mani cinesi non mancano, ma in scenari di forti contrapposizioni geopolitiche la collaborazione di Pechino con gli Usa non è scontata ed è messa a dura prova” (anche a causa della “guerra delle spie”). L’obiettivo di Pechino è insieme pratico e simbolico: “Riuscire a dimostrare l’incapacità dell’Occidente nel garantire la sicurezza di navigazione su una rotta strategica“. Tuttavia la Cina ha espresso in più di un’occasione “profonda preoccupazione” per le tensioni in aumento nel Mar Rosso, le cui acque “sono un importante canale commerciale internazionale per beni ed energia”. Il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin, sollecitato a confermare il pressing cinese su Teheran, ha esortato “le parti interessate ad evitare di gettare altra benzina sul fuoco della crisi e a salvaguardare insieme la sicurezza della navigazione in conformità con la legge”.

Nei giorni scorsi, la stessa Casa Bianca aveva auspicato ancora che Pechino potesse esercitare la sua influenza su Teheran, tradendo la frustrazione per gli obiettivi strategici non ancora centrati, nonostante le ripetute sollecitazioni dei funzionari americani sulle controparti della Repubblica Popolare. Nel frattempo, la crisi ha fatto decollare i prezzi dei container in partenza dalla Cina, schizzati di oltre il 170%. Un colpo insostenibile per gli operatori stranieri già sul medio periodo.

Gli interessi della Cina nel Mar Rosso

La Cina coltiva interessi stratosferici in Medio Oriente, a partire dall’energia. Pechino importa infatti circa la metà del suo petrolio greggio dall’area. Per non parlare dell’importanza cruciale del Canale di Suez, porta privilegiata dell’export cinese verso l’Europa. Una porta al momento più utilizzata rispetto alle Nuove Vie della Seta, che rappresentano la strategia di controglobalizzazione cinese ai danni degli Usa: il 60% circa delle esportazioni del Dragone passano infatti da Suez e rappresentano addirittura un decimo del traffico annuale complessivo registrato dal Canale egiziano.

Proprio l’Egitto rappresenta un altro approdo fondamentale per gli investimenti cinesi. Si parla di miliardi e miliardi di dollari confluiti nei settori della logistica, dei trasporti e dell’energia egiziani. Solo per l’ammodernamento e la gestione dei canali idrici del Paese africano, diverse imprese di Pechino e Hong Kong hanno annunciato investimenti per almeno 20 miliardi di dollari. Il cerchio degli interessi del Dragone si chiudono ovviamente con la Belt and Road Initiative (BRI) sopra citata. Guarda caso, ne fanno parte proprio Yemen, Egitto e Iran, attori principali del risiko mediorientale e delle tensioni odierne.