Contratto a termine, quando la trasformazione a tempo indeterminato è obbligatoria

Contratto a tempo determinato, tutti i casi di conversione automatica in tempo indeterminato

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Vi sono dei casi in cui la conversione di un contratto di lavoro da tempo determinato a indeterminato è obbligatoria.

Firmare un contratto a tempo indeterminato è un sogno ‘evergreen’. Una maggiore stabilità e la sicurezza di poter contare su quell’impiego – a tempo illimitato – è ciò che spinge i lavoratori ad impegnarsi per ottenere la conversione del proprio contratto a termine in un contratto a tempo indeterminato.

La maggior parte delle volte è il datore di lavoro a decidere sulle sorti della vita lavorativa del proprio dipendente. In base alle proprie esigenze di produzione, alla sostenibilità economica e agli impegni aziendali, una determinata impresa potrebbe avere maggior interesse nel servirsi di lavoratori a termine piuttosto che avere in pianta stabile un organico (assunto a tempo indeterminato).

E chi cerca lavoro molto probabilmente darà priorità alle offerte che prevedono contratti a tempo indeterminato.

Attenzione però, in quanto vi sono dei casi in cui la trasformazione da tempo determinato a tempo indeterminato è obbligatoria per legge. Vediamo allora quali sono le situazioni, che permettono al lavoratore o alla lavoratrice di poter contare su un contratto stabile.

Contratto a termine senza DVR e trasformazione in indeterminato

La giurisprudenza ci aiuta a capire quando il contratto a termine diventa obbligatoriamente a tempo indeterminato. Infatti l’eventualità, per esempio, si verifica quando in un contratto a termine manca il DVR, ovvero il Documento di Valutazione dei Rischi.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che, con l’ordinanza n. 21683 del 23 agosto 2019, ha confermato la nullità del termine apposto ai contratti sottoscritti tra le parti, per omessa valutazione datoriale dei rischi. Questo in termini pratici si traduce in un vantaggio tangibile per il dipendente: infatti il contatto di lavoro a termine, in sostanza, si trasformerà a tempo indeterminato, se l’azienda non ha – a suo tempo – predisposto il DVR per la sicurezza e la salute del personale.

La Corte, nell’esprimersi, ha tirato in ballo il d. lgs. n. 368 del 2001 dove, all’art. 3 del testo, viene esplicitamente sancito che:

L’apposizione di un termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato non è ammessa da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni.

I giudici della Suprema Corte nell’occasione sottolinearono come la finalità della legge sia diretta alla più marcata protezione dei lavoratori, rispetto ai quali la flessibilità d’impiego riduce la familiarità con l’ambiente e gli strumenti di lavoro. Pertanto mancando questa fondamentale garanzia costituita dal DVR, non avendo l’azienda provveduto alla valutazione dei rischi prima della firma del contratto a tempo determinato, la clausola di apposizione del termine sarà da ritenersi priva di valore e come non apposta.

Conseguentemente il contratto di lavoro deve ritenersi trasformato a tempo indeterminato in base agli articoli 1339 e 1419 del Codice Civile.

Violazione del divieto di contratto a tempo determinato

Attenzione anche a quanto segue. I contratti a tempo determinato non possono essere stipulati quando il lavoratore viene assunto per:

  • sostituire personale in sciopero
  • lavorare presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi  di lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a tempo determinato, salvo diverse disposizioni di accordi sindacali e salvo che il contratto a termine sia stato concluso per provvedere a sostituzione di lavoratori assenti con l’assunzione di lavoratori in mobilità, o abbia una durata iniziale non superiore a tre mesi
  • essere impiegato presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell’orario di lavoro, con diritto al trattamento di cassa integrazione, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a termine.

Qualora un contratto a tempo determinato non rispetti queste condizioni, come per la mancata presenza di un valido Documento di Valutazione Rischi che abbiamo visto sopra, lo stesso deve considerarsi non valido. E conseguentemente la violazione comporterà la trasformazione del contratto in tempo indeterminato.

Mancanza della forma scritta

Non solo. Come acclarato da una costante giurisprudenza, la mancata stipulazione in forma scritta di un contratto di lavoro a tempo determinato comporta che la clausola appositiva del termine deve considerarsi tamquat non esset, con la conseguenza della sanzione della trasformazione del rapporto di lavoro subordinato da determinato a tempo indeterminato.

La forma scritta è obbligatoria tranne che per i contratti di durata inferiore ai 13 giorni.

Termine non apposto o apposto dopo la firma del contratto

Inoltre se il contratto è scritto ma il termine non c’è o è stato apposto successivamente alla firma del contratto, questo si considererà a tempo indeterminato.

Numero massimo di proroghe del contratto termine

Grazie al decreto Dignità n. 87 del 2018 , il numero di proroghe o rinnovi – apponibili al contratto a termine – è sceso da 5 a 4, pur sempre restando su una durata massima complessiva di 24 mesi.

Si tratta di una garanzia fondamentale per il lavoratore, o la lavoratrice, posto che laddove il numero delle proroghe sia maggiore, il contratto dovrà ritenersi trasformato in contratto a tempo indeterminato dalla data di decorrenza della quinta proroga. Tuttavia dovrà esservi il nulla osta del dipendente.

Cogliamo l’occasione per ricordare che il decreto Lavoro del 2023 dispone che il contratto a termine può essere:

  • sottoscritto e rinnovato fino a 12 mesi senza causali
  • e può avere una durata superiore, ma comunque non eccedente i 24 mesi, solamente:
    • nei casi di cui dai contratti collettivi
    • in sostituzione di altri lavoratori
    • per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti

Attenzione però. Qualora emerga una causale illegittima, falsa, confusa, contradditoria o generica, il contratto a termine sarà considerabile come convertito a tempo indeterminato.

Intervallo minimo tra contratti, il caso del rinnovo

Tra le norme di legge si trova un altro caso in cui il contratto a termine diviene a tempo indeterminato. Per individuarlo, ricordiamo la seguente distinzione:

  • per proroga si fa riferimento l’accordo di prosecuzione del contratto a termine senza interruzioni del rapporto
  • per rinnovo si intende invece la stipula di un nuovo contratto, in data successiva alla fine del precedente

In particolare, nelle ipotesi di rinnovo occorre che passi un determinato lasso di tempo tra i due contratti a termine, aventi ad oggetto le stesse mansioni. Ci riferisce al ‘periodo cuscinetto’ o del cd. Stop and Go, il quale ha il seguente meccanismo relativo all’intervallo minimo tra contratti a termine consecutivi:

  • per contratti di durata pari o inferiore a 6 mesi, il lasso di tempo è pari a 10 giorni
  • per contratti di durata superiore a 6 mesi, il lasso di tempo è pari a 20 giorni

Ecco quanto qui interessa: le norme in materia indicano una fondamentale tutela per il lavoratore, poiché il mancato rispetto dei summenzionati intervalli implica la trasformazione obbligatoria del secondo contratto da tempo determinato a tempo indeterminato.

Tuttavia ci sono delle eccezioni a questa ‘agevolazione’ ossia i casi riferiti ai lavoratori impiegati nelle attività stagionali individuate con decreto ministeriali, i casi di cui ai Ccnl e i contratti a tempo determinato collegati alle agenzie di somministrazione.

Prosecuzione di fatto

Oltrepassata la scadenza del termine contrattuale originario o validamente prorogato, o superato il periodo di durata massima totale pari di 24 mesi (o di 36 mesi, per i rapporti precedenti all’entrata in vigore del decreto Dignità), il rapporto di lavoro in essere può proseguire di fatto:

  • per 30 giorni se il contratto ha una durata al di sotto dei 6 mesi
  • per 50 giorni se il contratto ha una durata al di sopra dei 6 mesi

Nel caso in cui il rapporto di lavoro vada oltre detto periodo di prosecuzione di fatto, il contratto dovrà ritenersi trasformato da tempo determinato a tempo indeterminato, a far data dal superamento dei 30 o dei 50 giorni appena menzionati.