L’Italia rischia di perdere il 40% del commercio estero a causa dei ribelli Houthi

Dopo l’attacco di Usa e Gran Bretagna, crescono i timori per i nuovi raid militari dei ribelli Houthi: cosa accadrebbe se si fermasse il commercio sul Mar Rosso

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Federico Casanova

Giornalista politico-economico

Giornalista professionista specializzato in tematiche politiche, economiche e di cronaca giudiziaria. Organizza eventi, presentazioni e rassegne di incontri in tutta Italia.

Se si osservassero solamente le forze militari coinvolte negli ultimi giorni, si potrebbe parlare senza timore di una guerra ad alta intensità, portata avanti con mezzi militari e tecnologici degni di un conflitto mondiale con pochi precedenti. Basti guardare gli attori coinvolti: nella notte tra giovedì 11 e venerdì 12 gennaio 2024, gli eserciti di Stati Uniti e Gran Bretagna hanno bombardato 60 obiettivi strategici dislocati in ben 23 località differenti del territorio nazionale dello Yemen. Le aree colpite sono quelle controllate a maggioranza dagli Houthi, il gruppo armato sciita che dal 2011 ha rafforzato la propria presenza in maniera crescente, non solo nello stato yemenita ma in tutta l’area del Medio Oriente.

Per chi non avesse potuto raccogliere informazioni a riguardo (qui l’approfondimento su storia, militanza e fatti recenti dei ribelli Houthi), occorre sapere che questo esercito è diventato il protagonista indiscusso della politica interna dello Yemen a partire dal 2015, quando ha consolidato il proprio potere sulla capitala Sana’a assaltando il Palazzo dell’allora presidente Rabbih Mansur Hadi e dando il via ad una guerra civile che ha causato la morte di oltre 110mila persone. Oggi, mentre su questo fronte gli animi si sono parzialmente raffreddati, le loro azioni militari sono tornate ad occupare le prime pagine dei quotidiani di tutto il mondo per aver messo nel mirino il traffico marittimo sul Mar Rosso.

Cosa sta succedendo nel Mar Rosso e perché Usa e Gran Bretagna hanno bombardato i ribelli Houthi

Lezione di geografia. Lo Yemen si trova nella punta estrema meridionale della Penisola Araba e si affaccia a ovest sul Mar Rosso e a sud sul Mar Arabico. Questi due bacini sono collegati dal Golfo di Aden, uno dei crocevia più importanti del traffico di merci internazionale. È da qui che passano le navi mercantili che dal continente asiatico (in particolare dall’India, ma anche dai più vicini Pakistan e Iran) trasportano carichi dal valore milionario alla volta dell’Europa, che raggiungono risalendo il Mar Rosso e navigando il Canale di Suez. E sono proprio queste imbarcazioni che, a partire dalla settimana dello scorso Natale, sono entrate nel mirino delle incursioni militari degli Houthi.

Una situazione inaccettabile per Washington e per Londra, che hanno deciso di reagire con forza e immediatezza. Secondo quanto dichiarano gli esperti di geopolitica militare, il loro bombardamento congiunto dei giorni scorsi suona più come un avvertimento rispetto a una vera e propria dichiarazione di guerra: smettetela di provocare danni e disagi alle navi mercantili perché noi possiamo colpirvi quando e come vogliamo. E non mancheremo di farlo ancora se necessario. Con la conseguenza inevitabile di un correlato allargamento della crisi a Gaza: vi spieghiamo il perché.

Perché lo Yemen e i ribelli Houthi sono fondamentali negli equilibri tra Medio Oriente e Occidente

Fin dall’inizio dello scorso decennio, i ribelli Houthi hanno visto nel governo iraniano l’unico alleato nello scacchiere mediorientale. Tutti gli altri Paesi della regione (con l’eccezione della Siria, che però vive un costante problema interno che non le consente di avere voce nelle dinamiche internazionali) hanno sempre mostrato di opporsi alla causa del gruppo sciita, accettando di collaborare con Usa e Regno Unito per limitarne l’espansione. È stata in primi l’Arabia Saudita a porsi – più o meno volontariamente – come partner credibile per l’Occidente in quest’area. Uno schema che si ripete anche oggi nel conflitto in corso tra Israele e Hamas.

È per questo che il presidente statunitense Joe Biden – come confermato dal suo portavoce in conferenza stampa – ha mandato un messaggio all’Iran annunciando i raid militari. Ma ha anche specificato che queste azioni di bombardamento non si fermeranno qualora i ribelli Houthi ripetessero le loro incursioni. Cosa puntualmente già nella giornata di venerdì 12 gennaio, quando un missile è stato lanciato a poca distanza da una nave mercantile americana. Come dire: “Ci avete colpito, ma non ci fermiamo”.

Cosa rischia l’Italia dopo l’attacco di Usa e Gran Bretagna ai ribelli Houthi: in gioco centinaia di miliardi di euro

Le ripercussioni di questo nuovo scenario, va da sé, sono di portata globale. Se è vero che Italia, Francia e Germania (i tre Paesi europei del G7) non hanno partecipato all’azione militare dei partner atlantici, questo non significa che le conseguenze degli attacchi dei ribelli sul commercio marittimo internazionale non colpiscano le loro economie. Proprio per tutelare i loro interessi è attiva la missione Ue denominata Atalanta, nata proprio per contrastare la pirateria sul Mar Rosso. Roma è in prima linea, anche perché deve difendere un valore di ben 154 miliardi di euro, che corrisponde al totale di import ed export marittimo che transita per il Canale di Suez.

Come si può capire, non stiamo parlando di somme di poco conto, visto che in gioco c’è il 40% del commercio via nave del nostro Paese. Lo sanno bene sia il nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che il suo omologo per la Difesa, Guido Crosetto. Ed è per questo che nessuno ha avuto dubbi nel confermare l’invio della nave Federico Martinengo (prezioso gioiello della Marina Militare Italiana) nelle acque del Medio Oriente: un equipaggio composto da 150 uomini delle nostre forze armate – dotato di un arsenale militare molto all’avanguardia – che ha il compito si supportare le operazioni della missione Atalanta nel Mar Rosso.

Cosa accadrà ora nel Mar Rosso? I ribelli Houthi sperano nell’aiuto di Russia e Turchia

A livello complessivo, continua a crescere l’impegno di Roma nel mare dello Yemen e in tutta l’area che oggi ribolle di sangue e morte. Diverse migliaia di donne e uomini del nostro esercito cercano di frenare gli scontri tra Israele, Hamas e Hezbollah. Decine di imbarcazioni militari, pattugliatori e vedette pronti ad intervenire per placare i focolai. Il tutto con l’obiettivo di salvare vite, ma anche di non arrivare alla chiusura di parte del Mar Rosso per la navigazione. Uno scenario visto come tragico tanto in Europa quanto negli Stati Uniti.

Per le navi commerciali e petrolifere provenienti dall’Asia, aggirare il bacino mediorientale vorrebbe dire allungare il tragitto di 10/15 giorni per giungere nel Mediterraneo. È in questo passaggio, con ogni probabilità, che va interpretato il massiccio bombardamento di Usa e Gran Bretagna dei giorni scorsi: vedendo in pericolo le proprie rotte marittime globali, entrambi i loro governi non hanno atteso oltre per attaccare le basi dei ribelli Houthi. Una mossa che rischia però di allargare ulteriormente lo scontro: Russia e Turchia non hanno perso tempo e hanno subito chiesto di convocare il Consiglio di Sicurezza dell’ONU.