La crisi del Mar Rosso travolge l’economia: a rischio frutta e verdura, salgono i prezzi dei prodotti

La guerra tra Israele e Hamas minaccia i traffici marittimi globali e scuote l'economia italiana. Mentre si decide la missione navale Ue, le aziende annunciano interruzioni di produzione

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Francesca Secci

Giornalista

Giornalista pubblicista con esperienza in redazioni rilevanti, è specializzata in economia, finanza e geopolitica.

La guerra tra Israele e Hamas si è definitivamente estesa al Mar Rosso, minacciando i traffici marittimi globali. Le conseguenze sull’economia sono potenzialmente disastrose, anche per quella italiana. Gli attacchi degli Houthi provenienti dallo Yemen del 12 gennaio scorso hanno preso di mira le navi “legate a Israele” che transitavano nella zona, mettendo in crisi uno dei punti nevralgici del commercio mondiale e causando la reazione di Stati Uniti e Regno Unito.

Oggi lunedì 22 gennaio 2024 si è riunito il Consiglio Affari esteri UE per discutere su come arginare una situazione sempre più complessa e delicata, che rischia di andare a inficiare fortemente l’economia europea: nei piani Ue c’è una vera e propria missione chiamata Aspides, che prevede anche l’utilizzo della forza militare.

Ai cronisti che gli chiedevano se tema che la missione navale possa essere vista come un vero e proprio intervento militare, il vicepremier e Ministro degli Esteri Antonio Tajani ha dichiarato che “è un intervento militare a difesa delle navi mercantili italiane, c’è un crollo nel traffico mercantile, noi siamo un Paese esportatore e abbiamo il dovere di difendere le nostre navi. Non facciamo la guerra a nessuno, ma difendere le nostre navi è un dovere della Repubblica e del governo”.

L’instabilità della regione turba i mercati e modifica gli equilibri dei traffici via mare: alcune compagnie evitano già il transito nella zona preferendo fare rotta verso il Capo di Buona Speranza, un viaggio più lungo di parecchi giorni e quindi più costoso. In più, sono arrivati i primi annunci di interruzione alle produzioni in importanti stabilimenti europei, come Tesla e Volvo.

Prezzi in salita: la reazione delle aziende e dell’industria alimentare

Gli analisti sostengono che, in caso di prolungamento del conflitto, saranno i beni di consumo a subire l’impatto maggiore. Ad esempio, il gigante dell’arredamento Ikea e il rivenditore britannico Next hanno entrambi avvertito che le forniture di prodotti potrebbero subire ritardi se l’interruzione delle spedizioni dovesse continuare.

Tesla e Volvo hanno annunciato di aver interrotto le produzioni negli stabilimenti dopo gli attacchi degli Houti, rallentando la consegna di parti asiatiche alle fabbriche europee. Tesla fermerà la produzione del suo stabilimento europeo vicino Berlino per 15 giorni, tra il 29 gennaio e l’11 febbraio.

Anche lo stabilimento Volvo di Gand, in Belgio, resterà chiuso per 3 giorni la prossima settimana a causa della carenza di scatole del cambio, la cui consegna è stata ritardata da “aggiustamenti nelle rotte di trasporto”, come dichiarato dal produttore sino-svedese all’Afp. L’impianto produce il Suv XC40 e l’auto elettrica C40.

Diverse aziende che ricevono forniture dall’Asia hanno già annunciato che faranno deviare i container facendoli passare per il Capo di Buona Speranza, come Abercrombie & Fitch, come riportato da Bloomberg.

Anche l’industria alimentare risente fortemente della crisi in atto. In una nota di Coldiretti si legge che il prolungamento della tratta marittima delle navi mercantili ha portato a un sensibile aumento dei costi di trasporto, con conseguenze disastrose per i prodotti deperibili come frutta e verdura.

Non solo: a rischio sono anche le esportazioni con i Paesi dell’Asia, per un totale di circa 1 miliardo di euro. A tal proposito anche Antonio Baravalle, ad di Lavazza, in un’intervista rilasciata a La Stampa, esprime forti preoccupazioni circa un possibile rischio di recessione.

La situazione non è delle più rosee, anche se per il momento il settore energetico sembra essere quello meno colpito dalla crisi internazionale che sta mettendo invece in ginocchio altri settori e fa temere per il futuro.

Bab al-Mandab, la “Porta delle lacrime”: il terzo “chokepoint” globale

Gli attacchi degli Houthi, legati alla guerra tra Israele e Hamas, si sono concentrati nello stretto di Bab el-Mandab, la porta che dall’Oceano Indiano conduce al Canale di Suez tramite il Mar Rosso, e quindi dà accesso al Mar Mediterraneo. Per importanza è il terzo “chokepoint” globale, una “strozzatura” geografica, un punto unico di passaggio tramite cui passano le navi provenienti da tutto il mondo. Gli altri due sono gli stretti di Hormuz, tra Iran e Oman, e di Malacca, tra Malesia e Indonesia.

Anche se chiamata “Porta delle lacrime” per le pericolose condizioni di navigazione, l’importanza dello stretto di Bab el-Mandab per il commercio mondiale è cruciale: come si vede dalla mappa sotto, il passaggio fa risparmiare molto tempo e permette di abbattere i costi, rispetto alla rotta più lunga in cui si dovrebbe circumnavigare l’Africa.

Da qui passano soprattutto navi che trasportano petrolio greggio e carburante dal Golfo verso il Mediterraneo attraverso il Canale di Suez o l’oleodotto Sumed sulla costa egiziana del Mar Rosso, e anche merci dirette in Asia, tra cui il petrolio russo.

In totale, dallo stretto passa l’11% del traffico globale, corrispondente a circa 19.000 navi all’anno. Solo nella prima metà del 2023, è passato da qui il 12% del petrolio complessivo del mondo scambiato via mare, oltre all’8% del commercio di Gnl – il gas naturale liquefatto. Per questo i continui attacchi degli Houthi sono una seria minaccia all’economia globale, specie quella europea: i primi segnali sono già evidenti.

I traffici navali vanno a picco e i costi aumentano

Il numero dei container trasportati in nave sul Mar Rosso, subito dopo gli attacchi, è crollato di quasi il 70% rispetto alla media del periodo. Gli attacchi degli Houthi hanno già causato squilibri alla supply chain globale: per il think tank Ifw, Kiel Institute for the World Economy, il volume è sceso a circa 200.000 container al giorno rispetto agli oltre 500.000 giornalieri registrati lo scorso novembre.

Come fa notare Ispi, il costo per inviare un container “tipo” da Shanghai a Genova è quasi quadruplicato, da 1.400 a 5.200 dollari. L’aumento dei costi è evidente nel grafico sopra e i maggiori oneri di trasporto non possono che ricadere sul prezzo finale dei prodotti.