Il conflitto in Medio Oriente minaccia il Canale di Suez: perché è così importante

Il Canale di Suez è uno dei quattro choke point più importanti del mondo, perché collega Oceano Indiano e Mediterraneo attraverso il Mar Rosso. Vi transita il 10% delle merci mondiali e il suo blocco minaccia il commercio globale

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

L’allargamento del conflitto tra Israele e Hamas ad altri territori e attori in Medio Oriente ha messo a serio rischio il commercio mondiale. Gli attacchi alle navi cargo effettuati dai ribelli Houthi dallo Yemen, e le relative risposte della coalizione occidentale a guida Usa, hanno infatti reso pericolosissimo il transito nel Mar Rosso.

Il tratto marittimo tra lo Stretto di Bab el-Maneb a sud e il Canale di Suez a nord, che collega l’Oceano Indiano al Mar Mediterraneo, è da secoli uno snodo cruciale per quanto riguarda i flussi commerciali dell’intero pianeta. Gli interessi in campo sono enormi e coinvolgono un gran numero di nazioni. Ecco tutti i motivi per cui il passaggio di Suez è vitale per tutti noi.

Quando è nato e a cosa serve il Canale di Suez

Il Canale di Suez è lungo 161 chilometri e largo da 70 a 110 metri e unisce via acqua la città di Suez, nel Mar Rosso, a Port Said nel Mediterraneo. Per coprire tale distanza le imbarcazioni impiegano in media 13-15 ore. La sua importanza strategica era evidente già prima della sua inaugurazione, agognata fin dall’Antichità e avvenuta il 17 novembre 1869 dopo dieci anni di intensi lavori e alla presenza dei più importanti regnanti d’Europa (tranne l’imperatore di Francia Napoleone III, che fu rappresentato dalla moglie Eugenia). Per l’occasione fu commissionata al compositore Giuseppe Verdi la realizzazione di un’opera: l’Aida.

L’ex ministro francese Alphonse de Lamartine lo aveva espresso molti anni prima con estrema chiarezza il sogno delle potenze coloniali dell’epoca: “Avvicinare di cinque mesi di viaggio la Cina e l’Oceano Indiano”. La gestione occidentale subentrò quasi subito: a causa di difficoltà finanziarie, i gestori del Canale si videro costretti a cedere una quota di controllo al Regno Unito, che lo gestì per i successivi 80 anni. Il ruolo primario del Canale emerse anche durante le due Guerre Mondiali: durante la Prima venne chiuso al transito di navi non alleate, mentre nella Seconda fu centrale nella vittoria alleata nella Campagna del Nord Africa contro Italia fascista e Germania nazista.

Per comprendere l’importanza strategica del Canale di Suez ai giorni nostri proponiamo un esempio: se non esistesse la via fluviale, una grande petroliera che trasporta il greggio dal Medio Oriente verso l’Europa dovrebbe percorrere 9.600 chilometri in più circumnavigando l’Africa da sud, spendendo oltre 300mila dollari in più per il carburante. C’è comunque da precisare che anche i pedaggi del passaggio di Suez raggiungono somme astronomiche, con picchi di centinaia di migliaia di dollari. Secondo la Suez Canal Authority, nel 2019 nel Canale sono transitate oltre 1,03 miliardi di tonnellate di carichi commerciali. Un valore circa 4 volte superiore alla quantità di merci passate attraverso il Canale di Panama. Oltre al greggio che viaggia dall’Arabia e dal Golfo fino al Nord Europa, da Suez passano anche decine di milioni di tonnellate all’anno di cereali, minerali e metalli.

Perché il Canale di Suez è così importante

Nel marzo 2021 sui media di tutto il mondo campeggiò per più giorni la notizia e i relativi aggiornamenti su una gigantesca portacontainer lunga 400 metri, la taiwanese “Ever Given” della compagnia Ever Green, incagliata nel Canale di Suez. L’importanza di quel collo di bottiglia marittimo venne alla ribalta ancora una volta, visto che l’incidente provocò ritardi nelle consegne, aumento dei prezzi e perdite milionarie per la paralisi dell’import-export su nave. Oggi il blocco del Mar Rosso è stato imposto dal conflitto di Gaza, mostrando una volta in più come Suez sia il termometro della globalizzazione costruita dall’Occidente.

Attraverso il Canale di Suez transita il 10% delle merci mondiali e il 30% dei container, nonché quasi il 10% del petrolio e circa l’8% del GNL (gas naturale liquido) a livello globale. La portata del passaggio è di circa 50 imbarcazioni al giorno e l’Egitto, che ne controlla i flussi, ne ricava circa 8,6 miliardi di euro l’anno. L’escalation di violenza nella regione dopo il maxi attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre ha messo in crisi tale sistema. L’Egitto ha tentato di correre ai ripari offrendo sconti (fino al 20%) sulle merci in viaggio verso l’Europa, ma gran parte dei traffici passeranno ora dal Capo di Buona Speranza.

I quattro maggiori operatori di trasporto occidentali – la svizzera MSC, la francese CMA CGM, la danese Maersk e la tedesca Hapag Lloyd – hanno infatti preferito di gran lunga circumnavigare l’Africa piuttosto che esporsi a un tale rischio di attacco da parte dei droni yemeniti. Ovviamente la deviazione provocherà un aumento di costi e ritardi nelle consegne, anche nell’ordine di oltre 10 giorni. In controtendenza la decisione della cinese Cosco che, in quanto non occidentale, conta di non essere bersagliata e pertanto continuerà a navigare nel Mar Rosso.

Non solo commercio

Suez non è uno snodo cruciale soltanto dal punto di vista economico, ma anche geopolitico: essendo il più lungo canale del mondo senza chiuse, permette infatti il passaggio anche a mezzi militari imponenti come le portaerei. Il Canale egiziano rappresenta uno dei quattro più importanti choke point del mondo, e cioè quei “colli di bottiglia” che sono di fatto punti di passaggio obbligati per evitare di circumnavigare interi continenti. Oltre a Suez, gli altri choke point globali sono lo Stretto di Malacca (nel Sud-Est Asiatico), lo Stretto di Hormuz (fra Golfo Persico e Golfo di Oman) e il Canale di Panama, che taglia l’America Centrale. Oltre a questi, il commercio e la sicurezza mondiali dipendono anche da altri stretti marittimi poco meno importanti: Stretto di Gibilterra, Bosforo e Dardanelli, Stretto di Bab-el-Mandeb e Capo di Buona Speranza.

Prima dell’escalation del conflitto tra Israele e Hamas, il Canale di Suez è stato testimone e termometro di numerose crisi internazionali. Ancora oggi quella zona d’Egitto è sostanzialmente povera fuori dal controllo dello Stato, nella quale imperversano “a turno” gruppi islamisti come Al Qaeda e Isis. Il Canale resta tuttavia uno snodo irrinunciabile in primis per gli americani, ma anche per i loro satelliti europei e per la Cina, che ha fatto di Suez un punto nevralgico anche per il suo preziosissimo progetto di controglobalizzazione delle Nuove Vie della Seta.

Facile capire, dunque, perché gli Houthi continuino ad attaccare navi dallo Yemen e perché la coalizione occidentale risponda a tono. La strategia dei fondamentalisti filo-iraniani è alimentare la tensione nell’area e aumentare la pressione sugli Usa, che nei flussi attraverso il Mar Rosso vedono un’arteria primaria del loro organismo globale. Un’altra motivazione strategica alla base degli attacchi degli Houthi è la stessa di Hamas: impedire gli accordi di normalizzazione fra Israele e Arabia Saudita ed Emirati. Il conflitto nella Striscia di Gaza ha accelerato gli eventi e polarizzato ulteriormente la postura degli attori in campo.