La recente circolare 6/2025 del Ministero del Lavoro offre utili chiarimenti in merito alle novità introdotte dal Collegato lavoro, in materia di rapporti tra azienda e dipendenti. Il documento illustra i principali interventi attuati con la legge 203/2024 e dà le prime indicazioni operative a imprenditori, lavoratori, avvocati, sindacati e a tutti coloro che, in vario modo, sono interessati dagli aggiornamenti normativi.
Oltre alle precisazioni sulla somministrazione lavoro, sulla durata periodo di prova o sul termine per le comunicazioni obbligatorie in materia di lavoro agile, nella circolare ministeriale compaiono anche chiarimenti in merito alle attività stagionali, tanto più utili considerato l’avvicinarsi dei mesi legati ad attività di questo tipo. Ma cosa cambia e cosa devono sapere tutti coloro che, in veste di datori o di dipendenti, firmano un contratto di lavoro stagionale?
In sintesi:
- viene ampliata la definizione di lavoro stagionale, includendo le attività con picchi produttivi ricorrenti durante l’anno;
- i contratti collettivi possono individuare nuove attività stagionali;
- si rafforza il ruolo della contrattazione collettiva nella definizione puntuale delle condizioni di stagionalità:
- viene richiamata l’importanza di motivazioni oggettive per il rinnovo dei contratti ed evitare abusi.
Indice
Chiarimenti sulla definizione di lavoro stagionale
La circolare indica che l’art. 11 del Collegato lavoro offre una norma di interpretazione autentica dell’art. 21, comma 2, del d. lgs. 81/2015, in materia di attività stagionali che:
- contiene l’interpretazione fornita dal legislatore che ha emanato la norma stessa;
- serve a fare chiarezza e spiega il significato di disposizioni legislative che potrebbero risultare ambigue o soggette a interpretazioni divergenti;
- non modifica il contenuto sostanziale della legge, ma ne dà una utilissima “lettura” ufficiale.
Il Ministero del Lavoro richiama il citato art. 11, il quale spiega che:
rientrano nelle attività stagionali (…) le attività organizzate per fare fronte a intensificazioni dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno, nonché a esigenze tecnico produttive o collegate ai cicli stagionali dei settori produttivi o dei mercati serviti dall’impresa, secondo quanto previsto dai contratti collettivi di lavoro.
Il Ministero precisa che è considerato lavoro stagionale l’attività lavorativa svolta in un determinato periodo dell’anno e priva del carattere della continuità, inquadrabile nella più estesa categoria del lavoro a tempo determinato. Tuttavia, da quest’ultimo si distingue per alcune eccezioni, nella prospettiva di ridurre le relative rigidità organizzative e gestionali.
Cosa cambia per i contratti collettivi
Nell’art. 11 oggetto di chiarimenti ministeriali si trova scritto che le attività stagionali sono regolate anche in base a quanto previsto dai vari Ccnl, inclusi quelli già firmati alla data di entrata in vigore della legge 203/2024. Più nel dettaglio, si riferisce ai:
- contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
- contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria.
La norma di interpretazione autentica del Collegato lavoro si è resa necessaria perché la formulazione letterale dell’art. 21 del d. lgs. n. 81/2015 non era sufficientemente chiara circa la possibilità o meno per i contratti collettivi di disporre altre ipotesi di attività stagionali, oltre a quelle contenute nel D.P.R. n. 1525 del 1963 o nel decreto ministeriale che avrebbe dovuto sostituirlo.
Come norma di interpretazione autentica, peraltro, l’art. 11 ha natura retroattiva e, perciò, trova sempre applicazione anche ai Ccnl firmati prima della sua entrata in vigore.
La soluzione individuata è conforme a quanto già chiarito in più occasioni (la circolare richiama espressamente l’interpello 15/2016 e l’interpello 6/2019, ma anche la nota 413/2021 dell’Ispettorato del lavoro) e il Ministero ritiene opportuno precisare che, in relazione alle ipotesi di stagionalità individuate dal Ccnl:
il rinvio (…) avviene in sostituzione del solo decreto ministeriale richiamato dalla norma stessa e non anche delle ulteriori ipotesi di esclusione individuate dalla contrattazione collettiva di settore, (…) alla quale, come in passato, resta demandata la possibilità di integrare il quadro normativo.
Il rimando ai sindacati
Commentando quanto previsto nel Collegato lavoro, in materia di attività stagionali il Ministero ribadisce che:
- non sono solo le tradizionali attività legate a cicli stagionali ben definiti;
- sono anche quelle indispensabili a far fronte a picchi di produzione in alcuni mesi o periodi dell’anno, oppure a soddisfare esigenze tecnico-produttive, riferite a specifici cicli dei settori produttivi o dei mercati serviti dall’impresa.
La circolare sottolinea che sarà compito della contrattazione collettiva chiarire nel dettaglio – non limitandosi ad un richiamo formale e generico della nuova disposizione – in che modo quelle caratteristiche si riscontrino nelle singole attività definite come stagionali, al fine di superare eventuali questioni di conformità rispetto al diritto dell’Unione Europea.
Quali sono i limiti del lavoro stagionale
Non a caso nel documento il Ministero cita la direttiva 1999/70/CE sul contratto a tempo determinato, che impone agli Stati membri, per evitare abusi derivanti da una successione di contratti o rapporti a tempo determinato, di introdurre una o più misure relative a:
- ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;
- la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;
- il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.
Pertanto, siccome il contratto stagionale – sottocategoria del più ampio genere del contratto a tempo determinato – manca di vincoli per quanto riguarda la durata massima e il numero dei rinnovi, l’unica misura tra quelle prospettate a livello europeo volta a limitarne l’utilizzo è proprio:
l’individuazione da parte del legislatore e da parte della contrattazione collettiva di ragioni obiettive, quanto più possibile puntuali, che ne giustifichino il rinnovo.
Sarebbero, infatti, in contrasto con lo scopo della direttiva 1999/70/CE, come interpretata dalla Corte di Giustizia Ue, i contratti a termine che rispondano a esigenze di carattere non provvisorio dell’imprenditore.