Banche, FI pronta a cambiare decreto. Meloni rischia

Pronti una serie di emendamenti per rendere la tassa deducibile e la possibilità di escludere i piccoli istituti di credito

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Giorgio Pirani

Giornalista economico-culturale

Giornalista professionista esperto di tematiche di attualità, cultura ed economia. Collabora con diverse testate giornalistiche a livello nazionale.

La disposizione più controversa del decreto Omnibus, in vigore dall’11 agosto, riguarda gli utili straordinari che le istituzioni bancarie, operanti in ambito prevalentemente nascosto, stanno cercando di emendare sfruttando anche le opportunità presentate da Forza Italia. I banchieri sembrano aver accolto positivamente le prime correzioni apportate dal governo. Poiché il prelievo non può superare lo 0,1% del totale dell’attivo, l’impatto di questa detrazione sembra notevolmente attenuato. Inoltre, è stata interpretata come un atto di cortesia anche la scelta di non specificare le entrate: l’ambiguità della relazione tecnica, che con “cautela” evita di stimare i proventi, potrebbe suggerire la possibilità di ulteriori modifiche in futuro.

Le modifiche di FI

Le principali spinte volte a introdurre modifiche provengono principalmente da Forza Italia, a differenza dell’approccio assunto dalla Lega, come esplicato dal vicepremier e leader di Forza Italia, Antonio Tajani.

Egli ha dichiarato: “Sebbene capisca la decisione della premier Giorgia Meloni, la nostra posizione rimane invariata. Abbiamo già delineato una serie di emendamenti con l’obiettivo di garantire che i cittadini possano continuare a trarre beneficio dal supporto fornito dal sistema finanziario. Sono tre le direzioni che intendiamo seguire: innanzitutto, proponiamo l’esenzione dall’onere fiscale per le banche che non rientrano nella giurisdizione della Bce. Queste istituzioni bancarie sono spesso di dimensioni più contenute e a carattere locale, operano principalmente nel Centrosud, raccogliendo i risparmi degli italiani e rispondendo alle esigenze delle famiglie e delle imprese. È proprio in queste realtà che il rischio di subire le conseguenze di questa misura risulta maggiormente accentuato. In tal caso, si verrebbe a creare una situazione di maggiore incertezza e vulnerabilità rispetto alle banche straniere presenti sul suolo italiano”.

Le parole di Tajani

Ulteriormente, Tajani ha inserito: “Inoltre, ci impegneremo affinché l’imposizione fiscale possa essere considerata fiscalmente deducibile”. Egli rafforza il concetto aggiungendo: “È fondamentale sottolineare che questa misura deve rappresentare un’azione eccezionale. A settembre, cercheremo di stabilire un tavolo di discussione specifico con i rappresentanti delle istituzioni bancarie, poiché riteniamo il dialogo di importanza cruciale”.

Tajani procede analizzando anche questioni di metodo: “Avremmo dovuto annunciare l’intero pacchetto di misure in un contesto di mercati chiusi”. Oltre a queste affermazioni, Tajani amplia ulteriormente il suo discorso: “Se vi è la necessità di reperire fondi per il bilancio dello Stato, è giustificato considerare anche il contributo delle banche. Tuttavia, è essenziale che tale azione non sia interpretata come ostile. Dobbiamo mantenere la nostra reputazione internazionale intatta e non possiamo permetterci di spaventare gli investitori adottando un approccio punitivo verso le istituzioni bancarie, le quali, va notato, rivestono un ruolo vitale nelle circostanze di difficoltà finanziaria”.

Tuttavia, esistono opportunità per “attenuare gli effetti negativi” lungo il percorso che condurrà alla conversione del decreto entro il 10 ottobre. La principale strategia per conseguire ciò è rappresentata dalla deducibilità. Un obiettivo che, senza dubbio, sarà gradito alle banche è quello di rendere deducibili dalla base imponibile gli importi soggetti a prelievo.

Che questa possa essere la modifica accolta o che possano esserci altre tipologie di cambiamenti dopo la conversione del decreto in Parlamento, la tassa rischia di “essere ulteriormente diluita rispetto a quanto accaduto martedì”, come è stato commentato dal Financial Times. Il quotidiano economico ha nuovamente trattato la questione della tassa, definendola “disastrosa” e forse persino “il più grande errore” commesso dal governo Meloni.

Tassa, quanto costa alle banche

Parlando dell’ampiezza dei potenziali impatti derivanti dall’introduzione dell’imposta sugli extra-profitti, vale la pena notare che gli analisti e le istituzioni finanziarie hanno condotto diverse valutazioni, nonostante l’incertezza derivante dalle disposizioni sinora delineate. Mediobanca Securities, per esempio, ha calcolato che l’applicazione di questa imposta potrebbe tradursi in un carico finanziario di circa 1,9 miliardi di euro per le banche e le società di gestione del risparmio che sono sotto la loro supervisione.

Tuttavia, questa cifra potrebbe essere ridotta a 1,3 miliardi nel caso in cui la deducibilità fosse prevista, con un effetto sugli utili per azione che rimarrebbe su una scala a una sola cifra (ossia inferiore al 10%) oppure si potrebbe verificare un’erosione del requisito patrimoniale Cet1 di circa 10-20 punti base.

In aggiunta agli impatti diretti generati dalle azioni governative, è fondamentale considerare anche le implicazioni indirette che potrebbero manifestarsi nel lungo periodo, soprattutto agli occhi degli investitori stranieri. Questi investitori, in particolare, potrebbero essere influenzati dall’incertezza che circonda il settore del credito nazionale e da altre iniziative uniche avviate dal governo, come evidenziato in modo particolare dalla stampa internazionale. È proprio su questo terreno più delicato, soprattutto perché legato all’elemento della fiducia, che si dovrà operare dopo che il Decreto legge Omnibus sarà stato convertito.