Davvero le grandi multinazionali stanno abbandonando Wall Street?

La strada più gettonata della finanza mondiale perde un inquilino eccellente: preoccupa il calo di appeal, mentre le multinazionali guardano altrove

Foto di Federico Casanova

Federico Casanova

Giornalista politico-economico

Giornalista professionista specializzato in tematiche politiche, economiche e di cronaca giudiziaria. Organizza eventi, presentazioni e rassegne di incontri in tutta Italia.

 

L’anno in cui ho compiuto 26 anni ho guadagnato 49 milioni di dollari. Il che mi ha fatto molto arrabbiare (il termine era un altro, meglio parafrasare, nda) perché con altri 3 sarei arrivato ad un milione a settimana.

Gli appassionati del cinema di Hollywood riconosceranno senza dubbio questa celebre frase attribuita a Jordan Belfort e riproposta nella meravigliosa pellicola realizzata da Martin Scorsese nel 2013 con cinque candidature agli Oscar. Nel film The Wolf of Wall Street c’è un monumentale Leonardo Di Caprio nei panni del protagonista, uno dei personaggi più controversi nella storia della finanza globale, un broker dalle innate capacità di vendita, che in pochi anni – tra il 1989 e il 1993 – è riuscito a fondare una società di vendita di azioni e portarla a fatturare oltre un miliardo di dollari l’anno, guadagnandosi per l’appunto il soprannome di The Wolf of Wall Street.

Cosa sta succedendo a Wall Street: la storica borsa finanziaria si scopre debole e poco attraente

È vero che Belfort, con la sua grande abilità oratoria, verrà ricordato come un uomo capace di convincere i risparmiatori dall’altro capo del telefono ad acquistare azioni di piccole società dalle dubbie prospettive di crescita. Però in quel periodo – ossia gli anni Novanta – rimarranno negli annali come il momento storico in cui la più grande borsa d’affari del mondo era il posto perfetto per accrescere il proprio fatturato, posizionarsi sul mercato globale e trarre profitti da ogni genere di transazione. Ovviamente ci sono stati anche momenti di crisi simili al Lunedì Nero del 1987 (chiusura a -22% e danni ai mercati di tutto il mondo), ma è proprio negli anno successivi a quell’evento che Wall Street ha battuto una serie di record.

Di tutto questo, oggi, rimane solo un lontano ricordo. Il vortice di crescita costante e (solo all’apparenza) irreversibile del colosso americano è crollato sotto i colpi dell’economia reale che – a differenza di quella azionaria – non lascia margine di errore. E di errori ce ne sono stati tanti in questi ultimi anni, testimoniati dal crollo globale del 2007 e dalle immense difficoltà che ancora sussistono oggi in virtù di quell’esperienza. Tanto che Wall Street, ancora ai vertici del settore ma con una debolezza mai mostrata prima, sta assistendo alla fuga di molti fra i più grandi attori dell’economia mondiale.

Una storica banca americana ha abbandonato Wall Street: cosa sta succedendo alla borsa d’affari più grande al mondo

Non poteva che essere il Wall Street Journal a certificare la crisi di Wall Street. Già da tempo, osservando le ripercussioni a catena della crisi pandemica e dell’instabilità internazionale, gli editorialisti del periodico più autorevole del settore avevano lanciato una preoccupante allerta. Una forte preoccupazione divenuta chiara a tutti a metà aprile, quando il più “forte” degli inquilini della borsa USA ha annunciato la decisione di fare le valigie, non rinnovando le proprie quotazioni sul mercato azionario.

Stiamo parlando di JP Morgan Chase, la più grande banca degli Stati Uniti, con una storia di attività finanziaria che dura da oltre 150 anni. In molti la ricorderanno proprio nel frangente del 2007: il suo crollo innescò una serie di reazioni a catena a livello globale. Nonostante ciò, storicamente rimane un istituto leader per milioni di cittadini americani, un contenitore di risparmi, investimenti, polizze e acquisti. Un punto di riferimento che ora però ha capito di non potersi più permettere il “galleggiamento” in cui si è impantanata la grande via degli affari.

L’annuncio dell’addio di JP Morgan e le ripercussioni: Wall Street ha iniziato il suo declino?

Dal 2006, gli uffici della JP Morgan presenti a Wall Street erano ubicati al civico numero 45, a pochi passi da quel Word Trade Center che occupa un posto di primo piano nelle pagine nere della storia americana. Erano sopravvissute anche all’8 settembre le scrivanie dei broker capitanati dalla manager Sarah Roselli, responsabile delle filiali della banca a New York. Ed è stata proprio lei, in un’intervista rilasciata al Wall Street Journal, a formulare un’analisi spietata delle enormi difficoltà della borsa americana.

“Provo un sentimento di grande dolore. Ma, allo stesso tempo, il mio ruolo e il lavoro richiesto al mio team ci impongono di fare scelte difficili. Vivere e operare ogni giorno in questo sistema è come giocare una partita a bowling: devi capire quando è il momento di smettere” ha detto durante il colloquio con il quotidiano, mostrando un volto provato dallo stress e dall’emozione. E non potrebbe essere altrimenti visto che l’addio a Wall Street, nonostante tutto, rappresenta un passo indietro non solo per la credibilità della piazza d’affari, ma anche per chi leva le tende.

Anche le multinazionali snobbano Wall Street? Le previsioni sul futuro e l’esigenza di rilanciarsi

Ma come si stanno comportando le altre grandi banche americane? Ad oggi, tra gli istituti che possono competere con JP Morgan dal punto di vista storico e reputazionale, sono ancora a Wall Street la solida Bank of America e la rampante Toronto-Dominion. Due attori i cui vertici, al momento, non hanno paventato la possibilità di abbandonare la via degli affari, nonostante gli elzeviri dei quotidiani economici continuino ad ipotizzare una loro uscita dal mercato finanziario newyorkese entro il 2027. Di certo, la mossa della JP Morgan non avrà rasserenato gli animi nelle stanze dei bottoni dei due istituti.

A questo trend molto preoccupante si aggiunge un’analisi altrettanto lapidaria formulata pochi giorni fa dall’Economist. Il periodico britannico ha fatto notare come le grandi multinazionali emergenti del pianeta – a cominciare da OpenAI e arrivando da ByteDance (azienda milionaria cinese attiva nel settore dell’informatica) – stiano letteralmente snobbando la possibilità di entrare a Wall Street, preferendo concentrarsi su mercati diversi come quello asiatico.

Se è vero che l’addio di molte banche storiche del tessuto americano è un sintomo inequivocabile del malessere in corso, la mancanza di attrattività verso i grandi capitali emergenti potrebbe rivelarsi la mazzata finale. Wall Street deve reagire, pare che stia provando a farlo anche grazie all’aiuto dell’intelligenza artificiale, ma il rischio è che dalle parti di Manhattan ci si ritrovi a rimpiangere la spregiudicatezza di Jordan Belfort. C’è materiale per un nuovo film da Oscar.