Alzheimer, finalmente anche in Italia i farmaci

Una splendida notizia ma non per tutti: ecco quando arriveranno in Italia i nuovi farmaci e perché non sono destinati a tutte le tipologie di malati di Alzheimer

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

Il mondo della ricerca continua a progredire e ottime notizie giungono sul fronte della lotta all’Alzheimer. Una malattia devastante che priva i soggetti della propria identità e getta i loro cari in una spirale di sofferenza. È impossibile, dunque, non accogliere il recente annuncio con un sorriso.

Il presidente della Rete Irccs Neuroscienze e Neuroriabilitazioni del Ministero della Salute, Raffaele Lodi, ha svelato l’arrivo dei nuovi farmaci per combattere l’Alzheimer. Non sarà un’attesa breve, considerando come il processo richiederà circa due anni, ma rappresenta un traguardo verso il quale ambire.

Farmaci Alzheimer: chi potrà usarli

Il fatto che si parli di farmaci contro l’Alzheimer, però, non vuol dire che tutti possano approfittarne, purtroppo. Una precisazione tanto dolorosa quanto necessaria. Lodi ha infatti spiegato come i prodotti farmaceutici in arrivo nel nostro Paese siano in grado di aggredire la malattia unicamente nella sua forma iniziale, paucisintomatica o presintomatica.

Rete Irccs ha operato un enorme lavoro per riuscire ad applicare quotidianamente i migliori protocolli clinici neuropsicologici di diagnostica strumentale. Ciò al fine di riuscire a caratterizzare al meglio i pazienti, individuando predisposizioni o chiari segni di Alzheimer nelle fasi più precoci possibili. Un’operazione su tutto il territorio italiano, che consentirà di operare al meglio all’arrivo dei farmaci in questione.

Numeri altissimi registrati in Italia, considerando come questa patologia, purtroppo in crescita nei dati del nostro Paese, sia connessa principalmente all’età. Il fatto che l’Italia sia il Paese più vecchio al mondo, al fianco del Giappone, evidenzia quanto cruciale sia per noi la ricerca in tale ambito.

L’efficacia dei farmaci

Si respira una certa aria di speranza sul fronte Alzheimer, come ben evidenziato dalle parole di Paolo Maria Rossini, responsabile del dipartimento di Scienze neurologiche e riabilitative dell’Irccs San Raffaele Roma. Il suo paragone è con il Parkinson, spiegando come la situazione attuale gli ricorda molto il tempo in cui questa patologia era una condanna, per poi vedere i primi pazienti tornare a muoversi grazie alla dopamina. Una seconda vita che si spera possa essere donata anche ai malati di Alzheimer.

È la prima volta che dei farmaci consentono una netta incisività sul decorso della malattia, inducendone un importante rallentamento. L’azione si attua sulle proteine (beta-amiloidi), che originano le placche caratteristiche dell’Alzheimer. Tutto lascia pensare che ci si trovi dinanzi a una vera e propria svolta.

È però profondamente sbagliato vendere false illusioni a chi soffre tutti i giorni a causa di questa patologia. Lodi ha infatti ribadito come l’azione sulle prime fasi sia dovuta al fatto che il farmaco necessita della straordinaria plasticità del cervello per agire. È dunque necessario agire prima della comparsa dei segni conclamati, il che rende quest’operazione a dir poco complessa.

Torna così di grande attualità il progetto di ricerca lanciato in Italia nel 2018. Alla base c’è il tentativo di individuazione di alcuni biomarcatori che, rilevati in fase precoce, potrebbero distinguere chi si ammalerà di Alzheimer da chi non corre rischi.

Ecco le parole di Rossini in merito: “A breve potremo dire quale combinazione di marcatori prevede il rischio. Si potrà iniziare il trattamento quando il cervello ha una buona riserva cognitiva e non quando è come una piantina non annaffiata da mesi”.