A poche settimane dalla scadenza del 31 dicembre, il governo di Giorgia Meloni sta compiendo una vera e propria corsa contro il tempo per approvare la manovra, entro l’ultimo giorno dell’anno. Per le ore 15 di domenica 11 dicembre i partiti di centrodestra dovranno aver trovato un’intesa sugli emendamenti da presentare in Parlamento per la discussione generale.
Una volta concluso l’iter tra Camera e Senato (con l’ultima votazione a Palazzo Madama in calendario per le giornate del 29 e 30 dicembre), la presidente del Consiglio dovrà iniziare il 2023 occupandosi di alcune questioni moto delicate che riguardano la sopravvivenza di decine di imprese.
Montagne di debiti e impianti fermi, l’incubo dell’ex Ilva di Taranto
Infatti, uno dei tavoli più fitti di dossier è quello di Adolfo Urso, storico esponente di Fratelli d’Italia e da poco nominato nuovo ministro delle Imprese e del Made in Italy. È assieme a lui che la premier dovrà fare il quadro sulle situazioni più spinose in ambito aziendale ed imprenditoriale. Stando alle ultime novità, c’è da scommettere che a Palazzo Chigi gli occhi di tutti saranno puntati innanzitutto sull’acciaieria ex Ilva di Taranto. Tra le realtà più importanti d’Europa nel settore, dal 2021 la multinazionale è diventata una società con una proprietà mista, che vede uniti soggetti privati ed enti pubblici. Un passaggio che ha portato anche al cambio del nome in “Acciaierie d’Italia“.
Durante l’incontro di metà novembre tra il ministro, i sindacati, Confindustria e l’azionista di maggioranza Arcelor Mittal (azienda che detiene il 62% dell’ex Ilva, mentre la rimanente quota è in mano alla società statale Invitalia), è stato stilato un resoconto degli ultimi mesi di attività, riscontrando diversi aspetti altamente critici: c’è uno stallo generalizzato, con una produzione ben al di sotto degli standard preventivati, alcuni impianti fermi e molti creditori che devono ricevere i pagamenti arretrati. In tutto questo è in ballo il destino di migliaia di lavoratori, molti dei quali già oggi continuano ad operare in regime di cassa integrazione per il lavoro subordinato, quindi con un’importante diminuzione dello stipendio (si stima che siano circa 2.500).
Raffica di licenziamenti e futuro incerto: cosa succederà all’ex GKN di Campo Bisenzio
Un altro fascicolo che il ministro Urso dovrà esaminare già dall’inizio del 2023 è quello che vede come oggetto l’ex GKN di Campo Bisenzio, in provincia di Firenze. Stiamo parlando di una fabbrica la cui attività principale è quella di produzione di componenti per il settore automobilistico. Il fondo internazionale di origine inglese Melrose – titolare dell’azienda – ha chiuso lo stabilimento ormai da un anno e mezzo, ossia da quel luglio 2021 in cui ben 422 dipendenti vennero licenziati con una mail (un iter utilizzato, tra gli altri, anche dal noto Elon Musk).
Nella cittadina toscana è subentrato l’imprenditore italiano Francesco Borgomeo (dicembre 2021), che ha acquistato l’impresa tramite la società QF. Lo scorso 3 novembre è stato ricevuto al ministero per un primo confronto sulle prospettive future. Se da un lato rimangono i dubbi della Regione Toscana sulla reindustrializzazione dell’impianto (manifestati per voce del governatore in carica Eugenio Giani), il governo vuole comunque monitorate l’evoluzione del dossier per verificare i margini per un intervento statale. Nel frattempo però ci sono centinaia di cittadini che aspettano di conoscere il proprio futuro e a cui la NASpI potrebbe non bastare.