Intestino irritabile, una dieta corretta è più efficace delle medicine

È una sindrome molto diffusa che non va sottovalutata, soprattutto sul fronte delle abitudini alimentari. Lo dimostra una ricerca: più di 7 pazienti su 10 hanno avuto una riduzione dei sintomi grazie alla giusta dieta

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Federico Mereta

Giornalista scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica. Raccontare la scienza e la salute è la sua passione, perché crede che la conoscenza sia alla base di ogni nostra scelta. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Una giusta alimentazione, prescritta dal medico, a volte vale proprio come un farmaco. Se non di più. Anche e soprattutto quando si parla di sindrome dell’intestino irritabile, quella che un tempo, veniva genericamente definita colite.
Il quadro, definito anche con la sigla IBS, è molto diffuso. E non va sottovalutato, anche e soprattutto sul fronte delle abitudini alimentari. Perché la dieta corretta, ovviamente personalizzando il trattamento da parte del medico, potrebbe risultare addirittura più efficace dei medicinali che si impiegano in questa patologia.

A dirlo è una ricerca condotta dagli esperti dell’Università di Göteborg pubblicata su Lancet Gastroenterology & Hepatology, che mostra come più di sette pazienti su dieci abbiano avuto una riduzione significativa dei sintomi proprio grazie alla giusta alimentazione. La ricerca è stata coordinata da Sanna Nybacka, Stine Störsrud e Magnus Simrén.

Il colon irritabile interessa quasi una persona su dieci ed è più frequente nelle donne, con un rapporto di 3 a 1 nei confronti dei maschi. E tende ad esordire in giovane età, già verso i venti-trent’anni.

Quanto pesa la giusta alimentazione

In genere, il trattamento della sindrome dell’intestino irritabile prevede approcci diversi. Si va da semplici indicazioni sulle abitudini alimentari fino a farmaci per migliorare sintomi specifici, come gas o stitichezza, diarrea, gonfiore o dolore addominale. In certi casi, addirittura su punta su antidepressivi per lenire il peso dei sintomi.

La ricerca che spiega una volta di più quanto sia importante l’alimentazione ha messo a confronto in soggetti con sintomi gravi o moderati tre approcci: due esclusivamente dietetici e uno che prevedeva la somministrazione di farmaci.
In particolare in un gruppo si è puntato su un basso apporto di carboidrati fermentabili, ovvero sulla dieta FODMAP, oltre ad una particolare attenzione al comportamento a tavola. Questo modello dietetico prevede in termini generali l’eliminazione di prodotti contenenti lattosio, legumi, cipolle e cereali: questi alimenti possono fermentare nel colon e quindi favorire la comparsa di dolore in chi soffre di IBS. La dieta FODMAP è stata proposta da Peter Gibson e Susan Sheperd della Monash University di Melbourne e si è dimostrata in grado di limitare i sintomi.
Nel secondo gruppo l’alimentazione ha previsto un ridotto contenuto di carboidrati e conseguentemente incremento percentuale della quota di proteine e grassi. Nel terzo gruppo, caso per caso, si è somministrato il farmaco più indicato per i disturbi del paziente.

Il trattamento così definito è andato avanti per quattro settimane e al termine sono stati valutati i sintomi del colon irritabile. Tra coloro che hanno ricevuto consigli dietetici tradizionali per l’IBS e un’alimentazione a basso contenuto di FODMAP, il 76% ha avuto una riduzione significativa dei sintomi. Nel gruppo che riceveva pochi carboidrati e un alto contenuto di proteine e grassi, la percentuale è scesa al 71%. Sorpresa: nel gruppo trattato con farmaci il miglioramento significativo della sintomatologia è sceso al 58%. Va detto comunque che in tutte le persone si è registrato un miglioramento della qualità di vita, un calo dei disturbi fisici e una migliore salute psicologica. Questi risultati, va detto, si sono mantenuti anche quando il “controllo” delle abitudini alimentari si è fatto meno intenso.
Nelle valutazioni a sei mesi, i partecipanti ai gruppi che avevano una dieta prescritta sono tornati anche alle loro vecchie abitudini, ma con risultati ancora significativi in termini di benessere. Si è osservato comunque un calo dei sintomi significativo nel 68% nel gruppo con dieta a basso contenuto di FODMAP e 60% nel gruppo con dieta a basso contenuto di carboidrati.

Non solo stress, come si riconosce la sindrome dell’intestino irritabile

Il mal di pancia, forte, che diventa un compagno di viaggio capace di presentarsi almeno una volta la settimana negli ultimi mesi. E magari anche andare di corpo diventa un’impresa, sia che ci siano scariche di diarrea sia che l’intestino si fermi per giorni. Magari, il tutto associato con gonfiore dell’addome e sensazione fastidiosa di meteorismo. Se poi è presente anche il dolore se si va in bagno….. Ecco, in questi casi non pensate solamente allo stress. O meglio, la tensione può peggiorare la situazione, ma non è la causa del fenomeno. Se presentate fastidi di questo tipo, potrebbe trattarsi di sindrome del colon irritabile. E non accontentatevi di una pacca sulla spalla e di un generico consiglio a controllare la tensione. Soprattutto, non sottovalutate il quadro.

Questa condizione è oggi scarsamente riconosciuta e la diagnosi arriva dopo molto tempo, anche perché in genere i sintomi sono sottovalutati. Il risultato è che i malati ricorrono al “fai da te” oppure si affidano ad improbabili soluzioni scovate su internet per cercare di contrastare i sintomi. Alcune persone vivono per decenni con dolori addominali ed irregolarità dell’alvo, ma ignorano, o compromettono il problema non considerandolo tale. Soprattutto, non bisogna considerare questa una condizione “banale”.

Oggi sappiamo che la sindrome dell’intestino irritabile è una malattia microrganica che coinvolge diverse strutture, dal microbiota intestinale alle cellule della parete intestinale, fino alla sottomucosa ed al sistema immunitario. Sul fronte clinico questo quadro estremamente complesso si rivela con i classici sintomi legati al cattivo funzionamento intestinale: il paziente riferisce dolore addominale con fastidio associato a stitichezza o a diarrea, in base al tipo di patologia.

Quanto conta la diagnosi corretta

Nel percorso diagnostico occorre quindi eliminare tutte le possibili cause organiche del disturbo con esami diagnostici mirati, siano essi radiologici o endoscopici, ma soprattutto occorre ricordare che anche la sindrome del colon irritabile è oggi considerata una malattia organica. Questo è il concetto importante che deve passare e che deve essere trasmesso al paziente. Prima di parlare di sindrome dell’intestino irritabile occorre infatti escludere altre situazioni, quindi servono specifici controlli in caso di insorgenza o variazione dei sintomi dopo i 50 anni, di improvviso dimagrimento, in caso di presenza di sangue nelle feci e anemia, oltre che di tumefazioni nell’addome. Conta anche molto se ci si risveglia di notte per i disturbi. In presenza di segni e sintomi di questo tipo occorrono indagini precise, appunto per escludere cause organiche. Se ciò avviene, il medico può ipotizzare una sindrome del colon irritabile e puntare a riconoscere i fattori in gioco.

Importante è ricordare che non siamo di fronte ad una malattia psicosomatica. La sindrome del colon irritabile, in altre parole, non “nasce” nella testa, anche se lo stress può ovviamente aggravare il quadro.

C’è infine un ultimo aspetto da considerare: è importante che nelle persone che presentano sindrome da colon irritabile si valuti con un esame del sangue l’eventuale presenza di celiachia. In una percentuale minima di soggetti che presentano soprattutto scariche diarroiche come sintomi cardine – siamo intorno al 3-4% – i sintomi possono essere infatti legati a questa condizione. Senza dimenticare ovviamente che si può essere semplicemente particolarmente sensibili al glutine.