Ue, la chimera della Difesa comune europea: perché è un sogno irrealizzabile

Stati Uniti d'Europa, esercito comune, investimenti congiunti nella Difesa: il programma di Bruxelles si scontra con le inevitabili divisioni interne all'Ue. Ci sarà davvero una chiamata alla armi contro la Russia?

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

La guerra in Ucraina non farà nascere gli Stati Uniti d’Europa, tantomeno una Difesa comunitaria. Innanzitutto perché gli Stati d’Europa, o meglio dell’Ue, non sono per niente uniti: nessuna lingua, nessuna cultura, nessuna agenda in comune. E, poi, perché l’unione militare che abbraccia l’intero spettro dell’Unione europea e vi si sovrappone esiste già, per opera degli Stati Uniti: la Nato, che ora si è allargata anche alla Svezia. Ma l’Unione europea non coincide con l’Europa, come ci aveva già ricordato la Brexit e la scoperta dell’Ucraina come ultimo confine del Vecchio Continente.

Tra proclami macroniani sull’invio di truppe in Ucraina e opinioni pubbliche a dir poco scettiche su un possibile coinvolgimento diretto dei loro connazionali in guerra, per non parlare delle difficoltà industriali, la comunità europea si arena sui propri intenti. Ennesimo segnale dell’inconsistenza geopolitica delle istituzioni Ue. Cosa succederà allora? Rischiamo davvero la chiamata alle armi? Viene da rispondere: certamente no.

L’Ue tra stanchezza degli Usa e allargamento della Nato

Un eventuale sforzo bellico non grava soltanto su chi viene arruolato e spedito al fronte, ma anche sul resto della popolazione che deve compiere sacrifici per sostenere quello sforzo. Sforzo economico, industriale, emotivo di un intero Paese. Una questione nazionale e unilaterale, dunque, e non internazionale e multilaterale. In altre parole: gli italiani si preoccupano degli italiani, non certo per “gli europei”. Per fare la guerra, inoltre, bisogna essere giovani. L’Italia è assieme al Giappone il Paese più vecchio del pianeta, e il resto d’Europa non se la passa meglio in quanto a età media della popolazione. Lo scoppio del conflitto convenzionale in Ucraina ci ha riportati alla storia, dopo quasi 80 anni di apparente pace stabilita dall’egemonia globale di un’unica potenza. Egemonia che ora gli imperi rivali degli Stati Uniti sentono di poter scalfire, con la conseguente moltiplicazione dei fronti di guerra (compresi Medio Oriente e Indo-Pacifico).

In questo contesto di profonda stanchezza imperiale americana nel reggere le sorti di un mondo che, in larghissima parte, vuole andare per conto suo, si iscrive la questione della Difesa comune europea. Lo stallo della legge sugli aiuti militari presso il Congresso Usa ne è il termometro. Gli apparati statunitensi, e cioè chi decide davvero le direzioni strategiche a discapito del presidente di turno, hanno cambiato postura rispetto a qualche anno fa. Se oggi Donald Trump seguita a definire la Nato “obsoleta” e a sognare di imporre fattivamente ai Paesi europei un target del 2% del Pil da investire nella Difesa, lo Stato profondo americano non è lontano dalla stessa convinzione. Ecco perché si assiste da mesi al tentativo statunitense di scaricare sulle spalle degli Stati Ue l’onere del supporto militare all’Ucraina. Rispondono a tale proposito fattori come l’incoraggiamento della Polonia anti-russa a guida del riarmo europeo, la pressione sulla Germania, lo spostamento del baricentro Nato sul Baltico e l’adesione di Svezia e Finlandia all’Alleanza.

Senza dimenticare che le Forze Armate dei Paesi europei sono state pensate, dal Secondo Dopoguerra, per essere di supporto a quelle americane. Come dimostra ad esempio il caso della Francia, il cui esercito è tra i più forti dell’Ue ma che da solo non è stato in grado di portare avanti operazioni efficaci nella Libia di Gheddafi e nel Sahel. Sono dovuti intervenire gli Usa, coadiuvati dal Canada. Nonostante la velleità di Emmanuel Macron di proiettare la Francia a guida del Continente, di fatto non può sostituirsi ai seppur stanchi egemoni statunitensi. Per avere un vero esercito europeo, ci vuole un popolo più forte degli altri che decida e imponga la visione. Questo avviene già attraverso la Nato, e cioè tramite il bracco armato americano in Europa. L’Ue non è che l’altro braccio di questo sistema, quello politico.

Difesa Ue o non Difesa Ue, questo è il dilemma

Bruxelles ha sottolineato la necessità di “mettere il turbo” alla capacità industriale di Difesa europea per i prossimi 5 anni, per rispondere alla minaccia militare della Russia. Poco importa se questa minaccia sia, nei fatti e storicamente, inconsistente. Si tratta di narrazione e propaganda occidentale, utile a convincere le province europee degli Usa ad accettare uno sforzo che non sperimentavamo dall’alba della Guerra Fredda. L’acquisto congiunto di armi e attrezzature militari è un punto fermo della strategia annunciata dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, per il cosiddetto Programma europeo di investimenti per la Difesa. In altre parole, la priorità degli Stati membri dovrà essere il riarmo. Un piano irrealizzabile finanche per i Paesi più preminenti dell’Ue, come la Germania, che versa in una profonda crisi economica e industriale e che, al di là della propaganda, non può permettersi di dirottare alla Difesa risorse con cui finanzia lo stato sociale nazionale, vero collante interno alla federazione: un punto imprescindibile per Berlino, il cui cardine strategico è evitare collisioni e scontri tra le varie nazioni (Land) che compongono la galassia tedesca. Dall’altra parte la Germania vuole fare come la Francia e mantenere il primato in Europa, sfruttando un fatto incontrovertibile: è l’unico Paese, oltre a Ucraina e Russia, ad aver subìto un attacco militare diretto con la distruzione del gasdotto Nord Stream. Attacco che a Berlino si pensa orchestrato dagli stessi occidentali, britannici in primis. In questo senso il caso dell’intercettazione russa di una conversazione tra ufficiali tedeschi, sull’invio di armi in Ucraina e sulla presenza di militari della Nato nel Paese invaso, appare più come un messaggio a Londra che una distrazione.

Von der Leyen rilancia il successo della medesima (?) strategia operata nel campo dei vaccini anti-Covid o per le forniture di gas: “Questo ci aiuterà a ridurre la frammentazione e ad aumentare l’interoperabilità”. Un’autentica chimera, viste le profonde differenze di una più che frammentata Unione europea. Uno dei punti fermi di questo programma dovrebbe essere la facilitazione degli accordi di acquisto anticipato con le industrie della Difesa nazionali, per avere ordini sta bili sul lungo periodo e per ricostruire e modernizzare le forze armate degli Stati membri. L’iniziativa è sostenuto dal Ppe (Partito popolare europeo), il più numeroso all’interno dell’Europarlamento. Non sono d’accordo invece altri schieramenti come la sinistra, secondo cui privilegiare la politica di Difesa comunitaria a discapito di quella nazionale interna sia una “deriva antidemocratica”. Senza dimenticare l’immancabile aspetto morale dell’incentivo a produrre più armi, più propagandistico che sentito. Come dimostra anche il dichiarato intento della Commissione Ue di utilizzare i beni russi congelati per acquistare armamenti da inviare all’Ucraina.

Al netto di tutto, restano le forti tensioni interne al fronte europeo, ma non solo. L’Ue è anziana, post-storica e dedita all’economicismo. Non è cioè un soggetto geopolitico, figurarsi una nazione e tantomeno un impero, non è dotata di missione e dunque non è capace di proiettare alcuna potenza, inclusa quella militare. Gli interessi dei vari Stati sono poi troppo divergenti. La Francia, ad esempio, vuole conservare uno storico legame con la Russia, come già prima della guerra aveva avuto modo di ribadire Macron: “L’Europa esiste da Lisbona a Vladivostok”. La Polonia, al contrario, vuole annientare la Russia e utilizza in maniera strumentale il pur grande supporto che ha garantito all’Ucraina. Se non ci fosse stata la guerra e il conseguente cambio di postura americano, Italia e Germania sarebbero rimaste volentieri dipendenti dal gas russo e ancora oggi conservano la speranza, se non l’intenzione, di riallacciare i rapporti con Mosca in un futuro post-bellico. In ogni caso non ci è dato decidere. L’intento degli Usa di aprire al dialogo con la Russia risponde alla strategia di strapparla dalle grinfie della Cina, grande rivale per l’egemonia globale. Per questo motivo la guerra in Ucraina potrebbe confluire presto verso la soluzione dei negoziati, ridimensionando in maniera decisiva l’esposizione della Difesa europea.

La posizione dell’Italia

“Pensiamo a come organizzarci se ci sarà un commissario Ue per la Difesa. Se procediamo verso un sistema di Difesa europeo, possiamo lavorare per un coordinamento. Io sono favorevole anche agli Eurobond per finanziare la Difesa europea“, ha detto il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani intervenendo agli Stati generali dell’Italia a Bruxelles. Tutto bellissimo, se non fosse improponibile. Come dimostra il successivo intervento della premier Giorgia Meloni: “Sulla Difesa Ue resta il nodo delle risorse”. Come a dire: chi li convince gli italiani a sostenere lo sforzo bellico per una minaccia improbabile?

Oltre a una diffusa stanchezza per le sorti dell’Ucraina e a una certa fascinazione per la Russia di Putin da parte di sparuti gruppi di popolazione, la nostra opinione pubblica sembra convinta che presto l’incubo della guerra dovrà finire. Praticamente ogni generazione attiva e al potere in Italia è nata e vissuta nel mondo della pax americana, in cui i conflitti sono sempre rimasti lontani dall’Europa e sembravano non doverci più riguardare. E invece, semplicemente, non era così. Perché gli sfidanti dell’egemonia Usa si sono fatti avanti e l’intero sistema della “pace calda” ha cominciato a sgretolarsi. Inseriti nel campo di influenza americano, gli italiani non hanno ancora raggiunto la svolta di consapevolezza che la storia e la guerra non sono finite. E che in futuro forse non basterà più mandare soltanto la nave Duilio nel Mar Rosso per intrattenere scaramucce con gli Houthi yemeniti. Vedremo quale peso decideranno di assegnarci gli Usa, considerando intanto che senza una minaccia russa la Nato avrà ben pochi motivi di continuare a esistere.