La Svezia è entrata ufficialmente nella Nato, diventandone il 32esimo membro e cambiando in maniera importante la geopolitica occidentale e globale. Dopo anche l’adesione della Finlandia nel 2023, il Mar Baltico è così diventato un lago atlantico, portando al culmine il processo di spostamento del baricentro dell’Alleanza che avevamo anticipato. E aumentando di molto la pressione sulla vicina “tenaglia” russa sul Baltico, rappresentata dai due “artigli” San Pietroburgo e Kaliningrad.
Il messaggio alla Russia non potrebbe essere più esplicito: l’Europa controllata dagli Usa è armata fino ai denti contro ogni tentativo di invasione. Invasione che, va detto, Mosca non ha alcuna intenzione di compiere, per ragioni storico-culturali e di pura convenienza pratica (un territorio occupato va presidiato, riorganizzato, gestito). Per il Cremlino si tratta comunque di una svolta definitiva della linea di contatto con l’Occidente a guida americana, che finora aveva dato per “scontata” la neutralità del nucleo scandinavo, Finlandia compresa. Neutralità che ora è stata definitivamente abbandonata.
Cosa cambia con l’ingresso della Svezia nella Nato
Dopo mesi di tira e molla, alla fine il Parlamento d’Ungheria ha ratificato il Protocollo di adesione del Paese scandinavo nella Nato, mentre il “via libera” da parte della Turchia era già arrivato il 24 gennaio scorso. Si tratta dell’ufficializzazione di un processo di “atlantizzazione” intrapreso ben prima. Negli ultimi decenni, infatti, la Svezia aveva rafforzato la cooperazione con l’Alleanza, partecipando anche a esercitazioni e conformando i propri standard militari a quelli dell’Alleanza. E, subito dopo l’invasione russa dell’Ucraina, aveva deciso che sarebbe entrata nella Nato, al netto dei veti turco e ungherese poi decaduti. Processo accelerato poi con la percezione europea di una crescente minaccia russa.
Non solo. La Nato si assicura un membro estremamente preparato sul piano militare, nonostante la sua proverbiale e lunga neutralità. Questo perché già da metà Novecento si era preparata alla sentitissima minaccia dell’Unione Sovietica, sviluppando potenza, intelligence e tecnologia militari assimilabili ali standard Nato (come ad esempio aerei di ricognizione elettronica capaci di intercettare conversazioni russe) per contrastare un eventuale attacco.
Non è dunque soltanto la posizione geografica a rendere la Svezia un prezioso baluardo dell’atlantismo per Washington e il suo “impero europeo”, ma anche la sua autosufficienza difensiva. Un elemento che la differenzia, ad esempio, dalle Repubbliche Baltiche (Estonia, Lettonia e Lituania) che hanno semmai richiesto uno sforzo ulteriore agli Usa per potenziarne le capacità di difesa.
Cosa cambia dunque? Cambia anzitutto il baricentro della Nato, che si sposta più a Est e si centra sul Baltico, portando alla Russia la massima pressione occidentale dai tempi della Guerra Fredda. E che mostra i muscoli attraverso nuove esercitazioni congiunte. Non cambierà nei fatti gli esiti della guerra in Ucraina, per espressa e taciuta (finora) volontà americana di congerarla, puntando su negoziati con la Russia nell’intento di strapparla dalle grinfie della Cina.
Le esercitazioni Nato al confine russo: il ruolo (potente) della Finlandia
Negli ultimi tempi si è parlato molto dell’invio e della presenza di truppe Nato in Ucraina. L’intera Europa comunitaria, su spinta statunitense, sembra vivere un “ritorno alla guerra” e punta su investimenti militari. La stessa European Defense Industrial Strategy (Edis) rappresenta il nuovo tentativo dell’Ue di sviluppare una congiunta industria difensiva, in ottica anti-russa. Tattica fallace nella misura in cui l’Unione europea non rappresenta una nazione né un soggetto geopolitico, profondamente disomogenea e con priorità che variano anche di molto da Stato a Stato. Non a caso l’area territoriale e internazionale coperta dalla Nato si sovrappone quasi interamente a quella dell’Ue: braccio armato e braccio politico restano distinti nei piani di Washington. Che però non ha perso occasione per indire nuove prove di forza nell’area artico-scandinava, proprio in faccia alla Russia.
Parliamo della Steadfast Defender 2024, la più grande esercitazione militare compiuta dall’Alleanza dall’epoca della Guerra Fredda. Esercitazione che, ça va sans dire, vede per la prima volta anche la partecipazione di Svezia e Finlandia. Una parte della più ampia Steadfast Defender – che vede impegnati circa 90mila militari provenienti da 31 Paesi alleati – consiste nella Nordic Response 2024, simulazione Nato al confine tra Norvegia e Finlandia, in svolgimento dal 4 al 15 marzo, che coinvolge oltre 20mila militari provenienti da 13 nazioni. Proviamo a vedere nel dettaglio in cosa consistono queste esercitazioni volte ad aumentare la pressione sul Cremlino.
Due eventi, tuttora in svolgimento, legati alla simulazione Nato è Hanki 2024, che coinvolge direttamente la componente aerea dell’aeronautica militare finlandese, mentre l’altro, Lumiukko, riguarda la componente marittima. Nell’ambito dello scenario di guerra con la Russia sono chiamate alla prova sei basi aeree e aeroporti sotto la giurisdizione di Helsinki, oltre alla base di Kallax in Svezia. L’addestramento chiama in causa uno squadrone di caccia F/A-18 e aerei da addestramento Hawk. Il punto è condurre l’addestramento nella lotta contro il nemico con un sistema di difesa aerea a più livelli, sopprimendo i punti di controllo e i jet avversari. La seconda esercitazione è condotta dal comando della Marina finlandese nel Golfo di Finlandia e lo scenario elaborato lì non è meno interessante: il blocco di un’arteria marittima in caso di crisi dei rapporti con Mosca. Questa versione della simulazione ha però un precedente recente e “taciuto” dalle forze di intelligence occidentali: alcuni mesi fa i finlandesi, insieme a svedesi ed estoni, si stavano già addestrando per bloccare il Golfo di Finlandia alla Russia.
Va infine sottolineato che, dal punto di vista militare, la Finlandia si differenza dalla maggior parte degli altri Stati europei, in quanto non ha mai abolito il servizio di leva. Si parla di circa 280mila effettivi, soprattutto afferenti all’aviazione e alla Marina, che possono essere chiamati alle armi con rapidità in caso di minaccia o guerra. La platea totale dei riservisti addestrati sale invece a oltre 900mila unità, che però richiedono logistiche e tempistiche più ampie e difficili da gestire. Per capirci: siamo ai livelli della Bundeswehr, cioè le Forze armate della Germania, che però gode un bacino demografico decisamente superiore a quello finlandese (oltre 83 milioni contro poco più di 5 milioni e mezzo di persone).
Le Fdf (Forze di difesa finlandesi) riescono ad addestrare e formare circa 23mila reclute ogni anno attraverso un servizio militare organizzato su base obbligatoria per gli uomini e su base volontaria per le donne. Per quanto riguarda invece l’arsenale, Helsinki può contare su una delle dotazioni più grandi e sviluppate del Vecchio Continente. I fiori all’occhiello sono l’artiglieria e l’aeronautica militare, composta di Hornet F/A 18 che nel 2026 saranno rimpiazzati da 64 caccia F-35. Dal 2011, inoltre, la Finlandia è dotata di missili a lungo raggio AGM-158 Jassm, acquistati dagli Stati Uniti, diventando l’unica nazione a possederli oltre a Polonia e Australia e, per l’appunto, agli Usa.
Un altro punto di forza è il continuo aggiornamento delle tecnologie in dotazione, come nel caso del lanciarazzi M270 Mlrs e dei dispositivi missilistici David Sling (prodotti da Israele). La vocazione securitaria si estende anche al campo civile e infrastrutturale: condomini e residenze che superano determinate dimensioni, ad esempio, presentano al loro interno un rifugio antiaereo. Sotto le strade e il suolo di Helsinki è stata realizzata una rete di tunnel capace di ospitare e proteggere circa 900mila persone, cioè un numero ben superiore alla popolazione della capitale (poco più di 630mila cittadini).
Le mosse militari della Svezia
Da parte sua, neanche la Svezia è stata a guardare anche prima di ufficializzare l’ingresso nella Nato. Negli ultimi mesi gli aerei da ricognizione Gulfstream IV hanno sorvolato quasi quotidianamente le aree confinanti con la Russia, oltre alla Finlandia e agli Stati baltici. Il complesso militare-industriale svedese, rappresentato da grandi aziende come Saab o Bofors, produce da molti anni armi e attrezzature secondo gli standard dell’Alleanza. Fonti svedesi (in particolare il quotidiano Dagens Nyheter) sottolineano inoltre come il governo svedese abbia rilasciato un permesso per l’esportazione di armi del valore di 11,7 miliardi di corone (oltre 970 milioni di euro) a un “partner occidentale” di cui non si specifica il nome.
L’Agenzia svedese per i prodotti strategici ha presentato un rapporto sulle esportazioni di attrezzature militari nel 2023, in cui sono elencati i Paesi che hanno acquistato o saranno autorizzati ad acquistare armi dalla Svezia in futuro e per quali importi. Secondo il documento, lo scorso anno sono stati rilasciati 797 permessi per l’esportazione di attrezzature belliche. Due di questi permessi spiccano sugli altri: rappresentano il 40% dei 28 miliardi di corone e riguardano “un Paese segreto”. L’aura di mistero è intenzionale, come spiega lo stesso David Olen, capo della divisione attrezzature militari dell’Agenzia: “Se riportiamo queste informazioni, rischieremmo di danneggiare le relazioni internazionali della Svezia con il Paese in questione”.
Ciò che è certo è che la Svezia investe il 2% del Pil (soglia stabilita dagli Usa) e adotta il modello della “difesa totale” al pari della confinante Finlandia.
Perché la Turchia non voleva la Svezia nella Nato e poi ha cambiato idea?
Come nel caso della Finlandia, per mesi il presidente turco Erdogan ha posto il veto sull’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica. Segnale dell’equilibrismo diplomatico di Ankara, alleato atlantico ma impero con una sua agenda che include anche legami con la Russia. La cosa “buffa” è che Ankara fece il suo ingresso nella Nato nel 1952 per le stesse motivazioni ufficiali dei Paesi scandinavi: proteggersi dall’espansionismo russo, nel suo caso nella regione del Mar Nero. Ma perché la Turchia ha potuto bloccare l’ingresso di uno Stato nella Nato? Perché per ratificare l’ingresso di un nuovo Paese nell’Alleanza ci vuole il via libera da parte di tutti gli Stati membri.
La Turchia di Erdogan si era opposta con veemenza per due motivi principali: il sostegno e l’ospitalità offerti da Svezia e Finlandia al movimento politico-culturale curdo del PKK (il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, considerato un’organizzazione terroristica anche dall’Ue) e le sanzioni imposte ad Ankara nel 2019 per l’intervento militare turco in Siria (con tanto di embargo sulla vendita di armi). Ankara aveva inoltre vincolato il suo beneplacito sulla Svezia nella Nato allo scongelamento da parte di Bruxelles del processo di integrazione della Turchia all’Unione europea: il Paese è infatti ufficialmente candidato all’adesione, ma da anni non registra alcun progresso.
Una volta ottenuto garanzie su questi punti, Erdogan ha dunque ritirato il veto all’ingresso delle due nazioni scandinave nella Nato. Nel giugno 2022, i due Paesi avrebbero promesso infatti al presidente turco “misure concrete per l’estradizione di criminali terroristi” e la proibizione di “attività di raccolta fondi e reclutamento del PKK e dei suoi affiliati”. Non solo: avrebbero annunciato anche la fine dell’embargo alle armi turche. Chiude il quadro una motivazione meramente economica, a mo’ di “compensazione” per l’esclusione turca dal programma JSF – decisa dagli Usa nel 2019 a causa della scelta di Ankara di continuare ad acquistare il sistema di difesa antiaereo e antimissile russo S-400 – attraverso l’acquisto proprio da parte americana di 40 jet militari F-16V Block 70/72 di ultima generazione.
Perché l’Ungheria non voleva la Svezia nella Nato e poi ha cambiato idea?
Per quanto riguarda l’Ungheria, la motivazione ufficiale del reiterato veto all’atlantizzazione di Svezia e Finlandia richiamava la diffusione di “notizie false” da parte di Stoccolma e Helsinki sul sistema politico di Budapest. C’è però anche una motivazione reale, tattica: il non voler andare contro la Russia, della quale innanzitutto non percepisce la minaccia diretta per la presenza dei Carpazi, ma anche e soprattutto perché ne è dipendente per quanto riguarda l’importazione di energia.
Altre motivazioni vanno poi ricercate nel rapporto tra Ungheria e Ucraina, considerato buono subito l’indipendenza di quest’ultima nel 1991 e poi “guastatosi” per via della questione della minoranza ungherese (circa centomila persone). Il governo di Viktor Orbán accusa le autorità ucraine di tentare sostanzialmente di “ucrainizzare”, di assimilare la comunità magiara stanziata in Ucraina, in quelle zone considerate “rosicchiate” ad altre entità statali, calpestandone diritti e aspirazioni. Da qui il “no” secco dei funzionari degli Esteri ungheresi all’ingresso dell’Ucraina nell’Ue. “Kiev non soddisfa nessuno dei criteri dell’Unione europea”, afferma Zoltan Kovacs, segretario per le Relazioni internazionali. Per Janos Boka, ministro per gli Affari europei, in Ucraina “non c’è una democrazia funzionante: ha rinviato le elezioni e non ha una stampa libera”.
Perché allora Orbán ha cambiato atteggiamento, come anche dimostrato dalla rimozione del veto a febbraio sul 13esimo pacchetto di sanzioni Ue a Mosca? Come nel caso della Turchia, anche Budapest ha ottenuto qualcosa in cambio, come contropartita. Come ad esempio, come riferisce Report Difesa, l’offerta di quattro nuovi caccia di produzione svedese JAS-39 Gripen e la proroga del contratto di collaborazione con la Difesa di Stoccolma per il supporto logistico. Si aggiungerebbe inoltre la costruzione in Ungheria di un importante centro di ricerca della Saab.