Colpo di Stato in Niger, cosa c’entra la Russia e perché ci interessa

Mentre scade l'ultimatum imposto ai golpisti dai leader africani filo-occidentali, la crisi nel Sahel rischia di investire anche noi. Ecco perché e cosa rischiamo

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Il domino geopolitico innescato dalla guerra in Ucraina ha prodotto i suoi effetti anche in Africa, dove la situazione sembra sull’orlo di un conflitto armato. E dove sono fortissimi gli interessi e la presenza proprio della Russia e dell’Occidente, in particolare della Francia.

Parliamo del Niger, dove il 26 luglio è stato compiuto un golpe che ha destituito il presidente democraticamente eletto Mohamed Bazoum e mandato al potere una giunta militare capeggiata dal generale Abdourahamane Tchiani, comandante della Guardia presidenziale. Mosca, tramite il famigerato Gruppo Wagner (qui abbiamo svelato tutti i segreti miliardari del leader Prigozhin), appoggia i golpisti, mentre Usa e Ue si schierano dalla parte opposta. Ecco perché la situazione in Niger ci interessa da vicino e cosa sta succedendo.

Cosa è successo in Niger e perché

Il presidente Bazoum era sopravvissuto già ad altri due tentativi di colpi di Stato orditi contro di lui: il primo nell’aprile del 2021, il secondo nel marzo 2023. Questo perché in Niger, come negli altri Paesi del Sahel, le forze militari percepiscono se stesse come “concorrenti” con le istituzioni democratiche per l’esercizio del potere. Politica ed esercito, insomma, non vanno praticamente mai d’accordo in quest’area dell’Africa delimitata a nord dal Deserto del Sahara, a sud dalla Savana, a est dal Mar Rosso e a ovest dall’Oceano Atlantico. Una zona detta non a caso “African Belt” (“cintura africana”), che divide di fatto l’Africa “bianca” del Nord da quella Nera.

Il Niger e l’intero Sahel sono caratterizzati da una fortissima instabilità politica e da una disastrosa situazione socio-economica, in cui i traffici illeciti di esseri umani, armi e droga costituiscono la rete commerciale principale della regione. In gran parte di questi territori, tra cui Mali e Burkina-Faso, la società privata paramilitare russa è attiva stabilmente dal 2014 (anno anche dello scoppio del conflitto nel Donbass ucraino) e si è sostituita in tutto e per tutto ad amministratori e autorità locali nella gestione dell’economia e della forza. Dall’altro lato del tavolo del braccio di ferro siede la Francia, punto di riferimento per via del suo passato coloniale e additata dai gruppi ribelli come la responsabile, assieme all’intero Occidente, della situazione disastrosa in cui versano i Paesi africani.

Si rischia una nuova guerra?

I golpisti hanno ricevuto un ultimatum dall’Ecowas, la Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale guidata dalla Nigeria: cessate ogni azione contro lo Stato o sarà scontro militare. Lo spettro di una guerra nella regione sembra però inconsistente, viste le debolezze tattiche da ambo le parti e le voci che parlano di revoca o rinvio dell’ultimatum. Intanto la Francia non ha perso occasione per ribadire il proprio supporto all’Ecowas e allo Stato del Niger contro i ribelli armati.

I precedenti sembrano scongiurare un possibile scontro. Nel 2017 stessa Comunità africana occidentale scese infatti in campo in Gambia per deporre un presidente, Yahya Jammeh, che non voleva ammettere la sconfitta elettorale. Ora sono pronti all’intervento, oltre alla Nigeria, anche Costa d’Avorio, Senegal e Benin. Dall’altra parte Mali e Burkina-Faso hanno già annunciato che un attacco diretto al “nuovo” Niger sarà considerato come una dichiarazione di guerra nei loro confronti. Oltre alla proroga dell’ultimatum, sembra concreta anche l’ipotesi di un “calendario della transizione”, come è accaduto per gli autori dei colpi di Stato in Mali e Burkina-Faso.

Quali sono gli interessi russi in Niger

La Russia è stata lesta e capace, tramite il Gruppo Wagner, a inserirsi nelle lotte interne agli Stati del Sahel strumentalizzando i sentimenti anti-occidentali crescenti e sostituendosi di fatto alle autorità locali (che hanno nella Francia il principale partner di riferimento) in campo militare, politico ed economico. Una situazione intravista già ai tempi dell’Unione Sovietica, che sostenne i movimenti socialisti ribelli in vari Stati (Sudafrica e Mozambico, ad esempio), e che ha registrato una svolta decisiva nel 2014.

La fine dell’operazione francese Barkhane, il cui scopo era fermare l’avanzata jihadista, ha consentito al Cremlino di riempire il vuoto politico lasciato da Parigi nel Sahel. Nonostante le sempre più dure sanzioni occidentali (qui abbiamo spiegato com Mosca riesce ad aggirarle), la Russia ha firmato 19 accordi di cooperazione militare con i Paesi dell’Africa sub-sahariana, aumentando di molto il proprio peso specifico in una regione strategica. Fomentando le tensioni interne attraverso disinformazione e proselitismo, soprattutto attraverso le fake news veicolate attraverso la cosiddetta “fabbrica dei troll”, il Gruppo Wagner si è imposto come l’alternativa politica alle istituzioni democratiche africane sostenute dall’Occidente. Il “trucco” è lo stesso già visto in Siria e nell’est dell’Ucraina: estremizzare e strumentalizzare il sentimento anti-occidentale. I mercenari russi controllano le ingenti vendite di armi e gli investimenti nei settori delle infrastrutture e delle estrazioni minerarie. Il Niger, ad esempio, è uno dei Paesi più ricchi di uranio al mondo, mentre dal Mali al Sudan fino ad altri Stati africani società russe come Gazprom e Rosneft hanno puntato forte in petrolio, diamanti, alluminio ed energia nucleare.

L’intervento russo in questo senso è stato osservato anche in Mali e Burkina-Faso, gli altri due grandi Paesi del Sahel in cui c’è stata una svolta autoritaria al vertice del potere. Mosca ha preso le parti dei golpisti, traendo grande vantaggio dall’accresciuta instabilità e dal vuoto di potere. Non a caso nelle piazze nigerine oggi si brucia la bandiera francese mentre si sventola quella russa. La Russia, tramite i miliziani Wagner, detiene dunque il controllo dei flussi di denaro e di persone. Non a caso, ancora una volta, a fine luglio si è svolta la seconda edizione del summit Russia-Africa, a quattro anni di distanza dal primo vertice del 2019.

Perché la crisi in Niger è importante per l’Occidente: i rischi

Ma perché una crisi così lontana geograficamente da noi, seppur profonda, ci dovrebbe far preoccupare? Oltre all’Ecowas, anche Ue e Usa si siano schierati apertamente dalla parte del presidente destituito Bazoum, condannando senza appello i golpisti e chiedendo un ritorno all’ordine costituzionale. Tutto questo perché per l’Occidente è cruciale che il Niger rimanga un alleato nella lotta contro i gruppi jihadisti in Africa e, soprattuto, per fungere da argine ai massicci flussi migratori provenienti da tutta l’Africa sub-sahariana (qui abbiamo parlato del nuovo patto sui migranti: l’Italia spenderà di più?).

L’Europa e in particolare l’Italia sono molto vulnerabili in questo senso. Se uno Stato così strategicamente importante come il Niger dovesse cadere del tutto nelle mani della Russia, come è avvenuto nei vicini Burkina-Faso e Mali, il Cremlino potrebbe ricattare e colpire l’Occidente scatenando il caos migranti. La Francia, che nella regione è storicamente presente e attiva, non ha perso tempo. Il Niger è un partner strategico soprattutto per Parigi, che attualmente conta circa 1.500 soldati dislocati nel Paese. Il 29 luglio Macron ha annunciato l’interruzione degli aiuti allo sviluppo, tentando di colpire economicamente i golpisti. Il braccio di ferro con la Russia di Putin è però destinato a continuare a lungo.