Dopo il terribile attentato al teatro Crocus di Mosca, si temeva che la Russia potesse aumentare la propria pressione militare contro l’Ucraina. E in effetti un inasprimento c’è stato: nei giorni successivi su Kiev e su altre città è piovuta una pioggia di missili e droni. In particolare sono state attaccate nuovamente le centrali elettriche del Paese, mandando in tilt la rete energetica.
Come in una fase precedente del conflitto, i due schieramenti hanno preso di mira le infrastrutture civili, in particolare quelle energetiche. Anche Kiev ha fatto la sua parte, bombardando diverse raffinerie russe. Scatenando, neanche troppo a sorpresa, la reazione degli Stati Uniti, i quali hanno espresso il loro dissenso per l’iniziativa. Per quale motivo? Come si inquadra la “guerra delle centrali” nel grande quadro generale del conflitto?
Russia e Ucraina, obiettivo centrali energetiche: cause ed effetti
Le bombe e i droni di Mosca hanno danneggiato diverse centrali elettriche ucraine, causando blackout in particolare nelle regioni di Dnipro e di Kharkiv. Cioè quelle, per capirci, che la Russia tenta di fiaccare e forse invadere per vincere la guerra. In particolare l’oblast si Kharkiv (Kharkov per i russi) è stato messo in ginocchio dal recente massiccio attacco russo, lasciando circa 275mila persone ancora senza elettricità nell’omonimo capoluogo. Lo stesso Vladimir Putin ha espresso l’intenzione di voler creare una “zona cuscinetto” che allontani i raid di Kiev dalla regione di Belgorod. Nella notte del 29 marzo, poi, l’esercito russo ha lanciato 99 “bombe” contro le strutture energetiche nemiche: 60 droni, 3 missili aerobalistici X-47M2 Kinzhal, 2 missili balistici Iskander-M, 9 missili aerei guidati X-59, 4 missili da crociera Iskander-K, 21 missili da crociera X-101-X-555. Il ministero dell’Energia ucraino ha reso noto che “le centrali termiche e idroelettriche nelle regioni centrali e occidentali sono state gravemente danneggiate“. Anche la centrale nucleare di Zaporizhzhia è tornata nel mirino di Mosca.
L’Ucraina non è restata però a guardare. E ha attaccato con un drone la raffineria di petrolio russa di Kuibyshev, nella regione di Samara vicino alla città di Novokuibyshevsk, provocando esplosioni e un incendio. Si tratta soltanto dell’ultimo di una lunga serie di episodi analoghi che vanno avanti da mesi, nell’ambito di una campagna militare strategica. In precedenza sono stati infatti colpiti gli stabilimenti Kinef di Kirishi, Slavneft a Jaroslav (sul Volga), l’impianto di Rosneft a Saratov, Gazprom ad Astrakhan e i depositi a Nizhny Novgorod, Kstovo, Orjol, Ryazan, Polotnjany, Volgograd, Syzran e altri. Molte strutture sono state danneggiate solo lievemente e hanno continuato a funzionare. Kiev ha colpito i siti petroliferi russi entro un raggio di circa mille chilometri in territorio nemico, spingendosi dunque molto più in là rispetto alle sortite più frequenti nelle aree immediatamente al di là del confine (oblast di Belgorod e Kursk). Le sortite ucraine sono effettuate sempre tramite droni di ultima generazione, alcuni dei quali sviluppati in loco grazie all’essenziale supporto dei partner occidentali.
L’obiettivo di questi attacchi è privare il Cremlino del carburante necessario ad alimentare i propri mezzi in guerra. Bisogna tuttavia sottolineare che la tattica ucraina non influisce più di tanto sul mercato, in quanto la Russia esporta soprattutto greggio, cioè petrolio non raffinato e non immediatamente pronto per diventare carburante. Se però si dovessero spingere a colpire a 1.200-1.500 chilometri in terra russa, i droni ucraini minaccerebbero seriamente anche l’economia europea oltre a quella della Russia. Mosca ha infatti deciso bloccare la vendita di benzina ai Paesi europei, Italia compresa, da marzo ad agosto. Con ovvie conseguenze anche sul prezzo del gasolio, che viaggia non lontano dai livelli record del 2022.
Gli Usa chiedono a Kiev di non colpire siti petroliferi russi
Gli Stati Uniti hanno chiesto all’Ucraina di fermare gli attacchi alle infrastrutture energetiche russe, ammonendo sul fatto che gli attacchi lanciati con i droni rischiano di far salire il prezzo del petrolio e di provocare ritorsioni. A riferirlo è il Financial Times, che cita tre fonti informate sul dossier. Secondo queste, “i ripetuti avvertimenti di Washington” sono stati fatti arrivare ad alti funzionari del Servizio di sicurezza ucraino (Sbu), e alla sua Direzione dell’intelligence militare (Gru). Una fonte ha riportato al quotidiano che “la Casa Bianca è sempre più frustrata dagli attacchi sfrontati ucraini con droni che hanno colpito raffinerie di petrolio, terminal, depositi e impianti di stoccaggio in tutta la Russia occidentale, danneggiando la sua capacità di produzione di petrolio”. Uno dei maggiori timori degli Usa è che Mosca possa reagire attaccando le infrastrutture energetiche su cui fa affidamento l’Occidente.
Il governo Zelensky, da parte sua, ha risposto alle indiscrezioni pubblicate dal Financial Times affermando che le raffinerie russe sono “obiettivi militari legittimi”. Secondo la vicepremier ucraina Olha Stefanishyna, il Paese sta “raggiungendo i suoi obiettivi” con “operazioni di grande successo” condotte in territorio russo. “Comprendiamo gli appelli dei nostri partner americani”, ha detto Stefanishyna parlando al Kyiv Security Forum. “Allo stesso tempo, stiamo però combattendo con le capacità, le risorse e le pratiche di cui discutiamo oggi”. Secondo il ministero della Difesa britannico, “i recenti raid alle raffinerie hanno probabilmente distrutto almeno il 10% della capacità russa di raffinazione del petrolio“. Per Londra è poi assai improbabile che la Russia sarà in grado di proteggere tutte queste strutture, date le dimensioni e la portata della sua industria energetica, nonostante l’annuncio di Putin di voler schierare i sistemi di difesa aerea Pantsir a protezione degli impianti petroliferi. Con gli attacchi oltre il confine, il governo di Zelensky cerca in tutti i modi quei risultati che al fronte non si possono raggiungere.
Come sta andando la guerra in Ucraina
A 25 mesi dall’invasione su vasta scala, la guerra in Ucraina potrebbe essere insomma giunta a un bivio decisivo. E i prossimi mesi saranno importanti in un senso o nell’altro. La Russia ostenta fiducia sugli sviluppi bellici, come sottolineato dal ministro della Difesa Sergei Shoigu nel corso di una riunione con i generali: “Oltre 71mila soldati ucraini sono stati eliminati quest’anno“, con “il nemico costretto ad arretrare continuamente dalle proprie posizioni”. Le forze di Kiev, sul campo, rispondono senza risparmiarsi, continuando a colpire in territorio russo anche contro infrastrutture civili. Raid che Putin non è disposto a tollerare. “Abbiamo i nostri piani al riguardo e procederemo”, ha assicurato il capo del Cremlino, ancora più rafforzato dal plebiscito elettorale.
I movimenti sul terreno lasciano intravedere una nuova possibilità per i russi. Mentre il fango di fine inverno lascia il posto al terreno asciutto della primavera, gli analisti hanno già osservato l’arrivo di nuove truppe ai confini, come accadde prima del 24 febbraio di due anni fa. Il tutto mentre le difficoltà ucraine appaiono sempre più evidenti. A Kiev non sono contenti dell’atteggiamento occidentale. Volodymyr Zelensky chiede agli Stati Uniti i missili a lungo raggio Atacms per colpire aeroporti e aerei in Crimea, vero ago della bilancia del conflitto. Ma gli Usa e la “loro” Ue in piena campagna elettorale (in Europa si voterà all’inizio di giugno per l’Europarlamento) sembrano distratti agli occhi degli ucraini. A Washington il braccio di ferro tra Repubblicani e Democratici sugli aiuti militari a Kiev è in pieno stallo e le truppe ucraine sul terreno lo sanno molto bene, guardando i magazzini di munizioni sempre più vuoti. In Europa le sensibilità diverse fra i 27 Stati membri sono evidenti e la costruzione di una vera identità di Difesa europea fa fatica a procedere speditamente. Eppure questo sarebbe il momento giusto e decisivo per un vero colpo di reni da parte dell’Europa, orfana degli idrocarburi russi quanto dei commerci sicuri con la Cina. E quasi lasciata da sola nel cortile di casa dagli stanchi Stati Uniti, sempre più convinti di lasciare ai Pil dei Paesi Ue l’onere di sostenere l’Ucraina e il contenimento europeo della minaccia russa. Joe Biden lo ha già chiarito più volte: l’Europa deve fare di più. Il come, però, è ancora tutto da definire.
Ciò che è certo è che l’unica speranza per l’Ucraina, che sconta la netta inferiorità di uomini e mezzi, è che gli alleati occidentali accelerino nei loro aiuti militari. Secondo il ministro Mykhailo Fedorov, Kiev sarebbe in grado di produrre 2 milioni di droni all’anno, il doppio rispetto a oggi, con un sostegno finanziario aggiuntivo da parte degli Stati Uniti e di altri governi occidentali, ma anche di privati. Nel frattempo, da Bruxelles è arrivata la notizia che la Commissione Ue ha erogato i primi 4,5 miliardi di euro dello “Strumento per l’Ucraina” da 50 miliardi complessivi. Per tenere alta l’attenzione dei partner, Zelensky continua a tessere la sua tela diplomatica. Il leader ucraino ha ricevuto ad esempio la ministra della Difesa olandese Kajsa Ollongren, a cui ha mostrato la “devastazione” prodotta dai russi a Dnipro. L’attenzione di Kiev si è rivolta anche verso un altro importante attore mondiale, l’India, che non hai preso una parte netta a favore di uno dei due sfidanti. Ma che, ovviamente, è un partner di ferro della Russia, soprattutto per quanto riguarda l’energia e il traffico di armi. Il premier indiano Narendra Modi, dopo aver chiamato Putin per congratularsi della rielezione, ha tuttavia sentito anche Zelensky. Offrendo sostegno, secondo la versione riferita da Kiev, alla “sovranità ucraina”. La verità, come sempre, sta nel mezzo. E in quel mezzo, oggi, infuria ancora la battaglia.