Strage di Mosca, chi sono gli attentatori: cosa ci fa l’Isis-K in Russia e cosa farà Putin

L'attentato al teatro Crocus ha sconvolto il mondo e rischia di scuoterlo con un'escalation di violenza. Cosa succederà adesso e perché Putin è convinto che c'entri l'Ucraina

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Oddio, e ora cosa farà Vladimir Putin? Dopo l’orrore (che non passa) delle oltre 140 vittime della strage al teatro Crocus di Mosca, una parte del mondo si è fatta la stessa domanda. L’attentato è stato rivendicato formalmente dall’Isis-K, non proprio lo Stato Islamico che abbiamo – ahinoi – imparato a conoscere in più di un’occasione, ma il presidente russo sembra non avere dubbi sull’effettiva responsabilità: dietro l’attacco c’è lo zampino dell’Ucraina.

Molti osservatori segnalano che lo “zar” non aspettava altro che un espediente del genere per mobilitare più soldati e sferrare l’offensiva decisiva contro il Paese invaso a febbraio 2022. O, peggio, per attaccare l’Europa. Il 7 marzo l’ambasciata americana a Mosca aveva addirittura avvertito della possibilità di un attentato “entro 48 ore”. L’intelligence del Cremlino aveva però bollato l’informazione come “propaganda occidentale”, affermando che i dettagli “erano di natura generale e non specifici”. Il gruppo di assalitori ci ha messo due settimane, ma alla fine ha colpito compiendo il più grave attentato terroristico subìto dalla Russia almeno negli ultimi 20 anni. E adesso? Cosa succederà?

Chi sono gli attentatori, perché hanno colpito e cosa è successo

La ricostruzione delle modalità e del perché i quattro terroristi hanno colpito al cuore Mosca è il risultato di informazioni di intelligence, agenzie russe come Ria Novosti e nostre fonti locali. Le immagini dei volti insanguinati degli assalitori, con passaporto del Tagikistan, catturati dalle forze russe hanno fatto il giro del mondo. Uno di loro ha 19 anni. Il Paese ex sovietico si è però affrettato a precisare la propria estraneità, comunicando che i responsabili “non hanno nazionalità né religione”. Dopo una fuga durata un’intera notte a bordo di un’auto bianca, i quattro sono stati raggiunti nella regione di Bryansk. La loro vettura si era ribaltata nel distretto di Navlinsky, al 376esimo chilometro dell’autostrada che conduce a Kiev, a un centinaio di chilometri dal confine con l’Ucraina. Secondo Putin e l’intelligence russa, volevano rifugiarsi proprio nel Paese invaso, sfruttando una “finestra” aperta appositamente dal governo Zelensky. Oltre ai passaporti, all’interno dell’auto sono stati trovati una pistola e un caricatore per un fucile d’assalto AK-74. Lo stesso immortalato nelle tragiche immagini della strage, con moltissimi utenti Telegram a segnalare che il modo di caricare le armi verso l’alto era “occidentale”. Il riferimento è ai fucili d’assalto AKM, sui quali in tanti aggiungono: “Sono quasi sicuramente ucraini addestrati dalla Nato”. Il sentimento comune dei russi sta ribollendo e potrebbero fornire l’assist a Putin per un’escalation davvero pericolosa.

Nella mattina di sabato, le forze russe hanno diffuso su Telegram anche i video degli interrogatori ai quattro tagiki. Il primo, catturato dopo un disperato tentativo di nascondersi su un albero, ha ammesso di essere arrivato in Russia dalla Turchia il 4 marzo e che i mandanti gli avevano promesso 500mila rubli per l’attacco a Mosca. Come lui, anche gli aggressori hanno ricevuto 250mila rubli come anticipo, le armi e anche le indicazioni sull’obiettivo e sull’ora. Il piano concordato via Telegram avrebbe poi previsto la fuga in territorio ucraino. Parlando con lo staff dell’hotel a Okruzhnaya (Mosca), dove soggiornavano i terroristi, si è inoltre scoperta la mediazione di un parrucchiere 19enne di Ivanovo, Muhammadsobir Fayzov, che parlava il russo ovviamente meglio dei suoi “amici”. Secondo il proprietario dell’hotel, gli “ospiti dal Tagikistan” hanno fatto il check-in all’inizio di marzo, “si sono comportati bene, non hanno creato litigi e sono stati sempre educati e gentili”. Il fatto che parlassero molto male il russo (o fingessero) ha richiesto l’intervento di un interprete.

Dopo aver parlato anche con gli altri arrestati, è stato confermato il movente per denaro, ma anche il legame comune a una figura oscura, colui che li ha arruolati per l’attentato. Lo chiamano “il Predicatore Misterioso”, una possibile prova dell’appartenenza dei quattro ad ambienti estremisti e radicalizzati. Una persona “senza nome né cognome” li ha contattati su Telegram, definendosi “l’assistente del Predicatore”. Uno dei catturati ha poi riferito di aver ascoltato le sue “lezioni” e i suoi “sermoni”. Lo stesso “assistente del Predicatore” ha fornito personalmente le coordinate del luogo dell’attacco, mentre gli organizzatori materiali hanno fornito le armi, e cioè fucili d’assalto. Sono stati poi stabiliti i termini logistici: i terroristi avrebbero dovuto convivere insieme in un ostello nel nord di Mosca, come effettivamente hanno fatto. Hanno dichiarato di non conoscersi prima di incontrarsi in Russia, dove hanno aspettato più di due settimane prima di compiere la strage. L’auto che li ha trasportati fino al Teatro Crocus, luogo della tragedia, e con la quale hanno cercato di scappare è stata acquistata da un basista che si è proposto come accompagnatore, dopo l’interazione con vari canali di reclutamento, sempre per denaro. Lo avevano ribattezzato “Abdullo Taxi”.

Cos’è l’Isis-K e cosa ci fa in Russia

Nonostante il Cremlino insista sulla falsità della pista islamista, citando a mo’ di prova la grafica dismessa con cui l’Isis-K ha annunciato il proprio coinvolgimento, l’attentato di Mosca è stato rivendicato ben due volte dall’organizzazione fondamentalista. Con la formula Isis-K si indica lo Stato Islamico del Khorasan (indicato anche come ISKP o Provincia del Khorasan dello Stato Islamico), una sorta di derivazione dell’Isis di Iraq e Siria decisamente più celebre, al quale è tra l’altro legato economicamente. Terribile inclinazione alla violenza che cozza con il simbolismo del nome: Khorasan vuol dire infatti “là dove nasce il sole”, cioè nell’Asia Centrale che si staglia a Est della Persia, dalle parti del Mar Caspio. Grande avversario dei Talebani, il gruppo islamista sunnita raccoglie le proprie reclute pescando proprio in Afghanistan, tra i gruppi di etnia iranica Pashtun, ma anche in Pakistan. E si oppone all’organizzazione al potere in Afghanistan innanzitutto sul piano ideologico, allargando la propria missione fondamentalista oltre i confini del Paese e offrendosi di fatto come ottima sponda per gli altri nemici dei Talebani. Parliamo dunque sia di tribù e clan afghani esclusi dal potere locale, sia di “scontenti esterni” come ad esempio i ceceni che non vogliono sottostare al leader Ramzan Kadyrov. La propaganda di respiro universalistico è, in sostanza, quella di richiamare sotto la bandiera dell’Isis-K qualunque musulmano voglia “combattere davvero gli infedeli” in ogni luogo del pianeta.

L’Isis-K ha più di un motivo per essere in lotta contro la Russia. Solo a settembre 2022 il movimento aveva rivendicato un attentato suicida all’ambasciata russa a Kabul, in cui rimasero uccise tre persone e furono ferite altre dieci. Sono dunque almeno due anni che la formazione fondamentalista del Khorasan ha inserito la Federazione nella propria lista dei bersagli. Perché, a suo dire, il governo di Putin ha “le mani sporche di sangue musulmano”, riferendosi agli interventi militari russi in Afghanistan, Cecenia e Siria. Il gruppo si è reso protagonista anche di altre stragi, come l’attentato del 2021 all’aeroporto di Kabul, in cui morirono 170 civili e 13 militari statunitensi, e l’attacco di gennaio presso la tomba del generale Qassem Soleimani a Kerman, in Iran, dove le vittime furono 84.

A inizio marzo 2024, l’intelligence interna russa (Fsb) aveva riferito di aver “neutralizzato” una cellula dell’Isis-K che avrebbe pianificato un attacco contro una sinagoga di Mosca. Una delle “gravi colpe” della Russia, agli occhi dei fondamentalisti del Khorasan, riguarda il sostegno militare fornito dal 2015 al regime del presidente siriano Bashar al-Assad, dove Mosca è intervenuta proprio per combattere lo Stato Islamico. Non solo: come accennato, la “vendetta” islamista si sarebbe scatenata anche per le guerre della Russia contro i separatisti ceceni, a maggioranza musulmani. Nel 2018, ad esempio, l’Isis rivendicò una serie di attentati contro le forze di sicurezza russe stanziate in loco. L’ultimo tassello è dato dai legami che Mosca intrattiene coi Talebani, acerrimi nemici dell’Isis-K.

Le mosse di Putin: cosa succederà dopo la strage di Mosca?

Si è preso quasi 20 ore per parlare alla nazione e non ha ceduto alla reazione a caldo. Ma alla fine Putin ha parlato di ciò che è successo e di ciò che forse è successo. Di sicuro non ha mai nominato lo Stato Islamico del Khorasan, concentrandosi invece sul tentativo dei terroristi arrestati di sconfinare in Ucraina. Secondo il presidente russo, Kiev avrebbe accolto i quattro assassini per offrire loro rifugio garantendo una “finestra” di salvataggio. I servizi segreti russi sostengono addirittura che “falsi predicatori” islamici si nascondano tra le fila dell’intelligence militare ucraina, e che in questo modo abbiano attirato e istruito gli esecutori della strage. “Chiunque è dietro l’attentato di Mosca sarà punito”, ha affermato riproponendo l’ormai consueto paragone tra nazisti e ucraini. Zelensky, da parte sua, respinge con fermezza le accuse di coinvolgimento, ribattendo che “i veri terroristi sono i russi”. In un altro passaggio del suo discorso, Putin ha sottolineato che il terrorismo è un male che “non ha nazionalità” e che tutta la comunità internazionale deve cooperare con la Russia per combatterlo. “Contiamo sulla collaborazione con tutti i Paesi che condividono sinceramente il nostro dolore e sono pronti a condividere gli sforzi per combattere il nemico comune, il terrorismo internazionale e tutte le sue manifestazioni”.

Di fatto, però, la strage di Mosca potrebbe essere utilizzata dal Cremlino con ogni probabilità per perseguire tre obiettivi principali:

  • compattare la stragrande maggioranza della popolazione russa in un sentimento di rivalsa contro i nemici che vogliono annientare la loro nazione;
  • dare un impulso alla guerra in Ucraina, magari tramite una nuova mobilitazione, nonostante l’inopportunità oggettiva di sfondare il fronte ucraino, che sta declinando in difensivo;
  • agitare la tragedia subita per riaccreditarsi agli occhi dell’Occidente (che ha risposto unito nella condanna dell’attentato) e spalancare il portone dei negoziati, che gli stessi americani auspicano e definiscono possibile.

Una delle preoccupazioni più pressanti riguarda una possibile ripercussione nel Caucaso, con i due territori separatisti georgiani di Abkhazia e Ossezia del Sud pronti a far esplodere la reazione russa. Si aprirà un altro fronte di guerra?