“Zhendui xing junshì xingdong”. Quattro parole cinesi quasi impronunciabili per noi “occidentali”, ma la cui traduzione risulta sinistramente familiare: “operazioni militari mirate”, parente letterale della “operazione militare speciale” annunciata e condotta dalla Russia in Ucraina. Qualcosa di più di semplici esercitazioni militari, come Pechino ha invece definito gli interventi (anche a fuoco vivo) in sei aree intorno all’isola in risposta alla visita di Nancy Pelosi a Taipei.
Ma la Cina ha davvero intenzione di invadere Taiwan? Senza dubbio la tensione fra Pechino e Washington ha raggiunto livelli pericolosi negli ultimi giorni, riportando alla memoria condizioni e iniziative già viste nelle altre cinque Crisi dello Stretto di Formosa registrate tra il 1954 e il 2021. Mai la Repubblica Popolare ha però osato sbarcare militarmente sull’ex isola di Formosa. Ma il rischio e soprattutto il timore che stavolta sia tutto diverso sono però sempre più alti. Vediamo dove e come la Cina potrebbe attaccare Taiwan, dando vita a un’escalation dello scontro diretto con gli Stati Uniti.
Taiwan non è l’Ucraina
Riprendendo le parole dell’analista geopolitico Phillip Orchard, Taiwan non è l’Ucraina. A prima vista la situazione dei Paesi appare molto simile: entrambi territori strategicamente cruciali, la cui sovranità nazionale e territoriale è messa in discussione da un impero confinante, col quale condivide aspetti culturali ed etnici ma dal quale prende le distanze in favore dell’Occidente a guida statunitense. Eppure non potrebbero essere più diverse.
Per cominciare, Taiwan appare come una fortezza naturale inespugnabile a chiunque provi a invaderla via mare. A differenza dell’Ucraina, geograficamente e storicamente terra di invasioni da parte di eserciti stranieri che sono entrati come lame nel burro nella piana sarmatica, senza trovare ostacoli orografici (dell’importanza per la Russia dell’estero vicino ucraino abbiamo parlato qui). Estesa su una superficie di circa 36mila chilometri (una volta e mezzo la Sardegna, per intenderci), Taiwan presenta solo due aeree pianamente pianeggianti: la più estesa (450 chilometri circa) è sul lato occidentale, prospicente alla Repubblica Popolare Cinese, e va dalla capitale Taipei fino quasi all’estremo sud dell’isola; l’altra, molto meno estesa (30 chilometri), si snoda sul lato nord-orientale nella hisien (“contea”) di Yilan. Le difese dell’ex isola di Formosa scoraggerebbero qualunque aspirante conquistatore, grazie a un mix di fattori geografici e militari:
- le acque troppo poco profonde (in media 70 metri) impediscono un’azione su vasta scala dei sottomarini cinesi, soprattutto nella parte occidentale, nelle quali i taiwanesi possono posizionare migliaia di mine;
- il potenziamento dell’esercito “di casa” grazie a un aumento del budget militare di ulteriori 8,6 miliardi di dollari a inizio 2022;
- la presenza di fortificazioni e di basi aeree e navali nei pressi dei principali porti e aeroporti e dei grandi centri geopolitici;
- la dotazione taiwanese di centinaia di aerei, sistemi antiaereo e antinave di ultima generazione, fra cui i missili Harpoon a lunga gittata, impiegabili sia da bordo che da batterie costiere e la cui portata permette di coprire tutta l’area dello stretto.
L’isola è inserita inoltre in un fronte, quello indo-pacifico, ben più strategico per gli Stati Uniti rispetto ai teatri europei (della situazione di estrema tensione abbiamo parlato anche qui). Una “portaerei inaffondabile”, un “porcospino” militare. La Cina ne è consapevole e tenta di stringere la presa sul Mar Cinese Meridionale, in un’area marittima tra le più contese al mondo. Il coinvolgimento “laterale” degli Usa in Ucraina, con l’invio di armi e addestratori sul campo, non ha nulla a che vedere con quello “diretto” che invece assumerebbero per difendere l’Isola Bella da un eventuale attacco dalla Cina continentale. Coinvolgimento che si è dipanato, soprattutto negli ultimi anni, anche con il sostegno al riarmo di Taipei, che ha potenziato arsenale e tattica per scoraggiare ed eventualmente respingere l’esercito della Repubblica Popolare.
Dove e come potrebbe attaccare la Cina
Le operazioni militari di Pechino sono percepite dalle autorità di Taiwan come prove di un blocco navale e aereo, preludio a un rischioso sbarco anfibio. L’incursione dei caccia cinesi nella zona d’identificazione per la difesa aerea taiwanese, registrata anche ad aprile 2021 per citare solo un altro esempio, è solo un episodio delle cosiddette esercitazioni annunciate da Pechino dal 4 al 7 agosto. Secondo gli analisti, la Cina non arriverà a invadere in forze Taiwan. Ma nel caso dovesse accadere, i continentali dovrebbero fare i conti con una costa taiwanese protetta da scogliere alte tra i 300 e i 600 metri. Un ostacolo non indifferente per un attacco anfibio, che verosimilmente si concentrerebbe su appena il 10% della costa, nella Pianura di Chianan o nella striscia compresa tra la città di Tainan e il porto di Kaohsiung, il maggiore dell’isola per il trasporto container. La maggior parte dei potenziali punti di sbarco si trovano però nei dintorni della capitale Taipei, sparsi sull’area pianeggiante citata in precedenza.
Per completare con successo l’invasione dell’isola, lo Stato Maggiore cinese dovrebbe far imbarcare il grosso delle sue forze e attraversare in circa 8 ore un tratto di mare sotto la minaccia (leggi: certezza) della potenza di fuoco taiwanese. La Cina è però in grado di far piovere dal cielo una innumerevole quantità di missili, lanciandoli da una distanza di “soli” 180 chilometri.
La risposta cinese va però già oltre la guerra convenzionale. Oltre alle esercitazioni militari, Pechino ha inasprito la propaganda anti-americana accusando Washington di “tradimento e schizofrenia”, visto che apparentemente l’organo legislativo (il Congresso, rappresentato da Nancy Pelosi) non si muove di concerto con l’esecutivo (rappresentato dal presidente Biden). Non solo: il governo di Xi Jinping ha annunciato lo stop all’importazione di oltre 2mila prodotti alimentari dell’isola e della sabbia naturale impiegata per le costruzioni e per lo sviluppo di microchip (ecco perché una guerra Cina-Taiwan ci costerebbe cara). Senza contare i cyberattacchi condotti contro i siti governativi taiwanesi, probabilmente proprio a opera della Cina.
Eserciti a confronto
Tornando al (potenziale) campo di battaglia, il confronto fra l’Esercito Popolare di Liberazione cinese e le truppe a difesa dell’isola evidenzia una disparità impressionante. Il primo conta oltre un milione di soldati di terra, contro gli 88mila effettivi di Taiwan. Sono ben 412mila i fanti cinesi dispiegati nelle loro basi di fronte allo Stretto, membri del Comando Orientale e Meridionale. Proporzioni che riflettono quelle ben più “larghe” in riferimento alla popolazione dei due Stati: quasi 1,4 miliardi per la Cina e “appena” 23,5 milioni di Taiwan.
Dalle forze terrestri a quelle navali, la situazione non cambia. Incrociando i dati forniti nel 2019 dal Pentagono e dagli Annuari Statistici della Repubblica Popolare Cinese e di Taiwan, Pechino schiera 2 portaerei, 23 unità cacciatorpediniere, 37 fregate, 39 corvette, 16 unità anfibie, 35 mezzi da sbarco, 34 sottomarini (diesel e nucleari da sbarco), 68 pattugliatori costieri. I velivoli militari sono invece 1.360. Dall’altra parte, Taiwan in mare dispone di 4 cacciatorpediniere, 22 fregate, 12 unità anfibie, 4 mezzi da sbarco, 2 sottomarini diesel e 44 pattugliatori costieri. Per quanto riguarda le forze aeree, Taiwan conta 680 velivoli militari. Washington e Taipei temono addirittura che le cifre ufficiali sovrastimino di molto la reale forza dell’esercito taiwanese. Il grosso dei riservisti, ad esempio, riceve un addestramento modesto e la prontezza al combattimento è considerata alquanto bassa.