Russia, dall’Ucraina all’Africa: che fine ha fatto il Gruppo Wagner?

Dopo la morte di Prigozhin, nell'agosto 2023, la grande fortuna della Wagner è mutata rapidamente. Viaggio nella galassia delle compagnie militari e paramilitari private che combattono per la Russia nel mondo

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

La legge è come il timone, va dove la giri. Si dice che i proverbi non sbaglino mai, e questo vecchio proverbio russo fa sicuramente la sua parte. “Il fine giustifica i mezzi”, disse qualcun altro svariati chilometri più a sud di Mosca. Il succo è lo stesso: il potere piega il diritto a suo uso e consumo.

Tutto questo per dire che in Russia, nonostante tutte le difficoltà e le tensioni, comanda ancora (e fermamente) Vladimir Putin. Assieme e accanto alla sua rete di siloviki, apparati e oligarchi, s’intende. Anche in campo militare, con tanto di guerra in Ucraina in corso. Dalla morte del fondatore e leader Yevgeny Prigozhin, il Gruppo Wagner è uscito dai radar di media e analisi. Ma non dal mirino dell’intelligence occidentale, che ne ha seguito i passi per valutarne struttura e ruolo alla luce dei profondi sconvolgimenti che hanno investito sia la compagnia paramilitare privata sia il Cremlino. Ecco tutto, ma proprio tutto quello che c’è da sapere sulla Wagner, sulla presenza della Russia nei vari teatri di guerra e sulle compagnie private che operano per Mosca nel mondo.

Fenomenologia del Gruppo Wagner

Quella della Wagner è una rivoluzione in senso letterale – dal latino revolvere, voltare di nuovo, cioè compiere un giro a 360 gradi per tornare al punto di partenza ma, come postulava Hegel, “arricchiti” dall’esperienza. Il Gruppo Wagner parte dallo Stato, lo tradisce e lo ritrova. La milizia privata non è infatti stata sempre in confitto con l’esercito. Anzi, è nata proprio da un progetto condiviso tra intelligence militare e vertici della Difesa, attivata nel 2014 con l’invasione della Crimea e poi nel conflitto per il Donbass.

Una costola paramilitare come altre, inizialmente senza lo strapotere mediatico e operativo che abbiamo imparato a conoscere nell’ultimo anno e mezzo. La figura di Prigozhin a capo della Brigata si afferma con la campagna russa in Siria. Ed è in questo momento che la leadership straripante dello “chef di Putin” comincia a entrare in contrasto coi vertici della Difesa e del Cremlino. Secondo molti ex miliziani, il momento clou di queste tensioni fu dopo la terribile battaglia di Palmira, vinta dai wagneriti in nome della Federazione Russa. Dopo i complimenti da parte di Putin, si sarebbero scatenate le invidie dei vertici dell’esercito regolare. Da lì, la Wagner ha visto un taglio consistente degli approvvigionamenti, soprattutto di armi. In un audio reso pubblico nel 2018, un combattente Wagner parlò di oltre 200 compagni morti sotto i colpi di forze speciali americane nella provincia petrolifera siriana di Dayr az-Zawr. Dapprima si pensò che l’avesse diffuso il Cremlino per accusare il Pentagono, ma poi venne fuori che un mercenario aveva denunciato il tradimento da parte dell’esercito. Russi contro russi.

Oltre alla Siria e al Nagorno-Karabakh e forse al Libano, la Wagner è tuttora presente e attiva in molte aree dell’Africa. Innanzitutto in Libia, precisamente in Cirenaica, dove è stata confinata dai turchi e da Tripoli dopo una cruenta battaglia che ha di fatto confermato la divisione del Paese in due sfere di influenza. In Repubblica Democratica del Congo e Repubblica Centrafricana, dove il controllo wagnerita anche in campo socio-economico è fortissimo, soprattutto nella gestione dei traffici di armi ed esseri umani. Ma anche in Zimbabwe, in Mozambico, in Madagascar, in Angola e, come ha evidenziato il golpe in Niger, anche nel Sahel e nell’Africa subsahariana: Guinea, Mali, Burkina Faso.

La rivolta fallita di Prigozhin e il declino wagnerita

La sovraesposizione mediatica, soprattutto social, e la cosiddetta “fabbrica dei troll” – che veicolava fino a pochi mesi fake news e propaganda spinta – ha fatto accrescere fama e autorevolezza militare della Wagner dentro e fuori la Russia. Un’ascesa che pareva inscalfibile, fino al fallimento della rivolta ordita da Prigozhin contro il Cremlino. Nei caotici mesi successivi, la Wagner ha interrotto il reclutamento e si è vista smantellare la base militare principale nel sud della Russia, per poi trasferirsi in parte in Bielorussia per addestrare le truppe locali. Il Gruppo è stato inoltre costretto dal ministero della Difesa a consegnare migliaia di tonnellate di armi. La macchia più grave riguarda però lo status: “traditore”, con l’accusa di aver venduto informazioni a Zelensky e anche per aver sconfessato le motivazioni ufficiali dell’invasione dell’Ucraina, secondo Prigozhin padre voluta soltanto “dal clan oligarchico” che comanda in Russia. “Nel febbraio 2022 in Donbass nulla era cambiato rispetto agli anni precedenti e l’Ucraina non voleva aggredire la Russia assieme alla Nato”, secondo il defunto capo della Wagner. “Non c’era alcuna minaccia imminente. La guerra serviva a far trionfare e promuovere un gruppo di inetti affliati al ministro Shoigu, tremante vecchietto che continua a mentire al presidente”.

La morte di Prigozhin sembra aver spianato la strada al raggiungimento del grande obiettivo interno del Cremlino: nazionalizzare la compagnia Wagner. Tagliata la testa, il serpente sembra aver perso il veleno. La ribellione della compagnia paramilitare, culminata con la mai avvenuta marcia su Mosca, ha segnato un momento spartiacque per la leadership di Putin e della postura della Russia nella guerra d’Ucraina e nelle sue missioni nel resto del mondo. Il danno inferto alla Federazione Russa è parso subito irreparabile, al pari delle crepe provocate nel sistema di potere putiniano. La carta pressoché bianca concessa alla Wagner nel corso degli anni e su praticamente tutti i teatri di intervento militare russo, hanno regalato alla compagnia di mercenari un potere militare autonomo. Il messaggio dato al mondo è stato chiaro: il Cremlino non ha il monopolio della forza russa, ma lo divide con un soggetto privato che però percepisce fior fiore di fondi pubblici, oltre a finanziarsi con bottini e saccheggi.

Wagner, i miliardi e l’alleanza con Putin: qui avevamo svelato tutti i “segreti” di Prigozhin.

La nuova faccia (e il nuovo erede) della Wagner

Tutto questo sta però per cambiare. Anzi, è in gran parte già cambiato. Alcune settimane dopo la morte di Prigozhin, Putin incontrò Andrei Troshev, ex comandante senior della Wagner, per discutere di come i mercenari (diciamolo una volta per tutte: brutta parola per indicare i meglio definiti “contractor”) avrebbero potuto essere impiegate in Ucraina. Durante quell’incontro Troshev firmò un contratto con il ministero della Difesa. Da lì in poi è cambiato tutto. Una delle grandi destinazioni dei wagneriti è l’esercito regolare. Ma non è la sola.

Secondo l’intelligence britannica, infatti, molti mercenari della Wagner sono stati trasferiti e registrati nell’organico della Rosgvardia, ossia la Guardia nazionale russa. Si tratta di un corpo militare istituito nel 2016, indipendente dalle altre Forze armate e che risponde direttamente al “comandante in capo”, cioè al presidente della Federazione. E cioè a Putin, che ne dispone vita e morte. Una specie di guardia imperiale, come al tempo degli zar, che ha anche funzioni antiterrorismo, di controllo dell’ordine pubblico, di “difesa dell’integrità russa” e di supervisione sulle società private di sicurezza, vale a dire le “piccole Wagner” che assistono imprese e oligarchi. Nella Rosgvardia confluiscono sia le odierne “truppe interne”, cioè le forze di sicurezza responsabili per calamità e grandi rischi, sia i corpi d’élite della polizia. E ora, per l’appunto, anche i miliziani Wagner, che vengono reclutati principlamente per essere (re)impiagati in Ucraina.

Un cambiamento fondamentale, ma non totale. Perché la Wagner continua a mantenere, almeno sulla carta, una certa autonomia anche se inglobata all’interno della Difesa russa. Stessi simboli, stessa bandiera, stesso appeal. E proprio a proposito di gerarchia, è interessante ricordare chi ha raccolto l’eredità di Yevgeny Prigozhin alla guida del Gruppo paramilitare. Come nella più classica dei potentati, il potere è passato al figlio del defunto “signore della guerra”: Pavel Prigozhin. Secondo alcuni analisti si tratta di una scatola vuota, senza volontà di assicurare una qualche continuità a una compagnia paramilitare ormai spogliata del valore originario. Lo Stato russo ne ha mantenuto intatti il simbolismo e la fama, cruciali per attirare nuove reclute.

Che fine farà Putin dopo la guerra? Abbiamo provato a rispondere qui.

Agli ordini di Putin: la nuova Guardia nazionale russa

In nome di una riorganizzazione “all’insegna dell’efficienza”, Putin ha quindi “soffiato” la Guardia nazionale al controllo del ministero dell’Interno di Vladimir Kolokoltsev, probabilmente offrendo affari di platino a oligarchi e siloviki nell’ambito dell’economia di guerra. Alla guida della Rosgvardia è stato confermato Viktor Zolotov, fedelissimo di Putin e che sarà anche membro permanente del Consiglio di sicurezza, ottenendo praticamente rango e retribuzione di un ministro. E forse anche qualcosa di più.

Al di là della propaganda, l’intento del presidente russo è evidente: centralizzare il potere militare per tenerlo sotto stretto controllo ed evitare sovrapposizioni potenzialmente pericolose, costituendo di fatto un esercito personale. Putin ha insomma imparato la “lezione Prigozhin”, ma non è il solo: nelle stanze del Cremlino c’è chi teme fortemente una svolta autoritaria da parte di un Putin che sembrava con le spalle al muro fino a poco tempo fa, fiaccato da una guerra da vincere subito e dalla più grande minaccia (Prigozhin) al regime in 23 anni di putinismo. Col portavoce Dmitri Peskov che si è affrettato a precisare che la riforma militare non c’entrava nulla con le elezioni presidenziali del 2018. Excusatio non petita accusatio manifesta, verrebbe da dire.

Secondo Pavel Felgenghauet, esperto militare e analista per Novaya Gazeta, fin dall’inizio la lotta al terrorismo “non c’entrava nulla. Lo scopo era istituire un esercito per combattere il popolo russo quando fra un anno o due ci saranno problemi in piazza, visto le condizioni economiche sempre peggiori del Paese. Nel 2011 si è visto che il sistema attuale non funzionava, perché le truppe interne sono composte da ragazzi giovani, poco vigorosi, e i corpi di élite, richiamati da ogni parte della Russia, avevano addestramenti diversi: ora invece il Cremlino avrà a disposizione dei pretoriani”.

Dai detenuti al reclutamento via meme: un report esclusivo sulla guerra “sporca” di Putin.

Da Redut a Don e Bars: le altre compagnie “si dividono” la Wagner

Dicevamo che chi ha il potere decide tutto, in special modo in Russia. Un’altra prova di questo è fornita dall’aggiramento sistematico della legge russa, che in pura teoria vieterebbe l’esistenza di “eserciti privati”. Questi ultimi erano però indispensabili per intervenire in maniera “poco ortodossa” e slegata dal Cremlino nei vari teatri di guerra russi, dall’Ucraina all’Africa e al Medio Oriente. Nonostante le spinte di Putin, la riforma sulla regolamentazione (leggasi: nazionalizzazione) delle compagnie paramilitari è stata sempre bloccata da chi voleva mantenere “segreti”, e quindi molto più ricchi, gli affari di guerra e dallo stesso esercito, determinato a mantenere il suo ruolo supremo nella Difesa nazionale. Un decreto diretto del presidente russo firmato il 25 agosto 2023, tuttavia, ha uniformato le modalità di reclutamento nelle varie compagnie: vige infatti l’obbligo, per tutti e tutte, di prestare giuramento di fedeltà allo Stato e all’ordine costituzionale.

Non tutti gli oltre 25mila wagneriti saranno però inglobati nella Rosgvardia. Quasi tutti i medici della compagnia, ad esempio, passeranno a servire nelle forze speciali cecene di Akhmat, come riferito dal leader militare Ramzan Kadyrov (ne avevamo parlato anche qui). Una parte consistente si sarebbe invece spostata in Redut, compagnia militare privata fondata nel 2008 da forze speciali russe e coordinata dal servizio d’intelligence Gru (Glavnoe razvedyvatel’noe upravlenie). Il Cremlino avrebbe “devoluto” proprio a quest’ultima parte del potere e dell’influenza che erano in precedenza della Wagner. La prima volta che i media ne parlarono fu però il 2019, specificando che il quartier generale era stabilito a Kubinka, nella regione di Mosca.

Risultato: mentre si faceva finta che non ci fossero o non fossero finanziate dallo Stato, le compagnie militari e paramilitari private sono proliferate in Russia e sono tuttora attive su molteplici fronti interni ed esteri. Molte di queste formazioni sono spesso legate a gruppi industriali o ad apparati militari e della sicurezza, emanazione diretta (ma celata) degli uomini più influenti di Russia. Oltre alla Wagner, si va dalla Bars all’Unione dei volontari del Donbass, passando per Don e la già citata Redut.

Redut

La Redut conta attualmente circa 7mila membri e non è inquadrata nell’organigramma della Difesa russa come la Wagner. Non gode infatti della stessa autonomia della compagnia di Prigozhin, ma deve anzi obbedienza ai servizi d’intelligence del Gru e al ministero della Difesa. L’oligarca che la finanzia è Gennady Timchenko, uomo forte vicino a Putin. Per arruolarsi i canali sono gli stessi delle altre formazioni private: gruppi segreti, accessibili su invito personale, sui social e su Telegram.

Per quanto riguarda le operazioni sul campo, invece, le somiglianze con la Wagner sono totali: militari Redut sono presenti e attivi in Africa, Ucraina e Medio Oriente. Proprio nel Continente Nero, la Redut si starebbe sostituendo alla Wagner, “rubandole” aree di influenza e controllo soprattutto nel Sahel o “trascinandola” sotto il comando diretto del Gru. In passato pare che la compagnia fosse stata impegnata nella protezione di strutture di aziende russe in zone calde, in particolare degli impianti in Siria della Stroytransgaz JSC, società di costruzioni nei campi petrolifero e del gas già appartenente alla Gazprom.

Bars

La Bars rappresenta un caso a sé, in quanto rappresenta una forza militare di riserva. Implementata della Difesa russa nel 2015, opera sul campo in collegamento con altre formazioni paramilitari. Dossier di intelligence e di “pentiti” del Cremlino legano la formazione a Gazprom. Stando ad alcuni documenti del Pentagono, il colosso energetico russo avrebbe chiesto al ministero della Difesa un aiuto per bonificare dalle mine una vasta zona nel Lugansk, dove si dovrebbero costruire nuovi gasdotti. Uno dei tanti compiti assolti dalla Bars, appunto.

Don

La Don è invece conosciuta come la Brigata dei volontari cosacchi, legata a doppio filo col ministero della Difesa russo. Il capo indiscusso è Nikolay Dyakonov, ataman (comandante) dei cosacchi, che come il defunto Prigozhin “ci mette la faccia” (e la propaganda) sempre sui social, chiamando i suoi seguaci ad arruolarsi.

Unione dei volontari del Donbass

Sul valore simbolico del Donbass per i nazionalisti russi non diremo nulla, vista l’eloquenza drammatica portata da un conflitto ormai decennale. L’Unione dei volontari del Donbass prende forma attorno alla figura del suo leader: Alexander Boroday, deputato della Duma ed ex premier dell’autoproclamata Repubblica popolare del Donetsk. Una divisione formata da tre battaglioni con base a Kadamovsky, nella regione di Rostov, dove si esercitano anche alcuni reparti della riserva dell’esercito statale.