La Nato guarda a Est e cambia missione: dall’Atlantico all’Indo-Pacifico

Mentre ci avviciniamo al vertice Nato di Washington, assistiamo all'ultima fase di modifica della missione atlantista. Dall'iniziale difesa da un attacco russo alla postura orientalista, fino allo sguardo a Sud

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Pubblicato: 7 Luglio 2024 02:31

Il titolo è volutamente provocatorio. La Nato è sorta in funzione anti-sovietica e fino a oggi ha avuto senso di esistere soltanto in ottica anti-russa. È il braccio armato degli Stati Uniti in Europa, sovrapponibile a quello politico dell’Unione europea, che tiene uniti nel timore di Mosca i variegati e divisi Paesi del Vecchio Continente.

Dopo averla modificata già nel 1991, col crollo dell’Urss, l’Alleanza Atlantica sembra intenzionata a cambiare nuovamente missione, adattandola al mutato contesto geopolitico internazionale. La Russia, involuzione di potenza del grande nemico sovietico durante la Guerra Fredda, non è più l’unico avversario degli Usa. Il più grande e temibile è la Cina. Naturale dunque che lo sguardo della Nato si sposti nell’Estremo Oriente.

L’importanza dell’Estremo Oriente per la “nuova” Nato

La Nato vuole rafforzare la cooperazione con Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda. Parola di Jens Stoltenberg, intervistato dal quotidiano giapponese Yomiuri. Il segretario atlantista ha rivelato che l’Alleanza punta a siglare un accordo con i quattro Paesi in occasione del prossimo vertice in programma a Washington il 9 luglio. Le aree di cooperazione interessate dall’intesa, ha spiegato Stoltenberg, potrebbero essere il controllo delle armi, lo sviluppo tecnologico e le misure legate agli attacchi cibernetici, alla luce delle minacce alla sicurezza poste dalla Cina.

La Nato “non considera la Cina un avversario, ma la Repubblica Popolare sfida i nostri valori, i nostri interessi e la nostra sicurezza”, ha dichiarato il segretario generale uscente, aggiungendo che la prima potenza asiatica è “una minaccia per Taiwan, i Paesi vicini e il Mar Cinese Meridionale”. E sottolineando che proprio il rafforzamento della rete di cooperazione nell’Asia-Pacifico sarà inserita tra le priorità del vertice di Washington, assieme al sostegno all’Ucraina e al rafforzamento della deterrenza della Nato.

Il che non vuol dire che andrà ripensata la dottrina nucleare del blocco atlantista. Stoltenberg si è affannato a ripeterlo fino al parossismo: “Non esiste una minaccia immediata agli Stati membri”. Nonostante a giugno Vladimir Putin abbia imboccato la strada ostinata e contraria, affermando che la Russia potrebbe apportare modifiche alla propria strategia nucleare nel contesto delle discussioni in Occidente sulla possibilità di abbassare la soglia per l’uso delle armi atomiche. Il responsabile della comunicazione del Pentagono, il generale Pat Ryder, ha confermato da parte sua che Washington non vede alcuna ragione per apportare modifiche alla sua dottrina nucleare. Dove Washington, ovviamente, è inteso come sinonimo di Nato.

Dall’Europa a Taiwan, dall’Atlantico all’Indo-Pacifico

Il nuovo corso della Nato dopo la nomina di Mark Rutte, come successore di Stoltenberg, porterà senza dubbio novità ancora inespressa nello schieramento a guida americana. Dopo aver spostato il baricentro europeo verso Est, centrandolo su Polonia e Paesi Baltici a discapito della Germania, l’Alleanza tradisce una vocazione molto più orientalistica. Guardando all’Indo-Pacifico, il quadrante del pianeta più strategico e importante per gli Stati Uniti. Il cui attuale fulcro è Taiwan, primo inespugnabile avamposto occidentale che impedisce alla Cina di guadagnare il mare aperto e di proiettarsi nell’Oceano. Per imporsi Pechino non può fermarsi alla sola Taiwan, ma sconfiggere Usa e alleati in altre due catene di isole, fino all’Australia. Un’impresa impossibile allo stato attuale, considerando lo strapotere statunitense sui mari e il controllo dei colli di bottiglia globali (i cosiddetti choke point o stretti, da Suez a Malacca) che costituisce di fatto la globalizzazione.

Nell’area indo-pacifica in realtà esiste già un organismo multilaterale di sicurezza in funzione anti-cinese: è il cosiddetto Quad (Quadrilateral Security Dialogue), il Dialogo quadrilaterale di sicurezza che include Australia, Giappone e India, oltre agli egemoni Stati Uniti. Tutte province americane, di fatto, tranne una: l’India, grande potenza nucleare che però gioca fuori dagli schemi di Occidente contro Oriente. Un po’ perché non ha la forza e la stabilità interna per diventare superpotenza, un po’ perché è naturale avversaria della vicina e temibile Cina. Un’alleanza di comodo, dunque, come quella che Dehli ha stretto anche col suddetto nemico cinese, nel variegato e sfuggente acronimo di Brics. Equilibrismo diplomatico talmente esasperato da risultare auspicabile per tutti gli attori coinvolti.

Nel frattempo in Europa orientale la minaccia di una potenziale invasione russa è presa sul serio. Dalla Finlandia, fresca di adesione alla Nato, alle Repubbliche Baltiche e alla Polonia, il ricordo della dominazione sovietica è decisamente vivo. Varsavia, in particolare, ha messo in atto un massiccio programma di riarmo e si è imposta come punta di lancia nel supporto all’Ucraina perché vuole distruggere Mosca. È un suo proposito strategico, che però cozza con quello americano di evitare che una Russia sconfitta diventi facile preda della Cina. Il tutto in un momento storico in cui gli Usa sono attraversati da crisi e tensioni interne, dai disordini popolari alla stanchezza imperiale sublimata nel meno pregnante scontro tra Joe Biden e Donald Trump per la prossima presidenza.

L’accusa e la minaccia della Corea del Nord

Più che un cambio di traiettoria dall’interno, la nuova postura orientalistica della Nato è una percezione dei suoi avversari. In primis la Corea del Nord, che ha denunciato le ultime esercitazioni militari congiunte tra Corea del Sud, Giappone e Stati Uniti definendole “la versione asiatica della Nato”. Mettendo l’Occidente in guardia da “conseguenze fatali”. A fine giugno i tre alleati hanno completato le manovre militari di tre giorni chiamate “Freedom Edge”, nel Mar Cinese orientale.

Nelle operazioni sono state coinvolte unità della Marina, aerei da combattimento e la portaerei statunitense a propulsione nucleare Theodore Roosevelt. L’obiettivo rafforzare le difese contro missili, sottomarini e attacchi aerei. Si tratta di esercitazioni escogitate in occasione del vertice dei leader dei tre Paesi tenuto a Camp David lo scorso anno, allo scopo di consolidare la cooperazione militare nel contesto delle tensioni nella penisola coreana derivanti dai test sulle armi della Corea del Nord. Seul, tra l’altro, ha dichiarato che valuterà la possibilità di fornire armi direttamente all’Ucraina, in segno di protesta contro il patto di mutua difesa firmato a Pyongyang dal leader nordcoreano Kim Jong-un e dal presidente russo Vladimir Putin.

La Corea del Sud e gli Stati Uniti hanno accusato il Nord di fornire armi a Mosca utilizzate nella guerra all’Ucraina, addebiti negati sia da Mosca sia da Pyongyang. Sabato, il Partito dei Lavoratori ha tenuto un incontro importate presieduto da Kim che ha affrontato le “deviazioni” che ostacolano lo sviluppo economico e ha delineato i focus per la seconda metà dell’anno, nel resoconto dei media nordcoreani, fornendo sviluppi che potrebbero includere il maggiore sostegno economico russo. La Corea del Nord ha sempre condannato le esercitazioni congiunte tra Usa e Corea del Sud, come prova generale di invasione ai suoi danni e la prova delle politiche ostili dei due Paesi.

Secondo l’Italia, la Nato guarda a Sud

Il vertice Nato di Washington è segnato dall’ingresso di un alleato fresco fresco, la Svezia, e rilancia una duplice missione dell’Alleanza: quella consueta a livello globale e un’altra propendente verso il Sud, con la nomina di un Rappresentante speciale del Segretario generale. Per l’Italia al summit (in programma dal 9 all’11 luglio) parteciperà la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, insieme ai ministri Antonio Tajani e Guido Crosetto. La ricorrenza del 75esimo anniversario della firma del Trattato del Nord Atlantico, sottolineano fonti italiane, nelle attuali circostanze geopolitiche non costituisce una mera “occasione celebrativa”, ma al contrario una “preziosa opportunità, dall’alto valore simbolico, per riaffermare compattezza, unità politica e determinazione degli alleati”.

Ecco, questa è pura retorica. Nonostante le dichiarazioni cui ci hanno abituato, l’atlantismo non è qualcosa che si può rinnovare o ribadire se si è una provincia o Paese satellite, che dir si voglia. Non si entra in una sfera d’influenza, quella statunitense in questo caso, per scelta. Ci si entra perché lo decide la potenza egemone. Certamente con il conflitto in Ucraina, si pone in termini nuovi l’attuazione della missione della Nato, che le fonti italiane bollano come “prettamente difensiva”. Per il nostro Paese, il necessario rafforzamento deve essere perseguito avendo in mente sia la globalità delle sfide, secondo l’approccio a 360 gradi previsto dal Concetto Strategico approvato nel 2022 a Madrid, sia la “necessaria collaborazione” tra Nato e Unione europea. Il vertice americano costituirà anche un’occasione per rilanciare i partenariati esterni dell’Alleanza, cioè le sue relazioni e i rapporti di collaborazione più o meno strutturati, con oltre 30 Paesi del Nord Africa, del Golfo Persico, dell’Europa orientale, dell’Asia Centrale e dell’Indo-Pacifico. Confermando dunque come la parte orientale sia avvertita come dossier preponderante.

Cos’è la Nato e quando e perché è stata fondata

La Nato è l’acronimo di North Atlantic Treaty Organization. Attualmente formata da 32 Stati membri, di cui 30 europei e due nordamericani (i promotori Usa e il Canada), è stata istituita subito dopo la Seconda guerra mondiale tramite il pluricitato Patto Atlantico, firmato a Washington il 4 aprile 1949 ed entrato in vigore il 24 agosto successivo. Con la vittoria decisa e imposta dagli Stati Uniti, il Vecchio Continente è diventato galassia di Paesi satelliti americani, minacciata però dall’unica altra superpotenza mondiale: l’Unione Sovietica. Per garantire la sicurezza collettiva del blocco occidentale, la Nato riprese e rilanciò l’antico schema dei trattati di mutuo soccorso in caso di attacco subìto da uno qualunque degli Stati membri. Si tratta del principio espresso nell’ormai celeberrimo articolo 5 del Patto Atlantico, che prevede l’intervento armato in aiuto della nazione aggredita e sancisce la difesa collettiva. In parole povere: se un Paese Nato viene attaccato, gli alleati hanno il dovere di intervenire con tutti i loro mezzi a disposizione, compresi quelli militari.

Tra il dire e il fare però, si sa, c’è di mezzo il mare. In questo caso, l’Oceano Atlantico. Il diritto, specie quello internazionale, è soltanto uno strumento declinato e interpretato dalle potenze a seconda dei casi. Come abbiamo tristemente visto nella guerra di Gaza. Con il crollo del gigante sovietico, l’Alleanza è rimasta in vigore e ha ampliato i suoi teatri e ambiti di intervento, lanciando operazioni militari nei Balcani, in Medio Oriente, in Asia meridionale e in Africa. Rendendosi inoltre protagonista dell’ormai celeberrimo allargamento verso Est, ai danni della giovane Federazione Russa, che è alla base dello scoppio della guerra in Ucraina.

Qual è la missione della Nato

Come si può intuire, circoscrivere la missione della Nato non è più impresa così semplice. Secondo lo storico Luciano Canfora, non è stato il processo di unificazione comunitaria a unire davvero i variegati Paesi europei, quanto la creazione dell’Alleanza Atlantica. Anche se, oggi, l’Europa dovrebbe affrancarsi dalla Nato per avvicinarsi più a Russia e Africa. Buona fortuna, insomma. Sicuramente la fine della guerra mondiale e la garanzia di non vederne più è stata determinata dall’invenzione (e dal lancio) della bomba atomica. Al tramonto della Guerra Fredda c’è stata poi sicuramente la celebre promessa verbale di George Bush padre e James Baker a Mikhail Gorbaciov. Il presidente sovietico acconsentiva all’unificazione della Germania e addirittura di una sua adesione alla Nato, in cambio però della garanzia – mai messa nero su bianco – che le forze atlantiste non si sarebbero spostate di un “centimetro verso Est” (“one inch to the East“). Dove Est non era certo il territorio dei Paesi Baltici e della Polonia, all’epoca saldamente sovietici, ma quello della Germania Est.

Promessa mai mantenuta, com’è noto. Quasi subito la Nato traboccò nella Germania orientale. L’allargamento atlantista arrivò poi progressivamente al confine della Federazione Russa, dalla presidenza di Bill Clinton a quella di George W. Bush e Barack Obama. Ancora impegnata nel suo slancio verso l’Occidente, prima della chiusura e della virata a Est del 2012, la Russia di Putin lasciò correre. Fino alla seduzione dell’Ucraina e della Georgia, entrambe vertebre intoccabili per la profondità difensiva dell’ex Urss. La reazione aggressiva di Mosca alla volontà di estendere Nato e Ue (entità sovrapponibili per i non occidentali) ha riportato in auge l’antica missione del Patto Atlantico: la protezione da un potenziale attacco russo. Nel 1991 la Russia però non faceva più paura quasi a nessuno. Ed è allora che la missione della Nato si modificò, ponendosi come obiettivo la difesa del sistema energetico mondiale. Tradotto: il controllo delle rotte marittime e del trasporto di gas e petrolio. In altre parole: il dominio dei mari globali. In altri termini ancora: la globalizzazione a guida americana.

La Nato si è offerta sempre più come il braccio armato degli Stati Uniti, del quale rappresentava la forza di intervento in qualunque teatro di crisi del pianeta. Come è emerso tragicamente in Serbia e Kosovo sul finire degli Anni Novanta. Con la modifica della missione, è cambiata la propaganda. L’Alleanza ha iniziato a giustificare ogni suo intervento in nome di quella Responsibility to Protect (RtoP, “dovere di proteggere”). Piegando il diritto internazionale a sostegno dei propri interventi militari. Adesso la missione della Nato sta nuovamente modificando il suo assetto operativo e narrativo. Verso Est, verso Sud o verso entrambi.