La Cina circonda Taiwan: prove generali per la guerra con gli Usa?

Le esercitazioni militari cinesi intorno a Taiwan fanno salire ancora una volta la tensione con gli Usa, che proteggono l'isola per impedire a Pechino di uscire in mare aperto. Si rischia la guerra?

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Una maxi esercitazione di più giorni annunciata, ma non per questo meno preoccupante. La Cina ha circondato Taiwan con decine di navi da guerra e aerei, facendo spirare venti di guerra nello Stretto e aumentando ancora una volta la tensione con gli Stati Uniti. Stati Uniti che non riconoscono l’indipendenza dell’isola, ma la difendono con ingente dispiegamento di navi e mezzi e fornitura di armi.

Almeno quattro imbarcazioni di Pechino sono entrate nelle acque territoriali – che territoriali non sono, ma definite “limitate” dalle autorità di Taipei – di due isole taiwanesi molto prossime alla costa cinese. Si tratta dell’ottava volta che le navi della guardia costiera cinese entrano nelle acque soggette a restrizioni.

Perché la Cina ha lanciato l’esercitazione contro Taiwan?

Le forze cinesi si sono avvicinate da tutti i lati, chiudendo di fatto l’ex Isola di Formosa in un’area circolare e rendendola un potenziale bersaglio di attacco militare. Il portavoce militare cinese Li Xi ha affermato che le navi della marina e la sua aviazione “si concentreranno sul pattugliamento congiunto di prontezza al combattimento, sulla presa congiunta del controllo globale del campo di battaglia e su attacchi congiunti di precisione su obiettivi chiave”. Il ministero della Difesa cinese ha poi accusato Lai di spingere l’isola verso la “guerra”, mettendo “seriamente in dubbio il principio di una sola Cina e cercando di ricorrere alla forza anche con l’aiuto di Paesi stranieri per ottenere l’indipendenza. Ogni volta che le spinte indipendentiste di Taiwan ci provocheranno, spingeremo le nostre contromisure un ulteriore passo avanti, fino a raggiungere la completa riunificazione della madrepatria”. Nelle prime 24 ore dell’esercitazione, denominata “Joint Sword 2024a” (“Spada congiunta”, letteralmente, perché coinvolge diversi settori delle Forze armate), Taiwan ha rintracciato 19 navi della Marina cinese e 49 aerei da guerra, di cui 35 hanno sorvolato la soglia mediana dello Stretto di Taiwan, il confine de facto tra le due parti. Per risposta, l’isola ha allertato le navi della Marina e della guardia costiera, le unità missilistiche aeree e terrestri, in particolare intorno alle catene di isole di Kinmen e Matsu controllate da Taipei, situate appena al largo della costa cinese.

Ma perché Pechino ha deciso di lanciare le esercitazioni militari proprio adesso? La mossa appare come la reazione “punitiva” all’insediamento della nuova leadership dell’isola e al discorso di inaugurazione del nuovo presidente Lai Ching-te (meglio noto come William Lai), secondo il quale Taiwan è “una nazione sovrana e indipendente in cui la sovranità è nelle mani del popolo”. Auspicando negoziati e “la via della pace”, con l’interruzione delle “intimidazioni e minacce militari” da parte della Cina. Quest’ultima, da parte sua, ha denunciato Lai come un “pericoloso separatista”, ribadendo il suo proposito strategico di riportare l’isola sotto il governo di Pechino entro il 2049, centenario della fondazione della Repubblica Popolare. Se necessario anche con la forza. Bisogna però precisare che le operazioni erano state pianificate ben prima del discorso di Lai, del quale tuttavia anticipava i contenuti. Il più scabroso dei quali, agli occhi della leadership di Xi Jinping, è stato quello di porsi sullo stesso piano della potenza asiatica, affermando che Taipei “non agisce in funzione subordinata a Pechino”. E il titolo autoassegnato di “Repubblica di Cina”, seppur non ufficialmente indipendente,

Un altro obiettivo della Cina è però quello di mostrare i muscoli agli Usa, che con le loro navi impediscono a Pechino di guadagnare il mare aperto, perfino nei suoi tratti rivieraschi. Parte del grande disegno cinese, ma anche russo e iraniano, di spezzare la globalizzazione americana e, dunque, l’egemonia marittima di Washington. In questo senso, la maxi esercitazione di due giorni si inserisce nell’alveo dello sforzo di Pechino di superare la potenza navale statunitense, in una corsa civile e militare che si articola in decine di porti e cantieri.

Per la Cina è strategicamente impensabile riconoscere l’indipendenza di Taiwan, perché comprometterebbe la sovranità e la narrazione nazionali col riconoscimento di “un’altra Cina” e di un altro modello di Paese alternativo alla leadership comunista (il Partito coincide con lo Stato). Più che per il primato mondiale dei semiconduttori, Taiwan è al centro della contesa tra Pechino e Washington soprattutto perché si trova sulla cosiddetta “prima catena di isole” controllata dagli Usa per impedire la proiezione cinese nell’Indo-Pacifico.

La Cina sta per invadere Taiwan?

Nonostante il clamore e la propaganda, l’intento della Cina non è quello di invadere Taiwan. Almeno non ora. L’obiettivo è dissuadere Taipei da propositi indipendentisti, mostrando la superiorità militare che Pechino è capace di scatenare con rapidità. A giudicare dal programma della Difesa cinese, e dalla “a” alla fine dell’intestazione “Joint Sword 2024a”, l’esercitazione odierna sembra infatti la prima tappa di una lunga serie di esercitazioni future. Di fatto, però, le attuali manovre militari dello Stretto di Formosa sono più brevi delle precedenti e, a differenza delle esercitazioni condotte nel 2023, non prevedono neanche test di fuoco vivo.

Oltre al piano di invasione, che ci costerebbe cara, la Repubblica Popolare ha sul tavolo anche la tattica dell’embargo, decisamente più percorribile di uno sbarco anfibio su un’isola ben difesa e con pochissimi approdi. Anche questa ipotesi, tuttavia, comporterebbe un’escalation definitiva con gli Stati Uniti – che la Cina non è ancora in grado di sostenere – perché colpirebbe la catena dei trasporti marittimi globali, coinvolgendo a cascata decine di Paesi. Secondo gli analisti, se venissero bloccati i flussi commerciali da Taiwan l’economia mondiale potrebbe contrarsi anche del 5%. L’esercitazione “Spada congiunta 2024” punterebbe proprio alla simulazione di un blocco navale (e aereo) per impedire l’arrivo di aiuti americani a Taipei, oltre che migliorare il coordinamento tra i vari reperti dell’esercito e della Marina cinesi. Dal punto di vista tattico niente di nuovo, come dimostra l’estrema somiglianza con l’accerchiamento (con esercitazioni a fuoco vivo) compiuto nel 2022 in concomitanza con la visita a Taipei dell’allora Speaker della Camera statunitense Nancy Pelosi.

La tattica cinese vuole insomma mantenere alta la pressione su leadership e popolazione di Taiwan, paventando un attacco micidiale che potrebbe arrivare in qualsiasi momento. Non solo militare, ma anche politico ed economico. In questo senso Pechino potrebbe raggiungere il suo scopo di riunificazione dell’isola senza sparare un colpo, ma portando sempre di più i cittadini taiwanesi verso di sé e contro il governo attuale dell’isola, fortemente contrario al ricongiungimento con la potenza continentale. Dall’altro lato, le continue minacce militari potrebbero produrre l’effetto contrario e cementare l’identità nazionale taiwanese attorno alla resistenza al potenziale invasore.

Taiwan non è l’Ucraina

Riprendendo le parole dell’analista geopolitico Phillip Orchard, Taiwan non è l’Ucraina. A prima vista la situazione dei Paesi appare molto simile: entrambi territori strategicamente cruciali, la cui sovranità nazionale e territoriale è messa in discussione da un impero confinante, col quale condivide aspetti culturali ed etnici ma dal quale prende le distanze in favore dell’Occidente a guida statunitense. Eppure non potrebbero essere più diverse.

Per cominciare, Taiwan appare come una fortezza naturale inespugnabile a chiunque provi a invaderla via mare. A differenza dell’Ucraina, geograficamente e storicamente terra di invasioni da parte di eserciti stranieri che sono entrati come lame nel burro nella piana sarmatica, senza trovare ostacoli orografici (dell’importanza per la Russia dell’estero vicino ucraino abbiamo parlato qui). Estesa su una superficie di circa 36mila chilometri (una volta e mezzo la Sardegna, per intenderci), Taiwan presenta solo due aeree pianamente pianeggianti: la più estesa (450 chilometri circa) è sul lato occidentale, prospicente alla Repubblica Popolare Cinese, e va dalla capitale Taipei fino quasi all’estremo sud dell’isola; l’altra, molto meno estesa (30 chilometri), si snoda sul lato nord-orientale nella hisien (“contea”) di Yilan. Le difese dell’ex isola di Formosa scoraggerebbero qualunque aspirante conquistatore, grazie a un mix di fattori geografici e militari:

  • le acque troppo poco profonde (in media 70 metri) impediscono un’azione su vasta scala dei sottomarini cinesi, soprattutto nella parte occidentale, nelle quali i taiwanesi possono posizionare migliaia di mine;
  • il potenziamento dell’esercito “di casa” grazie a un aumento del budget militare di ulteriori 8,6 miliardi di dollari a inizio 2022;
  • la presenza di fortificazioni e di basi aeree e navali nei pressi dei principali porti e aeroporti e dei grandi centri geopolitici;
  • la dotazione taiwanese di centinaia di aereisistemi antiaereo e antinave di ultima generazione, fra cui i missili Harpoon a lunga gittata, impiegabili sia da bordo che da batterie costiere e la cui portata permette di coprire tutta l’area dello stretto.

L’isola è inserita inoltre in un fronte, quello indo-pacifico, ben più strategico per gli Stati Uniti rispetto ai teatri europei. Una “portaerei inaffondabile”, un “porcospino” militare. La Cina ne è consapevole e tenta di stringere la presa sul Mar Cinese Meridionale, in un’area marittima tra le più contese al mondo. Il coinvolgimento “laterale” degli Usa in Ucraina, con l’invio di armi e addestratori sul campo, non ha nulla a che vedere con quello “diretto” che invece assumerebbero per difendere l’Isola Bella da un eventuale attacco dalla Cina continentale. Coinvolgimento che si è dipanato, soprattutto negli ultimi anni, anche con il sostegno al riarmo di Taipei, che ha potenziato arsenale e tattica per scoraggiare ed eventualmente respingere l’esercito della Repubblica Popolare.

Dove e come potrebbe attaccare la Cina

Le operazioni militari di Pechino sono percepite dalle autorità di Taiwan come prove di un blocco navale e aereo, preludio a un rischioso sbarco anfibio. L’incursione dei caccia cinesi nella zona d’identificazione per la difesa aerea taiwanese, registrata anche ad aprile 2021 per citare solo un altro esempio, è solo un episodio delle cosiddette esercitazioni annunciate da Pechino dal 4 al 7 agosto. Secondo gli analisti, la Cina non arriverà a invadere in forze Taiwan. Ma nel caso dovesse accadere, i continentali dovrebbero fare i conti con una costa taiwanese protetta da scogliere alte tra i 300 e i 600 metri. Un ostacolo non indifferente per un attacco anfibio, che verosimilmente si concentrerebbe su appena il 10% della costa, nella Pianura di Chianan o nella striscia compresa tra la città di Tainan e il porto di Kaohsiung, il maggiore dell’isola per il trasporto container. La maggior parte dei potenziali punti di sbarco si trovano però nei dintorni della capitale Taipei, sparsi sull’area pianeggiante citata in precedenza.

Per completare con successo l’invasione dell’isola, lo Stato Maggiore cinese dovrebbe far imbarcare il grosso delle sue forze e attraversare in circa 8 ore un tratto di mare sotto la minaccia (leggi: certezza) della potenza di fuoco taiwanese. La Cina è però in grado di far piovere dal cielo una innumerevole quantità di missili, lanciandoli da una distanza di “soli” 180 chilometri.

Eserciti a confronto

Tornando al (potenziale) campo di battaglia, il confronto fra l’Esercito Popolare di Liberazione cinese e le truppe a difesa dell’isola evidenzia una disparità impressionante. Come emerge dalla classifica mondiale delle Forze armate, il primo conta oltre un milione di soldati di terra, contro gli 88mila effettivi di Taiwan. Sono ben 412mila i fanti cinesi dispiegati nelle loro basi di fronte allo Stretto, membri del Comando Orientale e Meridionale. Proporzioni che riflettono quelle ben più “larghe” in riferimento alla popolazione dei due Stati: quasi 1,4 miliardi per la Cina e  “appena” 23,5 milioni di Taiwan.

Dalle forze terrestri a quelle navali, la situazione non cambia. Incrociando i dati forniti nel 2019 dal Pentagono e dagli Annuari Statistici della Repubblica Popolare Cinese e di Taiwan, Pechino schiera 2 portaerei, 23 unità cacciatorpediniere, 37 fregate, 39 corvette, 16 unità anfibie, 35 mezzi da sbarco, 34 sottomarini (diesel e nucleari da sbarco), 68 pattugliatori costieri. I velivoli militari sono invece 1.360. Dall’altra parte, Taiwan in mare dispone di 4 cacciatorpediniere, 22 fregate, 12 unità anfibie, 4 mezzi da sbarco, 2 sottomarini diesel e 44 pattugliatori costieri. Per quanto riguarda le forze aeree, Taiwan conta 680 velivoli militari. Washington e Taipei temono addirittura che le cifre ufficiali sovrastimino di molto la reale forza dell’esercito taiwanese. Il grosso dei riservisti, ad esempio, riceve un addestramento modesto e la prontezza al combattimento è considerata alquanto bassa.