Nato, “sì agli attacchi ucraini in Russia”: cosa c’è dietro la crociata di Stoltenberg

Il segretario della Nato, in carica fino a ottobre, chiede agli alleati di far cadere il divieto per Kiev di utilizzare le armi occidentali contro obiettivi in territorio russo. Alimentando la spaccatura interna all'Alleanza

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Mentre la Russia riversa il suo fuoco su Kharkiv per piegare la città e la resistenza ucraina, colpendo anche un megastore e provocando diverse vittime civili, dal segretario generale della Nato arriva una dichiarazione quasi di guerra a Mosca. In un’intervista al The Economist, Jens Stoltenberg ha inaugurato la sua “crociata” invitando gli alleati che forniscono armi all’Ucraina a far cadere il divieto di usarle per attaccare obiettivi militari direttamente in territorio russo.

Sarebbe una svolta decisiva del conflitto, che il Cremlino valuterebbe come intervento diretto da parte della coalizione occidentale. L’appello propagandistico di Stoltenberg non giunge a caso e soltanto parzialmente lascia il tempo che trova. Il segretario dell’Alleanza non vuole certo la guerra aperta con Mosca, ma di certo i suoi obiettivi alimentano una “questione interna” al Patto Atlantico che riguarda direttamente la sua missione antirussa.

Cosa ha detto Stoltenberg sulle armi all’Ucraina e cosa gli hanno risposto

In un momento in cui in Europa si fa più serrato e teso il dibattito sulla fornitura di armi a lungo raggio all’Ucraina, Stoltenberg fa come Emmanuel Macron e sfonda il muro dell’ambiguità strategica nei confronti della Russia. “Penso che sia giunto il momento per gli alleati di considerare se eliminare alcune delle restrizioni imposte sull’uso delle armi che hanno fornito all’Ucraina”, ha dichiarato il segretario della Nato alla rivista britannica, poche settimane dopo aver proposto un fondo da 100 miliardi di dollari per Kiev. Il messaggio è diretto in maniera non troppo velata agli Stati Uniti, che hanno vietato all’esercito ucraino di colpire il territorio russo con le armi fornite dall’Occidente. Un appello giustificato dalla pesante offensiva di Mosca su Kharkiv, città strategica sul fronte nord-orientale del Paese invaso la cui caduta cambierebbe le sorti del conflitto.

Le parole di Stoltenberg sono state immediatamente commentate con amaro sarcasmo dalla portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova: “Forse è utile che gli invitati alla presunta conferenza di pace in Svizzera sappiano dell’appello di Stoltenberg”. Reazioni fredde sono state prodotte anche da diversi Stati membri della Nato, evidenziando la già evidente frattura interna all’Alleanza tra chi vorrebbe combattere la Russia e chi no. “Noi siamo parte integrante della Nato, ma ogni decisione dev’essere presa in maniera collegiale”, ha risposto l’Italia per bocca del vicepremier Antonio Tajani. Seguito a ruota dal collega Matteo Salvini, molto più netto: “Non se ne parla nemmeno. L’Italia non è in guerra contro nessuno e non voglio che i miei figli crescano con la paura della terza guerra mondiale”. Retorica, niente di più, che però giunge in un momento di pesante offensiva russa e al contempo di una presunta apertura da parte di Vladimir Putin a un negoziato. A patto però che venga mantenuta, come base di partenza per i colloqui, l’attuale linea del fronte. Non è dato sapere se l’indiscrezione riportata da alcune fonti sia fondata. Sappiamo tuttavia che la Russia vuole certo sedersi al tavolo delle trattative, ma solo con gli Stati Uniti e solo dopo aver ottenuto il massimo vantaggio possibile sul campo di battaglia.

Gli Stati Uniti, da parte loro, starebbero davvero considerando considerando di consentire all’Ucraina l’uso delle loro armi per colpire gli invasori nel loro territorio, secondo il New York Times. I contorni del cambio di scenario si completano con l’ok del Regno Unito all’addestramento dei soldati ucraini sul proprio territorio nazionale, dai report sull’utilizzo già segnalato di armamenti occidentali per colpire obiettivi russi e da quelli che osservano la presenza di militari occidentali (non solo Nato, ma anche della Cia) nel Paese invaso per compiti operativi di addestramento e coordinamento. L’appello di Stoltenberg rilancia poi le pressanti richieste di Volodymyr Zelensky per sistemi missilistici e di difesa aerea, giunte anche a meno di 24 ore di distanza dall’ultimo pacchetto di sostegno annunciato dagli Stati Uniti. Venerdì Washington ha infatti dato notizia di una nuova fornitura di aiuti militari da 275 milioni di dollari, che include sistemi missilistici di artiglieria ad alta mobilità Himars, munizioni e proiettili di artiglieria da 155 mm e 105 mm, sistemi anticarro Javelin e AT-4, mine anticarro, veicoli tattici, armi leggere e munizioni. “I segnali delle autorità americane sono perfettamente chiari. Washington non vuole la pace in Europa. Sta facendo tutto il possibile per prolungare il conflitto e aumentare le perdite umane da parte russa e ucraina, anche tra la popolazione civile”, ha accusato l’ambasciatore russo negli Stati Uniti, Anatoly Antonov.

La frontiera orientale accende la Nato

La presenza militare della Nato nella parte orientale dell’Alleanza è una parte fondamentale del sistema della deterrenza. Se da un lato della “nuova cortina di ferro” la Russia fa volare missili ipersonici e bombarda l’Ucraina, dall’altro la Nato mostra i muscoli. Trecentomila soldati sono in massima allerta e pronti a schierarsi in Polonia, in caso di guerra, come affermato dal capo di Stato maggiore polacco Karol Dymanowski. Secondo le ultime informazioni, 100mila truppe sono già schierate nel Paese. Si tratta della cosiddetta “Response Force”, un’unità speciale multinazionale altamente addestrata e tecnologicamente avanzata, composta da contingenti terrestri, aerei, marittimi. Il nucleo principe è rappresentato dalle Forze per operazioni speciali (Sof), che la Nato può dislocare ovunque venga richiesto. Queste unità, di fatto dormienti prima dello scoppio della conflitto in Ucraina, sono diventate parte integrante della strategia difensiva condivisa anche da Finlandia e Svezia.

Questo potenziamento è cresciuto negli ultimi 10 anni, per riflettere “la nuova realtà” della sicurezza euro-atlantica dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia e, ancor di più, dopo l’invasione su vasta scala del febbraio 2022. La presenza avanzata della Nato (“Forward Presence”) comprende otto gruppi tattici multinazionali, messi a disposizione dalle nazioni quadro e da altri alleati su base volontaria (i gruppi operano di concerto con le forze di difesa nazionali e sono sempre presenti nei Paesi ospitanti). Le truppe, sotto il diretto comando degli ufficiali Nato, sono ovviamente dislocate nei Paesi che “guardano negli occhi” la Russia sul fianco europeo orientale: Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia, Ungheria, Bulgaria e Romania. In tutti questi Paesi è attiva la sorveglianza aerea, seppur con alcune differenze. In Lettonia, Polonia, Slovacchia e Romania sono ad esempio di stanza i gruppi di difesa missilistica. Dopo il 24 febbraio 2022 gli effettivi sono saliti a 40mila uomini e l’Alleanza ora è impegnata nel progetto di portare i battaglioni al livello di brigata (da mille a 5mila uomini per ogni divisione). I vertici tenuti a Madrid e Vilnius hanno modificato il quadro e l’intera postura della Nato sul fianco Est è cambiata. E a guidare questo cambiamento sono state alcune novità: mezzi preposizionati, maggiori difese aeree e in generale un nuovo concetto, il “New Force Model”, che sta rimpiazzando l’attuale Response Force.

Quando tutte le forze saranno allineate, il comandante in capo alleato (nome in codice: “Saceur“) avrà a disposizione “100mila uomini entro 10 giorni, fino a 200mila tra 10 e 30 giorni, almeno 500mila tra 30 e 180 giorni“. Non dobbiamo però immaginare una tale massa di soldati tutti schierati al confine con la Russia, perché i numeri si riferiscono all’intera area dei Paesi Nato. Sempre dopo il colpo di mano russo in Crimea, nel 2014, l’Alleanza ha introdotto un nuovo corpo per l’intervento rapido di élite (circa 6mila uomini): la Very High Readiness Joint Task Force (Vjtf), guidata nel primo anno dal Regno Unito. In seguito all’invasione russa dell’Ucraina, gli Stati Uniti hanno rafforzato inoltre la loro presenza in terra europea, con circa 90mila soldati in totale, 10mila dei quali dislocati a Camp Kościuszko, in Polonia. All’interno di questo piano comune impartito dagli Usa, si inseriscono chiaramente le tensioni interne all’Ue. La Germania, dal canto suo, non intende cedere lo scettro di guida dello spazio centrale europeo alla Polonia, grande alfiere del sostegno all’Ucraina e all’opposizione militare a un potenziale attacco russo. Anche per questo motivo, Berlino ha deciso di posizionare una brigata (5mila uomini) in Lituania, a protezione di uno dei punti più delicati dell’Alleanza: il cosiddetto Suwalki Gap (o “Corridoio di Suwalki”), che separa la Bielorussia dall’exclave russa di Kaliningrad. La cornice si completa con il recente ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato, che ha blindato la cordigliera atlantica a Nord e a Nord-Est, infrangendo una neutralità concordata (fino a ieri anche dagli Usa) sulla quale Mosca si adagiava e trasformando il Mar Baltico in un lago interno dell’Alleanza. Al momento non vi sono piani di dislocare truppe alleate nel quadrante, poiché Helsinki e Stoccolma sono ritenute “altamente capaci” da un punto di vista militare e, dunque, più che in grado di presidiare il loro spazio di competenza contro ogni minaccia da parte russa.

La questione interna alla Nato che divide Occidente ed Europa

Nell’equazione Stoltenberg non va tralasciato un fattore dirimente: il segretario generale lascerà fra pochi mesi la guida della Nato al suo successore, il 1° ottobre 2024. Fisiologica, dunque, la tendenza a tirare le somme e spingere con maggiore convinzione le idee che hanno guidato il suo segretariato. Idee che hanno in qualche modo polarizzato le teorie militari in seno all’Alleanza, sulla scia dell’invasione russa dell’Ucraina e del conseguente accrescimento della percezione del pericolo a Est. Se volessimo essere ancora più precisi, il conflitto in corso da quasi due anni e mezzo (12 se si considera anche la guerra nel Donbass) ha provocato una spaccatura netta tra Stati alleati occidentali (nella Nato “da sempre”) e orientali (ex Patto di Varsavia, cioè l’anti-Nato sovietica durante la Guerra Fredda). Tra chi, cioè, l’Unione Sovietica l’ha vista da lontano e chi invece ne ha subìto la dominazione, Paesi Baltici in primis.

La questione interna della Nato è tutta qui: Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia, assieme alla neo-atlantica Finlandia (meno la Svezia) vogliono la distruzione del loro nemico esistenziale e sono pronte alla guerra aperta alla Russia. Per loro la proposta di Stoltenberg è più che urgente, necessaria. L’invasione dell’Europa da parte di Mosca è sentita come un pericolo reale e imminente, come dimostra il pesante riarmo (soprattutto polacco) e la militarizzazione dei confini. Un atteggiamento forte, molto diverso da quello di altri Paesi orientali membri della Nato come Romania, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca, decisamente meno convinti di fare la guerra al Cremlino. Al netto delle acrobazie propagandistiche, come la sbandierata filorussa di Budapest che però ha chiesto alla Nato di mantenere un contingente militare sul proprio territorio. Per non parlare del progetto avviato in Romania della più grande base dell’Alleanza in Europa. Dall’altro lato c’è un “fronte sud-occidentale” che vede il mondo e la minaccia russa da un’altra prospettiva, puntando lo sguardo sul Mediterraneo e sulla presenza di Mosca in Africa e in Medio Oriente. Per impegnarsi sul quadrante meridionale, bisogna per forza di cose alleggerire il fronte orientale. La Russia è infatti ancora un partner importante per la fornitura di energia, oltre al fatto che gli Usa non vogliono una potenza eurasiatica sconfitta che diventerebbe facile preda di una Cina in rapida ascesa, pare anche sul piano militare.

Nato occidentale contro Nato orientale, ossia tattica del contenimento della Russia contro roll-back (volta all’aggressività difensiva). I Paesi “fondatori”, tra cui l’Italia, propendono ovviamente per quella che fu la dottrina decisa dagli Usa nei confronti dell’Unione Sovietica all’inizio della Guerra Fredda. Tuttora la maggior parte degli apparati statunitensi appare convinta che all’America non serva la vittoria, ma un nuovo contenimento della Russia. La grande distanza tra le visioni anti-russe all’interno dell’Ue è uno dei motivi che impediscono la costituzione di una Difesa comune, figurarsi dei fantomatici Stati Uniti d’Europa, e che rischiano di minare la stabilità di una Nato che vede in Mosca il nemico necessario sul quale compattare il variegato fronte comunitario.