Quando il ritardo fa rischiare il posto, nuova sentenza della Cassazione

La recente ordinanza n. 26770 della Cassazione torna sull'argomento del ritardo al lavoro, offrendo ulteriori interessanti chiarimenti

Foto di Claudio Garau

Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Pubblicato: 3 Novembre 2024 11:00

L’aver dimenticato le chiavi a casa, un’improvvisa urgenza, un motivo familiare o una banale coda nelle vie cittadine: sono soltanto alcune situazioni da cui può scaturire un ritardo al lavoro. Talvolta tutto si risolve bonariamente, con l’immediato avviso al datore di lavoro e la spiegazione del contrattempo. Ma non sempre è così.

Se è vero infatti che il singolo ritardo sul lavoro – di per sé – non rappresenta per forza una giusta causa di licenziamento, è altrettanto vero che la valutazione della proporzionalità tra la violazione di un obbligo del lavoratore e la sanzione disciplinare inflitta, spetta al datore di lavoro. E quando l’azienda opta per il licenziamento, frequentemente si espone all’impugnazione da parte del lavoratore.

Proprio quello che è successo in una vicenda recentemente decisa dalla Cassazione, avente ad oggetto il ritardo al lavoro di una guardia giurata, il licenziamento e la lite giudiziaria intercorsa tra le parti. Vediamo insieme i fatti e l’ordinanza n. 26770 della Suprema Corte, sicuramente di monito per casi simili.

Il caso e la ragione del ritardo

Un vigilantes, impegnato in attività di sicurezza presso un istituto di credito, aveva contestato in tribunale il licenziamento disciplinare inflittogli, per essersi recato a lavoro con un ritardo di circa 40 minuti.

Se in primo grado il ricorso dell’uomo era stato accolto, presso la corte d’appello c’è stato il ribaltamento della pronuncia e il rigetto della domanda del lavoratore allontanato. In particolare il giudice di secondo grado ha affermato che la precedente decisione non era condivisibile sul piano della mancanza di proporzionalità della sanzione irrogata, rispetto al comportamento della guardia giurata.

Nel testo dell’ordinanza della Cassazione si legge infatti che, secondo l’appello, il datore di lavoro ha invece:

Fornito idonea prova della sussistenza di una grave violazione da parte del lavoratore dell’obbligo di diligenza e delle regole di correttezza e buona fede di cui agli articoli 1175 e 1375 c.c.

Inoltre i fatti di causa erano pacifici, posto che il lavoratore non ha negato di:

  • aver ricevuto il messaggio sms con la modifica dei turni;
  • non averlo letto attentamente (la seconda variazione dei turni);
  • aver avuto perciò contezza del turno, che ha generato la disputa, soltanto a seguito della chiamata della centrale operativa.

La guardia giurata è così arrivata con un ritardo di circa 40 minuti sul luogo di svolgimento del servizio di vigilanza fissa, esponendo la banca a rischi sul piano della sicurezza di beni e persone.

L’entità della violazione

Vista la specificità del servizio di vigilanza svolto – e la necessità di una presenza puntuale e costante sul luogo di lavoro – per la corte d’appello non era assolutamente condivisibile l’affermazione del tribunale secondo cui la mancanza contestata era di lieve entità.

Nell’ordinanza della Cassazione, che richiama il precedente ragionamento del giudice d’appello, si può infatti leggere che:

La disattenzione del lavoratore, nella lettura della comunicazione delle variazioni di turno, integrava un inadempimento di significativa gravità essendo rimasto l’istituto di credito committente privo del servizio di vigilanza fissa per oltre 40 minuti, con il conseguente rischio di possibili azioni criminose nell’intervallo di tempo in cui l’attività bancaria era svolta in assenza di un valido presidio di controllo. La fattispecie andava quindi considerata come condotta negligente grave.

Non solo. Sul giudizio sfavorevole per il lavoratore, nella sentenza della corte d’appello erano pesati anche i vari precedenti disciplinari che lo riguardavano, tutti puniti con sanzioni conservative. Alla pronuncia che indicava la legittimità del licenziamento in tronco e senza preavviso, è seguito così il ricorso per Cassazione da parte dell’uomo.

La decisione della Suprema Corte

Il vigilantes aveva contestato il recesso ritenendolo non tempestivo rispetto ai fatti, sproporzionato rispetto al ritardo e aveva affermato la non corretta applicazione del contratto collettivo di settore, che non prevedeva il licenziamento per ritardi di lieve entità.

Il ragionamento della Corte di Cassazione ha percorso binari completamente diversi. Infatti i giudici di Piazza Cavour hanno confermato la correttezza della decisione d’appello e rimarcato la grave negligenza del lavoratore. L’inadempimento, ossia il ritardo di ben 40 minuti, ha esposto l’istituto di credito ad un significativo danno potenziale.

In particolare la Cassazione ha ritenuto corretta la motivazione dei giudici di merito, i quali hanno affermato che:

La sussistenza di una condotta del lavoratore inequivocabilmente negligente, l’inadeguatezza delle giustificazioni rese, la scarsa consapevolezza dei rischi correlati ai servizi di vigilanza da prestare in favore della committenza e la presenza di svariati precedenti disciplinari, erano tutte circostanze che rendevano l’episodio di gravità tale da potersi ritenere interrotto in modo irreparabile il nesso fiduciario posto alla base del rapporto di lavoro.

Il rilievo della giusta causa

Inoltre il licenziamento non era da ritenersi sproporzionato rispetto alla disciplina del Ccnl, che non includeva il licenziamento per ritardi al di sotto dell’ora. Per la Cassazione, infatti, la giusta causa non deve necessariamente aderire alle previsioni del contratto collettivo. Infatti in tema di licenziamento disciplinare, l’elencazione delle cause di recesso contenuta nella contrattazione collettiva non è da ritenersi vincolante:

Potendo il catalogo delle ipotesi di giusta causa e di giustificato motivo essere esteso, in relazione a condotte comunque rispondenti al modello di giusta causa o giustificato motivo.

Anzi:

Ne consegue che il giudice non può limitarsi a verificare se il fatto addebitato sia riconducibile ad una previsione contrattuale, essendo comunque tenuto a valutare in concreto la condotta addebitata e la proporzionalità della sanzione.

In sintesi, anche se il contratto collettivo non prevede espressamente il ritardo (di lieve entità) come giusta causa di licenziamento, il magistrato potrà comunque valutare liberamente la sua gravità e le sue conseguenze.

Che cosa cambia

Il provvedimento è di monito per tutti coloro che svolgono attività di vigilanza nell’interesse delle banche, perché fa luce su obblighi non sempre evidentissimi. Un ritardo dovuto a grave negligenza, che mette a rischio (anche solo potenziale) la sicurezza delle persone e dei beni, può fondare il licenziamento anche se non espressamente previsto dal contratto collettivo di riferimento. In altre parole, è licenziabile la guardia giurata che, per propria colpa, giunge in banca per l’attività di sicurezza con oggettivo ritardo, esponendo l’istituto a possibili azioni criminose.

Con l’ordinanza n. 26770 la Cassazione ha così dichiarato inammissibile il ricorso del lavoratore, ritenendo infondate le censure sollevate da quest’ultimo e, anzi, confermando la correttezza della procedura disciplinare adottata dal datore. Il comportamento dell’uomo ha rappresentato una manifesta violazione dei doveri di diligenza, correttezza e buona fede che devono sempre guidare il rapporto di lavoro.