Cambio di abbigliamento al lavoro, anche il tempo di vestizione va retribuito: dipendente vince la causa

Un lavoratore ha fatto causa all'ex azienda per ricevere il corrispettivo economico per il tempo impiegato all'inizio e alla fine del proprio turno

Foto di Claudio Carollo

Claudio Carollo

Giornalista politico-economico

Classe ’88, è giornalista professionista dal 2017. Scrive di attualità economico-politica, cronaca e sport.

Un dipendente ha fatto causa alla sua ex azienda perché gli venisse retribuito anche il tempo che impiegava a cambiarsi la tuta al lavoro e il giudice gli ha dato ragione. Secondo quanto stabilito da una recente sentenza del Tribunale di Milano, infatti, anche i minuti quotidianamente impiegati per la vestizione all’inizio ed alla fine del turno dal lavoratore deve essere riconosciuto economicamente dal titolare.

La sentenza

Come riportato dal Corriere della Sera, il giudice della Sezione Lavoro del foro meneghino, ha accolto il ricorso di un ex impiegato di Autogrill, affermando che “è il datore di lavoro che decide liberamente come e dove venga timbrato il cartellino e se si debba timbrare prima o dopo avere indossato la divisa che peraltro non può, nel caso di specie, che essere indossata in azienda per ragioni igieniche. Ciò basta a far ritenere fondato il diritto ad essere retribuiti per il tempo impiegato ad indossare e dismettere la divisa”.

L’avvocato Alessandro Caporelli Siriati ha commentato con il Corriere della Sera il verdetto, sottolineando che “quello della ristorazione è un settore che vede spesso i diritti dei lavoratori trascurati, soprattutto nelle piccole realtà imprenditoriali nelle quali il lavoro nero o gli straordinari non riconosciuti sono purtroppo diffusi” (qui avevamo spiegato quali sono le probabilità di vincere una causa di mobbing).

Il parere dell’esperto

“In questo scenario frammentato che rende difficile un controllo da parte delle organizzazioni sindacali, un importante segno di discontinuità viene proprio da questa sentenza, che ha il pregio di aver posto un po’ di ordine in un settore, quello della ristorazione, difficile da vigilare” ha affermato l’esperto di diritto del lavoro (qui avevamo spiegato come il Covid-19 non dia diritto alla malattia ma sia considerato come semplice infortunio sul lavoro).

Secondo l’analisi di Caporelli Siriati, la sentenza del giudice di Milano riveste un’importanza ancora maggiore per aver “riconosciuto al ricorrente anche il diritto alla retribuzione per il tempo necessario ad organizzare il passaggio di consegne da una cassa ad un’altra, all’inizio ed alla fine del proprio turno di lavoro”.

“Parliamo di un lasso di tempo tutt’altro che irrisorio – ha specificato il legale – quantificabile in non meno di 15-20 minuti, che vede impegnati ogni giorno centinaia di dipendenti e ‘che sino ad oggi Autogrill non ha mai inteso qualificare come orario lavorativo e quindi remunerare’, come si legge nella sentenza”.

L’avvocato ha sottolineato infine come il tribunale di Milano abbia confermato per i lavoratori part-time il diritto a “una minima programmabilità del proprio tempo di lavoro, anche nella prospettiva di una compatibilità con l’art. 36 Cost.”, un diritto legato alla circostanza che coloro che scelgono un contratto part time, generalmente, dovrebbero avere degli impegni a gestire oltre il proprio orario di lavoro.

La sentenza stabilisce, inoltre, che nel caso di turni di lavoro è “necessaria la specifica individuazione, nel programma negoziale (e, quindi, nel testo scritto del contratto), delle fasce orarie in cui la prestazione è richiesta, ed eventualmente dei periodi del mese e/o dell’anno in cui le fasce orarie predeterminate vengono distribuite” (qui avevamo spiegato cosa può e non può stabilire il datore di lavoro in relazione alle ferie del dipendente).