Morte del coniuge: cosa accade con la pensione

La morte del coniuge comporta una serie di problematiche legate a questioni come quella riguardante la pensione. Scopriamo insieme in quali casi questa passa ai familiari

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Alessandra Di Bartolomeo

Giornalista di economia

Giornalista esperta di risparmio, ha maturato una vasta esperienza nella divulgazione di questioni economiche.

Quando avviene la morte del coniuge sorgono moltissime domande e la principale riguarda spesso la pensione del defunto. Nella maggior parte dei casi, la cosiddetta pensione di reversibilità percepita dal coniuge morto passa ai suoi familiari, tra cui gli eventuali figli e/o il coniuge vivo e l’Inps definisce questa pensione con il curioso termine di “pensione dei superstiti”. Quest’ultima si divide poi in due categorie minori che ne indicano l’esatta tipologia. La prima è chiamata appunto, pensione di reversibilità, mentre la seconda è definita come “indiretta”. Entrambe le tipologie hanno una loro specifica definizione. Ecco maggiori dettagli in merito.

Quali quote spettano di reversibilità

La determinazione della pensione di reversibilità avviene applicando specifiche aliquote alla pensione liquidata o a quella che sarebbe spettata alla persona deceduta. Ecco quelle stabilite:

1. Coniuge senza figli, l’aliquota è al 60%
2. Coniuge con un 1 figlio all’80%.
3. Coniuge con 2 o più figli al 100%

Nel caso in cui gli unici eredi siano solo i figli o gli altri familiari, le aliquote sono le seguenti:
• Per 1 figlio è al 70%
• Per 2 figli all’80%
• Per 3 o più figli al 100%
• Nel caso di 1 genitore al 15%
• Per 2 genitori al 30%
• Nel caso di 1 fratello o una sorella al 15%
• In quello di 2 fratelli o sorelle al 30%
• Nel caso di 3 fratelli o sorelle al 45%
• Quattro fratelli o sorelle al 60%
• Di 5 fratelli o sorelle al 75%
• Di 6 fratelli o sorelle al 90%
• Di 7 fratelli o più fratelli o sorelle al 100%.

In caso di morte del coniuge ecco quale pensione spetta

Nel caso sfortunato della morte del proprio coniuge, quello superstite potrà ricevere la pensione di reversibilità (diretta) se il defunto era già beneficiario di una pensione. Essa si distingue dall’indiretta che è quella che si applica se il decesso della persona avviene prima del pensionamento. La pensione ai superstiti viene erogata in ogni caso se la persona deceduta era pensionato/a o aveva almeno 15 anni di contribuzione. I beneficiari di essa sono il coniuge superstite, anche se separato legalmente, il coniuge divorziato, i figli/e i minori, i maggiorenni studenti, gli inabili e figli/e postumi nati entro 300 giorni dalla data di decesso del congiunto. In mancanza di tali figure, i genitori e poi i fratelli e le sorelle.

Pensione ai superstiti in caso di morte del coniuge

La pensione ai superstiti è destinata al coniuge, sia vedova o vedovo, inclusi coloro che sono separati. Il coniuge separato con “addebito” riceverà la pensione anche se non è titolare di un assegno alimentare in qualità di conIuge superstite secondo la circolare INPS 19/2022. Il coniuge divorziato avrà invece diritto alla pensione se è titolare di un assegno divorziale, non si è risposato, e la data di inizio del rapporto assicurativo del defunto precede la data del divorzio.

Nel caso di più coniugi aventi diritto (ad esempio, coniuge attuale e coniuge divorziato), le quote spettanti saranno stabilite dal Tribunale. In caso di nuovo matrimonio, infine, al coniuge verrà revocata la pensione ai superstiti.

Morte del coniuge: come funziona la pensione per i figli

La pensione di reversibilità non è solo per il coniuge, ma anche per i figli. Di questi ultimi fanno parte quelli legittimi, legittimati, adottivi, affiliati, naturali, legalmente riconosciuti o giudizialmente dichiarati, nonché quelli nati da precedenti matrimoni e figli postumi entro 300 giorni dalla data di decesso del genitore.

Tale pensione, più nel dettaglio, è garantita ai figli minori di 18 anni, ai figli studenti delle scuole superiori tra i 18 e i 21 anni se non lavorano, e agli studenti universitari fino a 26 anni, sempre a condizione che siano a carico del genitore deceduto e non svolgano attività lavorativa. Inoltre, la pensione è prevista per i figli inabili, indipendentemente dall’età, ma dovranno essere a carico del pensionato.

Nipoti, genitori, sorelle e fratelli

La pensione è concessa anche ai nipoti minorenni a carico degli ascendenti. Essi sono infatti equiparati ai figli se si trovano in una situazione di bisogno e già ricevevano mantenimento dal defunto. Se i genitori del minore sono presenti, il nipote può essere considerato a carico del nonno o della nonna defunti, a patto che si verifichi l’incapacità di entrambi i genitori di fornire sostentamento, a causa dell’assenza di attività lavorativa e di altre fonti di reddito.

In assenza di coniuge, figli, nipoti o in caso di loro mancato diritto, inoltre, possono beneficiare della pensione ai superstiti i genitori che, alla data del decesso del figlio, abbiano almeno 65 anni, non siano titolari di pensione ad eccezione di quelle di natura assistenziale, e risultino a carico del defunto.

Nel caso in cui, infine, non ci sia il coniuge, i figli, i nipoti e i genitori, possono fruire della pensione ai superstiti anche le sorelle nubili e i fratelli celibi. Costoro, però, alla data del decesso del lavoratore, devono risultare inabili e possono avere anche un’età inferiore ai 18 anni. C’è però una regola da rispettare: essi non devono essere titolari di pensione e devono risultare a carico del defunto. Il diritto alla pensione, poi, cessa se ottengono un’altra prestazione assistenziale, perdono l’inabilità o contraggono matrimonio.

Pensione retributiva o contributiva

Ricordiamo che non tutte le pensioni sono uguali. La riforma Fornero, infatti, ha determinato una transizione definitiva dal metodo retributivo al contributivo nel calcolo delle pensioni in Italia. Questa scelta, oltre a essere influenzata dall’età di pensionamento, è stata introdotta per contenere la spesa previdenziale, considerando l’allungamento della vita media.

Nel modello retributivo, la pensione dipende dagli ultimi stipendi e il sistema è sostenuto dall’equilibrio tra lavoratori attivi e pensionati. A causa dell’invecchiamento della popolazione, come detto, il modello è stato rivisto con la riforma Dini nel 1995, introducendo il sistema contributivo dal 1996. Quest’ultimo lega direttamente i contributi versati alla pensione che si riceverà, considerando età e aspettativa di vita. La transizione completa al modello contributivo è avvenuta con la riforma Fornero nel 2011. Il sistema contributivo è stato quindi ampliato a tutte le anzianità accumulate dal 1° gennaio 2012, con l’uso del calcolo “pro rata”.