Pausa al lavoro: quanto deve durare

Una pausa al lavoro può durare 10 minuti, ma non sempre. Ecco quali fattori la determinano

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Tra i diritti attribuiti dalla legge ai lavoratori, vi è anche quello riguardante la pausa lavoro. Essa altro non è che un breve periodo di tempo in cui al lavoratore subordinato è concessa un’interruzione delle proprie attività o mansioni, al fine di recuperare energie e concludere al meglio la propria performance giornaliera.

Di seguito parleremo proprio di pausa lavoro, evidenziando quali norme rilevano in materia, quanto dura e se sussiste in capo al lavoratore o alla lavoratrice subordinata un collegato diritto alla sua retribuzione. Ecco cosa sapere a riguardo.

Pause lavoro: fonti normative e rilievo dell’orario di lavoro

La legge stabilisce quando le pause lavoro debbono essere riconosciute almeno in una misura minima, tenuto conto di aspetti quali le mansioni svolte, ma anche dell’orario di lavoro. Per ciò che attiene a questo tema, di riferimento è tuttora il d. lgs. n. 66 del 2003, che reca l’attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE in materia di organizzazione dell’orario di lavoro.

In base al decreto appena citato ciascun dipendente potrà giovarsi di un intervallo per la pausa lavoro:

  • se il suo orario è almeno pari alle 6 ore giornaliere;
  • con eventuali regole di dettaglio, fissate dai distinti Ccnl di settore.

Ciò consentirà il pieno recupero delle energie psicofisiche e la consumazione del pasto giornaliero (cd. pausa pranzo). Al contempo lo stop momentaneo consentirà di attenuare il lavoro monotono e ripetitivo e stimolerà le relazioni tra colleghi.

Pertanto, come appena accennato, anche i contratti collettivi possono disciplinare a riguardo, assicurando al lavoratore o alla lavoratrice un miglior trattamento sul piano temporale e retributivo.

Durata minima della pausa lavoro

Tipicamente la durata della pausa è pari a circa 10 minuti continuativi, tuttavia – come dicevamo – i contratti collettivi, ma anche gli accordi individuali e i regolamenti aziendali, hanno voce in capitolo e possono intervenire per estendere, ma mai ridurre, detto periodo.

All’art. 8 comma 2 del d. lgs. n. 66 del 2003 si trova infatti scritto che:

Nelle ipotesi di cui al comma 1, in difetto di disciplina collettiva che preveda un intervallo a qualsivoglia titolo attribuito, al lavoratore deve essere concessa una pausa, anche sul posto di lavoro, tra l’inizio e la fine di ogni periodo giornaliero di lavoro, di durata non inferiore a dieci minuti e la cui collocazione deve tener conto delle esigenze tecniche del processo lavorativo.

Insomma, al di là di quanto eventualmente previsto dalle norme di dettaglio, al dipendente che faccia almeno 6 ore di lavoro al giorno, non deve essere negato il diritto a brevi pause, ad esempio per bere un bicchiere d’acqua, prendere un caffè alla macchinetta o per andare alla toilette.

Durata della pausa pranzo

Tra le possibili pause lavoro, quella per eccellenza è dedicata al pranzo. Pertanto chiunque abbia ad es. un contratto di lavoro di 40 ore settimanali, il classico tempo pieno, non potrà essere obbligato a lavorare ininterrottamente per 8 ore al giorno, ma dovrà fruire di detta pausa mirata alla consumazione di cibo.

Vero è che il decreto 66/2003 non fa diretto riferimento alla pausa pranzo o, quanto meno, ne sottintende l’esistenza. Essa, piuttosto, troverà dettagliata disciplina nei Ccnl di settore o nei contratti individuali di lavoro.

Nella prassi degli uffici detta pausa è pari a circa 60 minuti – ma talvolta arriva anche a 120 in relazione a come è strutturato l’orario di lavoro – e mira a “suddividere” la giornata lavorativa in due, ossia mattina e pomeriggio.  Sarà compito del datore dire ai dipendenti quando poter usufruire di detta pausa, generalmente compresa però tra le 13 e le 15 del pomeriggio.

Dalla legge e, in particolare dalla circolare del Ministero del Lavoro n. 8 del 2005, si può desumere che la pausa pranzo è e resta un diritto dei lavoratori, al pari ad es. dei permessi per malattia. Conseguentemente non può mai essere cancellata, neanche in cambio di un qualche benefit o aumento di stipendio.

Il caso dei videoterminalisti

Vi sono alcuni lavoratori che sono a stretto contatto con gli schermi e che, perciò, rispetto ad altri hanno diritto ad una pausa lavoro agevolata. In particolare l’art. 175 del DL n. 81 del 2008, il cd. Testo unico su sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, contiene una disciplina di maggior favore per coloro che  svolgono la propria attività lavorativa con un’attrezzatura videoterminale, per più di 20 ore ogni settimana.

Nel testo del decreto legge si trova infatti scritto che:

Il lavoratore, ha diritto ad una interruzione della sua attività mediante pause ovvero cambiamento di attività. Le modalità di tali interruzioni sono stabilite dalla contrattazione collettiva anche aziendale. In assenza di una disposizione contrattuale riguardante l’interruzione di cui al comma 1, il lavoratore comunque ha diritto ad una pausa di quindici minuti ogni centoventi minuti di applicazione continuativa al videoterminale. Le modalità e la durata delle interruzioni possono essere stabilite temporaneamente a livello individuale ove il medico competente ne evidenzi la necessità.

Attenzione però: come affermato dalla Corte di Cassazione in più sentenze, quei 15 minuti non debbono implicare per forza una pausa totale, ma piuttosto il lavoratore potrà svolgere mansioni che non comportano l’uso del video terminale (come ad es. compilare un documento). Solitamente le attività alternative saranno indicate o dal regolamento aziendale o dal Ccnl di settore.

Diversamente, in assenza di mansioni diverse dall’utilizzo del pc e altri dispositivi con schermi, le pause videoterminalisti saranno da intendersi con astensione totale dal lavoro.

Diritto alla retribuzione della pausa lavoro

La legge fissa il diritto alla pausa lavoro ma non dispone altresì la sua retribuzione obbligatoria. Ciò vuol dire che se, ad esempio, un orario di lavoro include 4 ore, una pausa pranzo di un’ora, e altre 4 ore nel pomeriggio, a venir pagate in busta paga saranno soltanto le 8 ore di lavoro giornaliere.

La pausa lavoro non è retribuita in quanto facente parte del periodo di riposo, che per sua stessa natura non è orario di lavoro. Durante la pausa, infatti, il dipendente non è a disposizione del datore ma è in grado di gestire liberamente le proprie attività (pranzare, fare una camminata, telefonare ecc.)

Tuttavia, la Corte di Giustizia UE – nella sentenza n. C-107/19 del 9 settembre 2021 – ha spiegato che nel caso in cui il dipendente sia pronto a intervenire anche durante la pausa di lavoro, per eventuali emergenze o urgenze, detta pausa sarà da includersi nell’orario di lavoro e, dunque, andrà retribuita.

In ogni caso, i vari Ccnl e le regole di dettaglio vigenti in azienda potrebbero però stabilire un trattamento di maggior favore. Ad es. alcune categorie di lavoratori, come quelli che esercitano mansioni specifiche o i lavoratori notturni, potrebbero avere regole specifiche sulle pause retribuite. Oppure vi potrebbero essere norme di Ccnl o regole aziendali che prevedono la retribuzione della pausa pranzo (lunga), ma non di quella per il caffè (breve).

Pausa lavoro e riduzione arbitraria da parte dell’azienda

La pausa non potrà essere arbitrariamente ridotta dal datore di lavoro o azienda. Anzi, in casi di questo tipo, il lavoratore o la lavoratrice potranno rivolgersi ai sindacati o all’Ispettorato del lavoro  – qui la lista completa dei suoi compiti – per tutelare i propri diritti. Ma potrebbero esservi altresì gli estremi per ottenere il risarcimento danni da stress e burnout.

In tali circostanze, sarà opportuno raccogliere prove documentali della riduzione arbitraria della pausa lavoro, come ad es. registrazioni degli orari di lavoro, comunicazioni scritte con il datore di lavoro riguardo alla questione e testimonianze di colleghi.

Il rilievo dei contratti collettivi: un paio di esempi pratici

Qualora un determinato Ccnl non dia indicazioni specifiche, le parti dovranno rifarsi al testo del citato art. 8 del d. lgs. n.66 del 2023 ma nel panorama dei contratti collettivi, gli esempi di regole ad hoc di certo non mancano.

Per es. l’art. 5 del Ccnl metalmeccanici prevede che, con decorrenza dal 1º luglio 1978:

tutti i lavoratori addetti a turni avvicendati beneficiano di mezz’ora retribuita per la refezione nelle ore di presenza in azienda. Da tale disciplina sono esclusi i lavoratori a turni avvicendati, i quali già usufruiscano nell’ambito delle 8 ore di presenza di pause retribuite complessivamente non inferiori a 30 minuti che consentano il consumo dei pasti, ad eccezione di quelle che siano state esplicitamente concesse ad altro titolo.

Inoltre, laddove ne emerga l’esigenza, le parti in sede aziendale potranno stabilire distinte modalità di regolazione della mezz’ora retribuita per la refezione.

All’art. 16 del Ccnl colf e badanti, relativo anch’esso all’orario di lavoro, si trova scritto che il lavoratore o la lavoratrice ha diritto ad un riposo intermedio retribuito nelle ore pomeridiane normalmente non inferiore a due ore. Inoltre, le cure della persona e delle cose personali saranno compiute dal lavoratore fuori dell’orario di lavoro.

Nell’articolo si trova altresì scritto che:

Al lavoratore tenuto all’osservanza di un orario giornaliero pari o superiore alle sei ore, ove sia concordata la presenza continuativa sul posto di lavoro, spetta la fruizione del pasto, ovvero, in difetto, un’indennità pari al suo valore convenzionale. Il tempo necessario alla fruizione del pasto, in quanto trascorso senza effettuare prestazioni lavorative, non viene computato nell’orario di lavoro.

In linea generale datori di lavoro e lavoratori dovranno comunque sempre rifarsi a quanto previsto dai Ccnl di riferimento (o da eventuali regolamenti aziendali), che non potranno mai contenere condizioni peggiorative rispetto alla legge.