Il Covid al lavoro non dà diritto alla malattia: va gestito come infortunio

Il Covid non permette di andare in malattia. Chi lo contrae si può assentare dal lavoro ma la pratica va gestita come infortunio

Pubblicato: 24 Gennaio 2024 08:26

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista economico-finanziario

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

Chi ha il Covid 19 si può mettere in malattia? Ma soprattutto per quanto tempo è possibile stare in malattia? Sono domande che si stanno ponendo molti lavoratori dipendenti e, di conseguenza, i datori di lavoro a seguito del nuovo propagarsi dei contagi.

Sull’argomento è intervenuta, con la sentenza n. C-206/22 del 14 dicembre 2023, la Corte di Giustizia dell’Unione europea, che ha esplicitamente chiarito che la quarantena per via del Covid 19 non è paragonabile alla malattia. Caso diverso, invece, per chi è effettivamente contagiato, le cui pratiche vengono gestire come se si fosse infortunato sul lavoro.

Il Covid 19 torna di attualità

Fin dal febbraio 2020 il Covid 19 è sostanzialmente entrato nella vita di tutti noi. Ha impattato duramente sulla quotidianità, obbligando a modificare le abitudini private, affettive e lavorative.

Nel corso dei primi mesi della pandemia un po’ tutte le persone hanno dovuto prendere confidenza con il lessico, che purtroppo è diventato famigliare:

  • isolamento;
  • quarantena;
  • mascherina chirurgica;
  • coprifuoco;
  • positività.

Termini che ormai sembravano relegati al passato, ma che le recenti impennate di contagi hanno fatto tornare di moda. Soprattutto per gli effetti che il Covid 19 ha nei rapporti di lavoro.

Covid 19: oggi dà diritto alla malattia?

Un soggetto positivo al Covid 19, fino al 31 dicembre 2021, aveva diritto ad andare in quarantena. Questa era considerata a tutti gli effetti una malattia e permetteva di accedere agli indennizzi erogati dall’Inps.

Oggi come oggi la situazione è leggermente cambiata, anche a seguito della diffusione dei vaccini e ad una minore pressione esercitata dal Covid 19 sul sistema sanitario nazionale. Il lavoratore, infatti, che per rischio di contagio decida di isolarsi, ha la possibilità di:

  • continuare a svolgere la propria attività lavorativa in smart working, laddove sia possibile e ci sia un accordo tra le parti;
  • richiedere un periodo di assenza imputabile alla quarantena venga considerato come permesso o ferie. Oggi come oggi, infatti, non sono più in vigore delle misure restrittive delle persone che sono entrate in contatto con eventuali casi accertati di Covid 19. Ovviamente un lavoratore positivo ma asintomatico – se manifestasse dei sintomi, dopo aver presentato la corretta certificazione medica, può restare a casa – non è felice di essere messo in ferie. A questo punto potrebbe chiedere di rientrare al lavoro munito di mascherina e adeguati sistemi di protezione.

Per i soggetti affetti da Covid 19 sono previste le stesse misure che vengono garantite per le malattie ordinarie. Dovrà, quindi, avvisare il proprio medico per farsi rilasciare il certificato medico, con tutte le conseguenze del caso.

Ricordiamo che l’articolo 87, comma 1 del Decreto Legge n. 18/2020, mai abrogato, ha equiparato l’evento morboso scaturito dal Covid 19 al periodo di ricovero ospedaliero e non è computabile ai fini del periodo di comporto. Ma questo vale esclusivamente per i dipendenti del settore publico.

Come si devono comportare i lavoratori del privato

Al di là della normativa emergenziale emanata nel periodo caldo della pandemia, la regola alla quale i lavoratori si devono attenere è quella prevista dall’articolo 20 del DLGS n. 81/2020 in materia di salute e sicurezza sul posto di lavoro. Il legislatore ha previsto espressamente che

ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quelle delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni […].

In altre parole essere positivi e non dichiararlo risulta essere una condotta da censurare.

Il Covid 19 dà diritto alla malattia?

A questo punto la domanda più importante da rispondere è se l’infezione da Covid 19 dia diritto alla malattia. Nei casi accertati, l’evento morboso non viene equiparato ad una malattia ma ad infortunio. Il datore di lavoro è tenuto, quindi, ad adempiere ai obblighi previsti in questo caso:

  • certificato di infortunio;
  • denuncia dello stesso all’Inail.

È bene ricordare, comunque vada, che per qualificare l’evento come infortunio è necessario che ci sia un nesso causale tra l’attività lavorativa e la contrazione dell’infezione da Covid 19. Deve essere riconosciuto, in altre parole, l’origine professionale del contagio. Proprio su questo presupposto si costituisce il fondamento di infortunio, che si andrà ad appoggiare su un giudizio di ragionevole probabilità e risulta essere estraneo ad ogni valutazione della potenziale responsabilità del datore di lavoro.

La tutela dell’Inail partirà dal primo giorno di astensione dal lavoro, che deve essere attestato da una certificazione medica.

Il diritto alle prestazioni assicurative da parte dell’Inail non presuppongono un’eventuale responsabilità penale da parte del datore di lavoro nei confronti del dipendente che ha contratto il Covid 19. La Corte di cassazione (sentenza n. 3282/2020) ha chiarito che

l’articolo 2087 cod. civ. non configura, infatti, un’ipotesi di responsabilità oggettiva, essendone elemento costitutivo la colpa, intesa quale difetto di diligenza nelle predisposizioni delle misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore. Né può desumersi dall’indicata disposizione un obbligo assoluto in capo al datore di lavoro di rispettare ogni cautela possibile e diretta ad evitare qualsiasi danno al fine di garantire così un ambiente di lavoro a “rischio zero”, quando di per sé il pericolo di una lavorazione o di un’attrezzatura non sia eliminabile, neanche potendosi ragionevolmente pretendere l’adozione di strumenti atti a fronteggiare qualsiasi evenienza che sia fonte di pericolo per l’integrità psico-fisica del lavoratore, ciò in quanto, ove applicabile, avrebbe come conseguenza l’ascrivibilità al datore di lavoro di qualunque evento lesivo, pur se imprevedibile ed inevitabile […] non si può automaticamente presupporre, dal semplice verificarsi del danno, l’inadeguatezza delle misure di protezione adottate, ma è necessario, piuttosto, che la lesione del bene tutelato derivi causalmente dalla violazione di determinati obblighi di comportamento imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche in relazione al lavoro svolto.

Cosa succede per la quarantena

La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea ha chiarito che, per quanto riguarda la quarantena di un lavoratore, il datore di lavoro non è tenuto a compensare eventuali svantaggi che sono derivati da questo avvenimento.

La presa di posizione della Corte nasce dalla condizione di un lavoratore che si interrogava se questo periodo potesse essere considerato come malattia oppure come ferie o permessi.

Ad oggi la quarantena non viene equiparata a malattia perché secondo la CGUE, il lavoratore in isolamento ha la possibilità di dedicarsi ai propri interessi. In un primo momento appariva logico tutelare anche la quarantena. Oggi, invece, non vi è alcuna motivazione ad equiparare la quarantena al contagio effettivo da Covid 19.

In sintesi

Volendo sintetizzare al massimo, il Covid 19 non dà diritto alla malattia. Ma viene gestito come se fosse un infortunio sul lavoro. Chi si ammala, quindi, ha diritto alle tutele dell’Inail dal primo giorno in cui contrae la malattia fino alla completa guarigione.

La quarantena non dà diritto a niente. Il lavoratore può prendersi dei giorni di permesso o di ferie, che verranno scalati da quelli che normalmente gli spettano.