Il digitale è entrato nel mondo dell’arte oltre sessant’anni fa ma, ancora oggi, quando si parla di “arte digitale” il discorso si configura come una novità.
Arte e tecnologia, vecchie e nuove logiche che legano gli artisti ai mecenati, ai collezionisti. Cosa c’è veramente di nuovo e di importante nel 2023. Ne parliamo con Stefano Pisci, Chief Artistic Officer di Tokenance, Vice President SM_ART.ORG, Managing Director Iadema Studio.
Negli ultimi anni sono apparsi sulla scena mondiale artisti che non hanno seguito un percorso accademico e professionale tradizionale, ma che sono a loro agio con l’arte digitale. Siano questi esperti di grafica, art director, web e game designer. Si può parlare di una nuova corrente artistica, caratterizzata da uniformità di stili e obiettivi?
Il fenomeno al quale stiamo assistendo negli ultimi anni è sicuramente uno scossone per il mondo dell’arte “tradizionale”. La provenienza formativa e accademica degli artisti è sempre stata la più svariata partendo dall’estrazione sociale e formazione accademica dell’artista stesso, dagli impressionisti fino ad arrivare ai nostri giorni.
Quando si parla di arte è molto difficile utilizzare il termine “uniformità di stili”. L’obiettivo è vendere e farsi un nome. La difficoltà è mantenere un buon livello artistico e morale. Ogni artista ha il proprio stile. Ciò che è accaduto negli ultimi anni è più una corsa all’oro. Non so se si possa parlare di una nuova corrente artistica, sicuramente possiamo parlare di un fenomeno da osservare.
Sta cambiando anche il mondo del collezionismo e degli investitori? Se sì, l’interesse è maggiormente focalizzato sull’aspetto speculativo, considerando le nuove forme di arte un prodotto più che altro finanziario o permane una sensibilità volta a prediligere il valore simbolico e culturale delle opere realizzate?
Nel collezionismo ci sono sempre state più tipologie di collezionisti, quelle che mi vengono in mente con questa domanda sono due. I collezionisti blue chip, che acquistano solo opere di grande valore economico più per investimento che per diletto e i mecenati che si dedicano a scoprire giovani talenti e supportare l’artista nel suo percorso. Quindi, direi che non molto è cambiato se non la semplicità con la quale si può accedere all’arte e all’artista. Certamente questo è un importante cambiamento, possiamo fare tutto dal nostro tablet, non c’è più bisogno di viaggiare mezzo mondo per andare alla ricerca della prossima scoperta.
Mi verrebbe da dire che siamo iper-stimolati e questo sicuramente intacca l’attenzione e di conseguenza la sensibilità ne risente. Ciò detto ci sono artisti anche di nuova generazione che continuano a produrre materiale di altissimo livello con contenuti che ci riportano in una realtà artistica capace di tenere l’attenzione sull’arte e non su quello che è il ritmo del mercato attuale.
La rivoluzione nel mondo dell’arte passa anche attraverso un nuovo modo di scoprire gli artisti e le loro opere. Twitter, Discord, i nuovi marketplace e la forza delle Community. Luci e ombre dell’arte alla ricerca della disintermediazione.
Mi vengono in mente gli Ackatao che per anni hanno prodotto arte digitale senza mai mollare. All’inizio vendevano i loro pezzi su Telegram per pochi soldi. Oggi sono tra i cryptoartisti più riconosciuti. Nel solo 2020 hanno venduto per oltre 250.000 euro.
Quanto spazio e tempo ci possono essere in una giornata per seguire tutto e tutti?
Twitter è il social dove tutto accade, personalmente vedo e sento sempre meno live.
Discord è invaso da giovani persone che stanno in linea in attesa del “giveaway moment”. I marketplace non curati sono utilizzati come blockchain pubblica e sono pieni di persone speranzose di vendere la propria arte e essere notati.
La bolla è esplosa, perché di questo si è trattato. Ora chi produce con qualità e costanza viene premiato dal mercato, gli altri sono paragonabili ai protagonisti di un affordable art fair che ha il suo pubblico, ma che raramente produce grandi successi.
Quando parlo coi miei artisti, che sono per lo più giovanissimi, una delle prime cose che dico loro è “your network, is your networth” e se non lo hanno si devono appoggiare a chi il network lo ha.
Qui torniamo nel “vecchio” sistema, non necessariamente “galleristico” e cioè di avere dei professionisti che accompagnino l’artista nel proprio percorso. Quello che si sta perdendo di vista con questa nuova tecnologia è che la mentorship è fondamentale per l’evoluzione dell’artista.
La ricerca spasmodica della disintermediazione è ancora un mito. Se fai parte di un marketplace curato una percentuale lo trattiene il marketplace, in Tokenance chiediamo una percentuale delle vendite e mai un euro in anticipo. Grazie a questa percentuale riusciamo a dare un percorso di mentorship. Ci occupiamo di comunicare i nuovi progetti per ogni artista, mettiamo a disposizione il nostro network aiutandoli a crescere e ad avere nuove opportunità. Quello che diciamo ai nostri artisti è sempre: “Tu concentrati sulla tua arte al resto ci pensiamo noi”. Serve veramente essere un “one man show” quando si può avere un team di esperti a disposizione che ti supporta a 360°?
Mi viene in mente la mostra che c’è stata alla Permanente di Milano “2021”. E’ stata definita la più grande mostra sulla Crypto Art. E’ questa la novità se poi alla fine si cerca di andare a esporre nei luoghi istituzionali? A me pare che la storia si stia ripetendo.
Parliamo di NFT. Secondo lei quali sono le condizioni che hanno consentito l’esplosione del mercato NFT all’inizio del 2021?
L’isolamento dovuto al COVID, eravamo tutti isolati e non si sapeva tanto che fare. Nel mio caso ero in campagna coi miei due cani e la gatta, i miei intrattenimenti preferiti erano passeggiare tra le vigne e collegarmi su ClubHouse.
Non si sentiva parlare d’altro: una miriade di esperti che pontificavano su NFT e persone che facevano denari a palate investendo in crypto e comprando e rivendendo NFT.
La vera storia è iniziata lì. Poi siamo tornati alle nostre vite di tutti i giorni, chi più chi meno e il mercato crypto ha preso una batosta. Gli NFT sono finiti sulla bocca di tutti e nei wallet di pochi, grazie ai vari giornali che hanno cominciato a scrivere lunghi articoli al riguardo e una campagna mediatica capitanata da persone poco documentate che sparavano a zero su tutto ciò che era crypto e dintorni. Mi chiedo delle persone che stanno leggendo queste righe e di coloro che si sono occupati su vari media dell’argomento, in quanti hanno un crypto wallet e in quanti posseggono dei NFT?
Credo che la vera esplosione debba ancora arrivare anche perché NFT non è solo arte, NFT è tutto ciò che può necessitare di una certificazione su blockchain. Il bello deve ancora venire!
I NFT hanno dato un contributo al mondo dell’arte?
Assolutamente sì. Ci sono collezionisti di nuova generazione. Mi spiego meglio.
Quando c’è stato il boom delle crypto valute abbiamo anche avuto un boom di nuovi ricchi per lo più giovani, persone che investendo delle esigue somme di denaro hanno ottenuto dei ricavi molto importanti, queste persone hanno cominciato a comprare cryptoarte e dal collezionare Bored Apes, CryptoWales e simili sono poi passati ad acquistare opere fisiche da gallerie che accettavano crypto valuta e non solo. Insomma, una contaminazione di quelle interessanti e che hanno creato valore per entrambi i mondi, ma di questo si parla ancora molto poco.
Esiste un modo per delineare quali artisti e quali opere digitali siano meglio di altre?
L’unico modo per delineare quali opere e quali artisti possono essere meglio di altri è il mercato che si crea attorno ad essi. Refik Anadol sta andando molto forte, per alcuni è un bluff per altri un genio assoluto, fatto sta che le sue opere vendono per milioni di dollari e che è esposto in fiere d’arte importantissime. Le sue opere sono esposte nei più grandi musei mondiali, direi che stiamo parlando di un caso di successo e consistenza artistica assoluti.
Ci sono altri casi di grande successo che io non riesco proprio a capire e che continuo a studiare, in quei casi la loro forza è la loro community che li supporta e li spinge a fare sempre di più. Ad oggi non credo ci sia materiale sufficiente per stabilire chi è meglio di chi, ma solo chi ha venduto di più e chi ha un maggiore secondo mercato.
Le gallerie d’arte tradizionalmente intese sono pronte a sviluppare al loro interno anche il mercato dei Nft con delle proprie piattaforme? Come dovrebbero relazionarsi con gli artisti digitali per ovviare al desiderio di quest’ultimi di fuggire all’intermediazione tipica delle gallerie d’arte old concept?
Alcune gallerie si sono già munite di un proprio marketplace, ad esempio la Pace Gallery, galleria sempre molto attenta ai nuovi trend e con artisti di grande importanza nel panorama internazionale.
Quando ho iniziato a occuparmi di NFT, 3 anni fa, ho fatto un piccolo sondaggio tra vari amici, galleristi e addetti ai lavori: alcuni non sapevano di cosa stessi parlando, altri vedevano questo boom come il male assoluto e altri ancora mi hanno guardato dall’alto in basso.
Oggi gli artisti sono molto interessati a questo fenomeno, il centro focale della faccenda sono i collezionisti.
Mi è capitato di avere dei collezionisti interessati a degli artisti che rappresentiamo in Tokenance e che hanno acquistato il pezzo con la condizione di avere un certificato cartaceo e registrato presso l’archivio dell’artista e non sulla blockchain.
Siamo ad un bivio davanti al quale ci vorrà del tempo per decidere il percorso da intraprendere, le gallerie tradizionali hanno la loro audience, i NFT pure.
Mi viene in mente la canzone dei The Buggles, Video Killed the Radio Star, tutti sappiamo come è andata a finire.