Se non mi pagano l’affitto devo comunque pagarci le tasse?

Quando si devono pagare le tasse sui canoni di locazione non riscossi? Ma soprattutto come bisogna gestirli nella dichiarazione dei redditi?

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista economico-finanziario

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

I canoni di locazioni non riscossi come vengono tassati? La domanda che stiamo ponendo potrebbe apparire un vero e proprio ossimoro. Nel momento in cui un contribuente non percepisce una cifra, per il solo fatto di non averla ricevuta, non si dovrebbe pagare le tasse sopra. Ma non sempre va così.

Quando un contribuente si prepara alla stipula di un contratto di locazione, uno degli aspetti che deve prendere in considerazione è quello legato al possibile assoggettamento a tassazione di eventuali canoni di locazione non riscossi. Molti conduttori di immobili, soffocati prima dalla pandemia poi dalla crisi economica, si sono trovati nella situazione di non riuscire a saldare con regolarità il canone di locazione. Questo inadempimento si riflette, di conseguenza, sul conduttore, il quale è tenuto a pagare le tasse anche sugli importi che non ha incassato.

I canoni di locazione sono sottoposti a tassazione, indipendentemente dal fatto che il conduttore li abbia realmente percepiti. Ma non solo: non è nemmeno prevista la tassazione secondo il principio di cassa, ma vale il principio di competenza. La normativa fiscale, comunque vada, permette al locatore di ottenere un’esenzione dalla dichiarazione dei canoni di locazione non riscossi, nel momento in cui parte la notifica dell’intimazione di sfratto per morosità o di un’eventuale ingiunzione di pagamento.

Ma cerchiamo di capire come si debbano comportare i proprietari di un immobile, nel momento in cui non percepiscono i canoni di locazione.

Canoni di locazione non riscossi: le regole

Il Decreto Legge n. 34/2019, che è stato convertito dalla Legge n. 58/2019, ha provveduto a modificare l’articolo 25 del DPR n. 917/85 (TUIR). Il nuovo decreto, in estrema sintesi, permette al proprietario di un immobile di non pagare le imposte sui canoni di locazione non incassati, dal momento in cui intima lo sfratto per morosità dell’inquilino. L’esonero dal pagamento delle imposte scatterà da subito, senza dover attendere, come accadeva prima, la definitiva conclusione della procedura di sfratto per morosità.

La disposizione, che abbiamo appena visto, riguarda unicamente i contratti di locazione ad uso abitativo che sono stati stipulati dopo il 1° gennaio 2020.

La detassazione: come mettere in mora

Nel momento in cui l’inquilino diventa moroso, il proprietario dell’immobile deve prestare la massima attenzione nella compilazione della dichiarazione dei redditi. L’articolo 26 del TUIR, in prima battuta, aveva stabilito che i canoni di locazione sono soggetti a Irpef, anche quando non sono percepiti dal locatore.

Limitatamente ai contratti di locazione degli immobili ad uso abitativo, è prevista una deroga, che permette ai contribuenti di sottrarre dall’imposizione i canoni, che non sono stati percepiti a decorrere da un particolare momento. Il Decreto Legge n. 24/2019 stabilisce che, i redditi derivanti dai canoni di locazione non percepiti, non concorrono a formare il reddito, purché la mancata percezione sia comprovata da un’intimazione di sfratto per morosità o da una qualsiasi ingiunzione di pagamento.

Questo significa, in estrema sintesi, che è stata anticipata la possibilità di detassare i canoni non percepiti già dal momento dell’ingiunzione, senza necessariamente essere costretti ad attendere la conclusione della procedura di sfratto.

Come compilare la dichiarazione dei redditi

Anche quando non sono stati riscossi, i canoni di locazione devono essere dichiarati attraverso il Modello redditi o nel Modello 730. L’importo, che deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi, è condizionato da quanto risulta dal contratto di locazione. Questo importo deve essere indicato fino a quando non interviene una causa di risoluzione del contratto o fino a quando non vi è un’intimazione della convalida di sfratto.

Ma cerchiamo di analizzare in quali situazioni si può trovare il contribuente.

Nel caso in cui la comunicazione di intimazione di sfratto avvenga entro il 30 novembre, ossia il termine entro il quale deve essere presentato il Modello Redditi, il canone di locazione dell’anno precedente non viene tassato. Quando si viene a verificare questa situazione, viene assoggettata a tassazione unicamente la rendita catastale dell’immobile. Può capitare che il canone di locazione venga percepito solo per una parte dell’anno: in questo caso, nella colonna 6, deve essere indicata unicamente la quota di canone effettivamente percepita.

Nel caso in cui il provvedimento giurisdizionale dovesse arrivare dopo il 30 novembre, i canoni di locazione, purtroppo, devono essere soggetti a tassazione. Gli importi non percepiti sono soggetti all’Irpef o alla cedolare secca. Al contribuente, però, viene riconosciuto un credito d’imposta, che risulterà essere pari alle imposte pagate a causa dell’indicazione dei canoni inserita all’interno della dichiarazione dei redditi.

Clausole contrattuali per evitare problemi

Il contribuente che ha intenzione di ridurre al minimo le problematiche connesse con i canoni di locazione non riscossi può tutelarsi redigendo nel modo migliore il contratto di locazione. È possibile ed utile, infatti, inserire:

  • una clausola risolutiva espressa;
  • un termine essenziale con diffida ad adempiere.

Sicuramente la soluzione più semplice da adottare è quella di inserire, all’interno del contratto, la clausola risolutiva espressa. Con questa particolare disposizione, le parti concordano che, in caso di morosità, il locatore può risolvere in maniera automatica il contratto, senza la necessità di ricorrere ad un giudice. Questa clausola risolutiva si verifica inviando all’inquilino una diffida, con la quale si comunica l’intenzione di volersi avvalere della clausola risolutiva. In questo modo il contratto può essere risolto in anticipo.

Grazie a questo stratagemma, il conduttore ha la possibilità di dimostrare all’Agenzia delle Entrate che si è avvalso della possibilità di risolvere il contratto. È valida l’esibizione della raccomandata con avviso di ricevimento, in cui il locatore contesta al conduttore l’inadempimento e comunica di avvalersi della clausola risolutiva.

Discorso molto simile è quello relativo al cosiddetto termine essenziale: questa disposizione, in estrema sintesi, funziona in maniera simile alla clausola risolutiva espressa. Il contratto, in questo caso, contiene il riconoscimento del diritto, per il proprietario dell’immobile, di inviare una diffida all’inquilino ad adempiere, indicando anche un termine ultimo entro il quale deve provvedere a farlo (generalmente vengono concessi quindici giorni. Una volta spirato il termine ad adempiere il contratto si considera automaticamente risolto, senza passare dal provvedimento del giudice (sfratto esecutivo).