Ecco i farmaci per curare il Covid a casa ai primi sintomi

I vaccini restano la prima arma per combattere il virus ed evitare la malattia grave e il ricovero. Ma ecco cosa si può fare per agire subito a casa

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Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

Più volte, da inizio pandemia, noi di QuiFinanza ci siamo interrogati sul senso e sull’efficacia delle cure ufficiali abitualmente adoperate dai medici di base contro il Covid, quelle cioè approvate dal Ministero della Salute e dall’Istituto Superiore di Sanità. Perché se da un lato la scienza è stata formidabile nel trovare un vaccino in pochi mesi, dall’altro è stato complicato avere un farmaco anti-Covid.

Solo oggi, a distanza di due anni, sono finalmente arrivati i primi due medicinali antivirali contro il Coronavirus, quello di Merck e quello di Pfizer. Un’ottima notizia, naturalmente. Ma non pochi medici, già da marzo 2020, hanno messo in discussione il protocollo ministeriale che prevedeva l’ormai celebre formula “tachipirina e vigile attesa”.

Cosa non funziona nella formula “tachipirina e vigile attesa”

Le obiezioni dei medici sostenitori delle cure domiciliari – sulla base della loro evidenza clinica – sono sostanzialmente due: che la vigile attesa faccia perdere tempo preziosissimo per la gestione di una infezione che invece va subito contrastata; e che il paracetamolo (più comunemente noto con uno dei suoi nomi commerciali, tachipirina appunto) non solo risulti del tutto inefficace, ma rischi perfino di indebolire l’organismo e agevolare la stessa infezione da Covid.

Quindi, che fare? Come si cura il Covid a casa per evitare che possa peggiorare? Aspettando, vedendo cosa succede e prendendo paracetamolo se si ha febbre o qualche dolore? Meglio di no. Finalmente anche il Ministero della Salute si è convinto della possibilità di curare i pazienti Covid positivi a casa in un altro modo. Come? Agendo subito, senza perdere neanche un minuto.

La tesi di Remuzzi: come curare il Covid a casa

Tra i primissimi sostenitori della tesi secondo cui bisogna curare immediatamente i positivi già alla comparsa dei primissimi sintomi è il prof. Giuseppe Remuzzi, che più volte abbiamo citato nei nostri articoli.

Direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano, autore di più di 1440 pubblicazioni su riviste Internazionali e di 16 libri, Remuzzi continua ad insistere sulla straordinaria efficacia dei farmaci antinfiammatori, assunti subito, ai primi sintomi, ancora prima del tampone possibilmente, in modo da giocare in anticipo sull’avanzata del Covid, che in alcuni casi può essere estremamente pericoloso.

Non tutte quelle che vengono definite cure domiciliari sono uguali – sottolinea Remuzzi – e parlare di cure a casa come se fosse una novità è come minimo un po’ ingenuo. Ogni malattia, infatti, viene curata a domicilio prima di arrivare in ospedale. Bisogna distinguere quello che alcuni medici danno, dicendo che funziona solo perché loro lo credono, e i trattamenti che invece emergono come validi dalla ricerca scientifica”.

E questo fa tutta la differenza del mondo sulle terapie domiciliari. Occhio quindi a chi vi dovesse prescrivere soluzioni quantomeno fantasiose, e tenetevi alla larga dai medici che mettono in dubbio i vaccini.

Cosa dicono gli studi

Quali farmaci assumere subito se si hanno sintomi, dunque? Prima di fare la controprova del tampone anche, di fronte a un raffreddore, al mal di gola, alla tosse o alla febbre, è bene assumere subito degli antinfiammatori. “La capacità degli antinfiammatori di fermare la malattia Covid ai primi sintomi è ormai documentata in modo convincente nella letteratura” spiega Remuzzi.

Lui e il suo team sono riusciti a produrre due studi al riguardo, e anche altri lavori condotti altrove nel mondo confermano i loro risultati: indicano cioè che si può ottenere una riduzione molto importante della severità della malattia e dell’ospedalizzazione. “Il problema è che non c’è uno studio definitivo come quelli fatti dall’industria, che hanno tutte le caratteristiche degli studi controllati. E allora non si può pretendere che qualcosa di non definitivo venga suggerito dalle autorità regolatorie”.

Per quanto riguarda gli antinfiammatori, Remuzzi e il suo team di ricerca hanno pubblicato due studi, di cui uno in fase di revisione paritaria ma già disponibile in versione preprint sulla piattaforma Medrxiv. “Non sono perfetti, perché sono studi prospettici per quanto riguarda la parte del trattamento attivo, ma la parte del gruppo di controllo è rappresentata da un gruppo storico, per il quale i medici a inizio pandemia seguivano altre indicazioni”.

In altre parole, i due gruppi di pazienti non sono stati studiati contemporaneamente. Entrambi i lavori hanno lo stesso problema di avere i controlli retrospettivi. Il primo ha valutato due gruppi rispettivamente di 90 pazienti, il secondo 2 gruppi di 108. Entrambi hanno comunque dimostrato la stessa cosa: una riduzione del 90% della necessità di ospedalizzazione.

Quali farmaci assumere subito

Qual è la “ricetta” adoperata da Remuzzi? “Noi utilizziamo nimesulide e ibuprofene, e aspirina per chi è intollerante ai primi due. Poi c’è un altro studio pubblicato su Lancet su uno spray nasale, o un preparato anti-asma, che ottiene gli stessi risultati dei nostri lavori: una riduzione molto importante della severità della malattia e dell’ospedalizzazione. E, ancora, abbiamo studi indiani confermati anche da ricerche fatte in Italia, sull’indometacina, che è un altro antinfiammatorio”.

Oggi le raccomandazioni Aifa già contemplano l’uso di antinfiammatori ma solo per chi ha dolori muscolari, che in definitiva sono un problema che accomuna un po’ tutti coloro che hanno Covid. Se i dati definitivi confermeranno quello che è già documentato in letteratura sulla loro validità come arma precoce, “allora potrebbero essere la base per raccomandazioni future”.

Ma attenzione: anche gli antinfiammatori vanno presi sotto controllo medico, avverte il direttore del Mario Negri, che rimarca anche quanto sia “fondamentale” che il medico vada a casa, visiti il paziente e poi lo tenga monitorato anche per telefono.

L’ottima notizia di oggi è che finalmente Remuzzi è in contatto con l’Aifa-Agenzia Italiana del Farmaco per dare vita a uno studio molto grande, “che abbia tutte le caratteristiche necessarie per non avere poi obiezioni e per essere considerato come base per raccomandazioni future”.

I vaccini funzionano contro le varianti?

Ovvio che oggi, grazie ai vaccini, il nostro approccio al virus sta cambiando: abbiamo meno paura di contrarlo, senza dubbio, perché sappiamo di essere protetti dal rischio di malattia grave o addirittura morte. Tuttavia, in alcuni casi il virus può disegnare traiettorie scombinate, inattese, pericolose. Possiamo e dobbiamo quindi adoperarci perché l’esito della malattia sia il più rapido e indolore possibile.

Oggi che la variante Omicron risulta ormai largamente predominante nel nostro Paese (qui gli 8 sintomi “spia” e quando fare il tampone), in linea con quanto già segnalato in altri Paesi Europei (a livello nazionale è stimata al 95,8%, secondo l’indagine ISS del 17 gennaio 2022, ma la Delta, rilevata nel 4,2% dei campioni, è ancora stimata intorno al 10-15% in alcune Regioni, rappresentando quindi una quota ancora rilevante di casi), sappiamo che i contagi corrono molto più facilmente. Significa che, anche se la malattia fa meno paura, aumentando il numero totale di contagi aumenta anche il numero di casi a rischio. E’ il famoso “effetto paradosso”.

Ma i vaccini funzionano anche contro le varianti? Dati preliminari suggeriscono che la variante Omicron sarebbe in grado di ridurre l’efficacia dei vaccini nei confronti dell’infezione, della trasmissione e della malattia sintomatica, soprattutto in chi ha completato il ciclo di due dosi da più di 120 giorni.

Anche se la protezione fornita dalla vaccinazione diminuisce nel tempo, però, i vaccini rimangono altamente efficaci nel prevenire le manifestazioni gravi causate dal Covid e le sue varianti, anche diversi mesi dopo il ciclo vaccinale completo.

Le persone che sono completamente vaccinate hanno infatti un rischio significativamente inferiore di sviluppare una forma di malattia grave o di avere la necessità di ricovero in ospedale, rispetto alle persone non vaccinate o vaccinate da molto tempo.

La terza dose di richiamo (booster) somministrata mesi dopo un ciclo vaccinale completo, inoltre, può ripristinare la protezione iniziale fornita dalla vaccinazione, anche in presenza di nuove varianti come Omicron (qui quando fare il vaccino ai bambini, anche dopo il Covid).